Pensiero
Che cos’è l’anarco-capitalismo? Da Rothbard a Milei, storia di un’idea mai applicata
La vittoria presidenziale di Javier Milei in Argentina pone a capo dello stato il primo autoproclamato «anarco-capitalista» della storia moderna – o probabilmente la prima persona ad aver vinto un’elezione a questo livello a identificarsi come tale.
Ma che cos’è l’anarco-capitalismo? Il pensiero, come racconteremo rapidamente qui sotto, va indietro di poco, forse appena duecento anni, ma è stato teorizzato davvero nella seconda metà del XX secolo.
Al centro dell’idea anarco-capitalista è la convinzione che la società possa godere dell’applicazione dei diritti di proprietà, dei contratti e della difesa senza la necessità dell’autorità coercitiva dello Stato. L’unione dei concetti di anarchismo e capitalismo non è vista come un piano per l’ordine sociale, ma piuttosto come una previsione di come una comunità civilizzata potrebbe funzionare in assenza dello Stato.
Va notato che l’anarco capitalismo non è associabile ad ideologie di destra, contrariamente a quanto sostenuto stanno sostenendo le testate del mainstream mondiale inferocite dall’elezione del Milei. L’anarco-capitalismo si discosta nettamente dai tradizionali allineamenti politici di destra, e prova ne è l’apertura totale espressa dal Milei riguardo all’immigrazione – un fenomeno che non riguarda drammaticamente, al momento, il suo Paese.
In questo contesto, l’anarchismo si riferisce all’abolizione dello Stato e alla sua sostituzione con relazioni basate sulla proprietà privata, azione volontaria, diritto privato e applicazione dei contratti, come previsto dal libero mercato.
Coloro che si definiscono «anarco-capitalisti» non rappresentano una scuola di pensiero omogenea. La designazione copre una vasta gamma di applicazioni e opinioni, con diversità di vedute all’interno della stessa ideologia.
Il termine «anarco-capitalismo» trova le sue radici nel lavoro dell’economista americano, e mio amato mentore, Murray Rothbard (1926-1995), il quale fu profondamente influenzato nel suo pensiero libertario dalla scrittrice Ayn Rand negli anni Cinquanta. Uno dei cani clonati di Milei, il Murray, si chiama così in onore dell’economista e teorico giusnaturalista neoeboraceno, che può essere tranquillamente considerato il principale ideatore dell’anarco-capitalismo, la cui bandiera fu per la prima volta sventolata dal Rothbardo nel 1963 in Colorado – un drappo oro e nero come quella che vedete come immagine di questo articolo, che il Milei ha tirato fuori pure lui per un video.
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Tuttavia, quando Rothbard esaminò attentamente le idee di Rand, iniziarono a sorgere in lui dei dubbi riguardo all’istituzione che Rand insisteva fosse necessaria ed essenziale, ovvero lo Stato stesso. Rothbard pose domande cruciali: se desideriamo avere diritti di proprietà, perché solo lo Stato può violarli? Se puntiamo all’autoproprietà, perché lo Stato è l’unica istituzione autorizzata a costringere, segregare e adottare altre misure invasive nei confronti delle persone? Se cerchiamo la pace, perché dovremmo affidarci a uno Stato che ci porta in guerra la guerra? E così via.
La separazione con la Rand, all’epoca dea dei libertari di Nuova York, fu estremamente drammatica. Rothbard offrì una reinterpretazione ironica degli eventi nel breve testo teatrale intitolato Mozart was a red («Mozart era un rosso»). Dopo che Rothbard e altri abbandonarono il movimento oggettivista da lei fondato, la Rand li etichettò come «libertari hippie che subordinano la ragione ai capricci e sostituiscono il capitalismo con l’anarchismo», invitando i suoi lettori a non associarsi a loro.
Rothbard continuò la sua opera filosofico-politica, fondando nel 1969 la rivista The Libertarian Forum, pubblicata sino al 1984 e anche il Journal of Libertarian Studies, la sua pubblicazione di maggior successo, della quale fu direttore fino alla morte.
Secondo Rothbard, una regola coerente nella società che vieti l’aggressione contro le persone e la proprietà dovrebbe estendersi anche allo Stato stesso, che egli considerava storicamente il violatore più dannoso dei diritti umani dal punto di vista sociale. L’idea è che, nonostante tolleriamo che gli Stati difendano i nostri diritti, spesso scopriamo che lo Stato rappresenta la principale minaccia a tali diritti.
