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Necrocultura

Cannibalismo di ritorno. Leggiamone i segni

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Nel 2022 Renovatio 21 aveva notato questa strana, improvvisa, martellante infatuazione della cultura popolare per il cannibalismo. Vari romanzi, un film, articoli. Poi perfino un caso di cronaca, che riguardava una celebrità.

 

Il trend non può arrestarsi, anzi. Del resto, quando l’ordine da seguire, l’impulso che viene dal profondo, è quello, là si va a parare, dove esiste ancora, in teoria, un tabù che preserva l’umanità da prospettive infernali.

 

Pochi giorni fa compare un articolo sul tema nelle pagine italiane di Wired, rivista scientista, vaccinista, filo-omotransessualista che nella sua versione madre, quella californiana, ha ospitato nel corso dei decenni vari contributi sul movimento transumanista.

 

Prendendo spunto da un recente paper pubblicato, la testata del gruppo Condé Nast va a ripescare gli studi di una paleontologa del Museo di Storia Naturale di Londra, che già avevano fatto scalpore nel