Questo modo di pensare sottolinea anche la difficoltà nel trovare una tecnologia o un sistema efficace per limitare lo Stato una volta che è stato creato. Per una comprensione più approfondita di questo concetto, Rothbard consigliava la lettura del suo saggio Anathomy of the State.
Si tratta di un pensiero piuttosto in linea con la critica fatta negli anni dall’anarchismo socialista, tuttavia la particolarità della prospettiva di Rothbard risiedeva nella sua previsione analitica su cosa avrebbe occupato il posto dello Stato in sua assenza.
Rothbard sosteneva che una società priva di Stato non avrebbe assunto la forma di una comunità governata da una perfetta condivisione delle risorse e da un’uguaglianza egualitaria. Al contrario, respingeva le visioni utopiche della sinistra e delineava un quadro in cui sarebbero emersi concetti come la proprietà, il commercio, la divisione del lavoro, gli investimenti, i tribunali privati, i mercati azionari, la proprietà privata del capitale e così via.
In altre parole, Rothbard prevedeva che in un contesto senza Stato, un’economia libera avrebbe prosperato in modo significativo, portando a un livello massimo di realizzazione della libertà ordinata.
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Questa idea pose Rothbard in contrasto con praticamente tutti, dalle correnti marxiste ai trotskiste, dai seguaci della Rand, ai conservatori e ai liberali classici d’antica scuola, i quali ritenevano che gli stati fossero necessari per garantire tribunali, legge e sicurezza. Questa posizione lo portò addirittura a scontrarsi con il suo mentore, l’economista oriundo austriaco Ludwig von Mises, che degli anarchici aveva una visione europea classica.
Contrariamente a quanto percepiva il suo maestro, l’anarchismo di Rothbard era profondamente radicato nella tradizione americana: influenzato più dal periodo coloniale che dalla guerra civile spagnola. Egli sosteneva che le comunità avrebbero potuto autogestirsi senza un’autorità suprema con il potere di tassare, inflazionare la valuta, arruolare e uccidere.
Rothbard credeva fermamente che i mercati e la creatività derivante dalla cooperazione pacifica umana avrebbero costantemente prodotto risultati superiori rispetto alle istituzioni create dalle élite e imposte attraverso la costrizione. Questa prospettiva si estendeva anche ai tribunali, alla sicurezza e al diritto, i quali, secondo Rothbard, sarebbero stati meglio forniti attraverso le forze di mercato, all’interno di norme universali che regolano la proprietà e l’azione umana.
Come nota un articolo di Epoch Times, in questo contesto, Rothbard stava ripercorrendo un dibattito che ebbe luogo in Francia nel XIX secolo. Frédéric Bastiat (1801–1850), un notevole economista e liberale classico, scrisse alcuni dei saggi più persuasivi per la libertà della sua generazione, dove tuttavia, Bastiat mantenne sempre la convinzione della necessità di uno Stato per mantenere il sistema in funzione e impedire il caos nella società. A contrastarlo su questo punto fu il meno noto intellettuale Gustav de Molinari (1819-1912), il quale affermò che tutte le funzioni necessarie per le operazioni sociali in libertà potevano essere fornite attraverso le forze di mercato. In molti sensi, il Molinari può essere considerato il primo vero «anarco-capitalista», anche se non impiegò mai quel termine.
Milei ora si trova a prendere le teorie della Parigi dell’Ottocento e della Nuova York degli anni Cinquanta e a metterli in pratica a fronte di uno Stato amministrativo enorme e radicato, una valuta collassata più e più volte, dove il cambio con il dollaro sulla strada è assai diverso da quello annunciato del governo, che tutti semplicemente ignorano. Milei avrà contro di lui 100 anni di statalismo parassita ingenerato dal peronismo e l’ostilità di parte del Parlamento e di un’opinione pubblica completamente polarizzata.
«Né Reagan né la Thatcher, per quanto di vasta portata fossero le loro riforme, hanno mai tagliato il bilancio complessivo e tanto meno hanno abolito intere agenzie. Erano riformatori all’interno del quadro» scrive J.A. Tucker su Epoch Times. «Milei è chiamato a fare qualcosa di mai fatto prima, nel mezzo di una grave crisi per la Nazione».
Quello che farà Milei, ad ogni modo è da vedere. Se si farà cavaliere dell’anarco-capitalismo del Rothbardo (cioè del pensatore ebreo-americano, non del cane clone del defunto cane Conan, con cui Milei parla per mezzo di medium e spiritisti) o se semplicemente porterà avanti i dettami del World Economic Forum, dei cui eventi ha fatto parte, è da vedere.
La dottrina del World Economic Forum, ricordiamo, è tuttavia l’esatto contrario di una teoria che va contro lo Stato, anzi: essa è la convergenza, la fusione definitiva tra Stato e mercato, non più nei termini del marxismo (che fallisce nella sua missione di creare l’infrastruttura umana e materiale per la tecnocrazia) ma in quelli dell’ultraliberismo, della libertà assoluta delle multinazionali che divengono esse stesse legittimate dagli Stati.
Il senso di Davos, con i suoi incontri tra capi di Stato e massimi paperoni globali, è tutto qui. Il sistema con i suoi arconti è il vero padrone, e il popolo – una volta retoricamente definito sovrano e teoricamente «padrone» degli Stati – è considerato come una forza da sottomettere, se non già sottomessa quasi del tutto. Guardatevi i video WEF della Mazzuccato che vuole infliggere cambiamenti nella popolazione attraverso crisi idriche, o dell’altro professore che sogna di modificare geneticamente la popolazione per renderla più bassa di statura, per capire a quale livello di delirio spudorato è giunta la managerial class, a quale punto del percorso siamo nel percorso
C’è da capire, ora, quali padroni vuole davvero servire il nuovo presidente. Le voci che girano a suo riguardo, fuori dal circuito del lancio di coriandoli della destra sempre più disorientata, non sono esattamente rassicuranti.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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Di tabarri e boomerri. Pochissimi i tabarri
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Pensiero
Trump e la potenza del tacchino espiatorio
Il presidente americano ha ancora una volta dimostrato la sua capacità di creare scherzi che tuttavia celano significati concreti – e talvolta enormi.
L’ultima trovata è stata la cerimonia della «grazia al tacchino», un frusto rito della Casa Bianca introdotto nel 1989 ai tempi in cui vi risiedeva Bush senior. Il tacchino, come noto, è l’alimento principe del giorno del Ringraziamento, probabilmente la più sentita ricorrenza civile degli americani, che celebra il momento in cui i Padri Pellegrini, utopisti protestanti, furono salvati dai pellerossa che indicarono ai migranti luterani come a quelli latitudini fosse meglio coltivare il granturco ed allevare i tacchini. Al ringraziamento degli indiani indigeni seguì poco dopo il massacro, però questa è un’altra storia.
Fatto sta che il tacchino, creatura visivamente ripugnante per i suoi modi sgraziati e le sue incomprensibili protuberanze carnose, diventa un simbolo nazionale americano, forse persino più importante dell’aquila della testa bianca, perché il rapace non raccoglie tutte le famiglie a cena in una magica notte d’inverno, il tacchino sì. Tant’è che ai due fortunati uccelli di quest’anno, Gobble e Waddle (nomi scelti online dal popolo statunitense, è stata fatta trascorrere una notte nel lussuosissimo albergo di Washington Willard InterContinental.
🦃 America’s annual tradition of the Presidential Turkey Pardon is ALMOST HERE!
THROWBACK to some of the most legendary presidential turkeys in POTUS & @FLOTUS history before the big moment this year. 🎬🔥 pic.twitter.com/QT2Oal12ax
— The White House (@WhiteHouse) November 24, 2025
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Da più di un quarto di secolo, quindi, eccoti che qualcuno vicino alla stanza dei bottoni si inventa che il commander in chief appaia nel giardino delle rose antistante la residenza e, a favore di fotografi, impartista una grazia al tacchino, salvandolo teoricamente dal finire sulla tavola – in realtà ci finisce comunque suo fratello, o lui stesso, ma tanto basta. Non sono mancati i momenti grotteschi, come quando il bipede piumato, dinanzi a schiere di alti funzionari dello stato e giornalisti, ha scagazzato ex abrupto e ad abundantiam lasciando puteolenti strisce bianche alla Casa Bianca.
Non si capisce cosa esattamente questo rituale rappresenti, se non la ridicolizzazione del potere del presidente di comminare grazie per i reati federali, tema, come sappiamo quanto mai importante in quest’ultimo anno alla Casa Bianca, visti le inedite «grazie preventive» date al figlio corrotto di Biden Hunter, al plenipotenziario pandemico Anthony Fauci, al generale (da alcuni ritenuto golpista de facto) Mark Milley. Sull’autenticità delle firme presidenziali bideniane non solo c’è dibattito, ma l’ipostatizzazione del problema nella galleria dei ritratti dei presidenti americani, dove la foto di Biden, considerato in istato di amenza da anni, è sostituita da un’immagine dell’auto-pen, uno strumento per automatizzare le firme forse a insaputa dello stesso presidente demente.
Ecco che Donaldo approffitta della cerimonia del pardon al tacchino per lanciare un messaggio preciso: appartentemente per ischerzo, ma con drammatico valore neanche tanto recondito.
Trump si mette a parlare di un’indagine approfondita condotta da Bondi e da una serie di dipartimenti su di « una situazione terribile causata da un uomo di nome Sleepy Joe Biden. L’anno scorso ha usato un’autopsia per concedere la grazia al tacchino».
«Ho il dovere ufficiale di stabilire, e ho stabilito, che le grazie ai tacchini dell’anno scorso sono totalmente invalide» ha proclamato il presidente. «I tacchini conosciuti come Peach and Blossom l’anno scorso sono stati localizzati e stavano per essere macellati, in altre parole, macellati. Ma ho interrotto quel viaggio e li ho ufficialmente graziati, e non saranno serviti per la cena del Ringraziamento. Li abbiamo salvati al momento giusto».
La gente ha iniziato a ridere. Testato il meccanismo, Trump ha continuato quindi ad usare i tacchini come veicoli di attacco politico.
«Quando ho visto le loro foto per la prima volta, ho pensato che avremmo dovuto mandargliele – beh, non dovrei dirlo – volevo chiamarli Chuck e Nancy», ha detto il presidente riguardo ai tacchini, facendo riferimento ai politici democratici Chuck Schumer e Nancy Pelosi. «Ma poi ho capito che non li avrei perdonati, non avrei mai perdonato quelle due persone. Non li avrei perdonati. Non mi importerebbe cosa mi dicesse Melania: ‘Tesoro, penso che sarebbe una cosa carina da fare’. Non lo farò, tesoro».
Dopo che il presidente ha annunciato che si tratta del primo tacchino MAHA (con tanto di certificazione del segretario alla Salute Robert Kennedy jr.), l’uso politico del pennuto è andato molto oltre, nell’ambito dell’immigrazione e del terrorismo: «invece di dar loro la grazia, alcuni dei miei collaboratori più entusiasti stavano già preparando le carte per spedire Gobble e Waddle direttamente al centro di detenzione per terroristi in El Salvador. E persino quegli uccelli non vogliono stare lì. Sapete cosa intendo».
Tutto bellissimo, come sempre con Trump. Il quale certamente non sa che l’uso del tacchino espiatorio non solo non è nuovo, ma ha persino una sua festa, in Alta Italia.
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Parliamo dell’antica Giostra del Pitu (vocabolo piementose per il pennuto) presso Tonco, in provincia di Asti. La ricorrenza deriverebbe da usanze apotropaiche contadine, dove, per assicurarsi il favore celeste al raccolto, il popolo scaricava tutte le colpe dei mali che affligevano la società su un tacchino, che rappresentava tacitamente il feudatario locale. Secondo la leggenda, questi era perfettamente a conoscenza della neanche tanto segreta identificazione del tacchino con il potere, e lasciava fare, consapevole dello strumento catartico che andava caricandosi.
Tale mirabile festa piemontese va vanti ancora oggi, anticipata da un corteo storico che riproduce la visita dei nobili a Gerardo da Tonco, figura reale del luogo e fondatore dell’Ordine ospedaliero di San Giovanni in Gerusalemme, poi divenuto Sovrano Militare Ordine di Malta.
Subito dopo il gruppo che accompagna Gerardo avanza il carro su cui troneggia il tacchino vivo, autentico protagonista della celebrazione. Seguono quindi i giudici e i carri delle varie contrade del paese, che mettono in scena, con grande realismo, momenti di vita contadina tradizionale. Il passaggio del tacchino è tra ali di folla che non esitano ad insultare duramente il pennuto sacrificale.
Il clou dell’evento è il cosiddetto processo al Pitu, arricchito da un vivace botta-e-risposta in dialetto piemontese tra l’accusa pubblica e lo stesso Pitu, il quale tenta inutilmente di difendersi. Dopo la inevitabile condanna, il Pitu chiede come ultima volontà di fare testamento in pubblico, dando vita a un nuovo momento di ilarità.
Durante la lettura del testamento, infatti, egli si vendica della sentenza rivelando, sempre in stretto dialetto, vizi grandi e piccoli dei notabili e dei personaggi più in vista della comunità. Fino al 2009, al termine del testamento, un secondo tacchino (già macellato e acquistato regolarmente in macelleria, quindi comunque destinato alla tavola) veniva appeso a testa in giù al centro della piazza. Dal 2015, purtroppo, il tacchino è stato sostituito da un pupazzo di stoffa, così gli animalisti sono felici, ma il tacchino in zona probabilmente lo si mangia lo stesso.
Ci sarebbe qui da lanciarsi in riflessioni abissali sulla meccanica del capro espiatorio di Réné Girard, ma con evidenza siamo già oltre, siamo appunto al tacchino espiatorio.
Il tacchino espiatorio diviene il dispositivo con cui è possibile, se non purificare, esorcizzare, quantomeno dire dei mali del mondo.
Ci risulta a questo punto impossibile resistere. Renovatio 21, sperando in una qualche abreazione collettiva, procede ad accusare l’infame, idegno, malefico tacchino, che gravemente nuoce a noi, al nostro corpo, alla nostra anima, al futuro dei nostri figli.
Noi accusiamo il tacchino di rapire, o lasciare che si rapiscano, i bambini che stanno felici nelle loro famiglie.
Noi accusiamo il tacchino di aver messo il popolo a rischio di una guerra termonucleare globale.
Noi accusiamo il tacchino di praticare una fiscalità che pura rapina, che costituisce uno sfruttamento, dicevano una volta i papi, grida vendetta al cielo.
Noi accusiamo il tacchino di essere incompetente e corrotto, di favorire i potenti e schiacciare i deboli. Noi accusiamo il tacchino di essere mediocre, e per questo di non meritare alcun potere.
Noi accusiamo il tacchino di aver accettato, se non programmato, l’invasione sistematica della Nazione da parte di masse barbare e criminali, fatte entrare con il chiaro risultato della dissoluzione del tessuto sociale.
Noi accusiamo il tacchino di favorire gli invasori e perseguitare gli onesti cittadini contribuenti.
Noi accusiamo il tacchino di aver degradato la religione divina, di aver permesso la bestemmia, la dissoluzione della fede. Noi accusiamo il tacchino di essere, che esso lo sappia o meno, alleato di Satana.
Noi accusiamo il tacchino di operare per la rovina dei costumi.
Noi accusiamo il tacchino per la distruzione dell’arte e della bellezza, e la sua sostituzione con bruttezza e degrado, con la disperazione estetica come via per la disperazione interiore.
Noi accusiamo il tacchino di essere un effetto superficiale, ed inevitabilmente tossico, di un plurisecolare progetto massonico di dominio dell’umanità.
Noi accusiamo per la strage dei bambini nel grembo materno, la strage dei vecchi da eutanatizzare, la strage di chi ha avuto un incidente e si ritrova squartato vivo dal sistema dei predatori di organi.
Noi accusiamo il tacchino del programa di produzione di umanoidi in provetta, con l’eugenetica neohitlerista annessa.
Noi accusiamo il tacchino di voler alterare la biologia umana per via della siringa obbligatoria.
Noi accusiamo il tacchino di spacciare psicodroghe nelle farmacie, che non solo non colmano il vuoto creato dallo stesso tacchino nelle persone, ma pure le rendono violente e financo assassine.
Noi accusiamo il tacchino per l’introduzione della pornografia nelle scuole dei nostri bambini piccoli. Noi accusiamo il tacchino per la diffusione della pornografia tout court.
Noi accusiamo il tacchino per l’omotransessualizzazione, culto gnostico oramai annegato nello Stato, con i suoi riti mostruosi di mutilazione, castrazione, con le sue droghe steroidee sintetiche, con le sue follie onomastiche e istituzionali.
Noi accusiamo il tacchino di voler istituire un regime di biosorveglianza assoluta, rafforzato dalla follia totalitaria dell’euro digitale.
Noi accusiamo il tacchino, agente inarrestabile della Necrocultura, della devastazione inflitta al mondo che stiamo consegnando ai nostri figli.
Tacchino maledetto, i tuoi giorni sono contati. Sappi che ogni giorno della nostra vita è passato a costruire il momento in cui, tu, tacchino immondo, verrai punito.
Roberto Dal Bosco
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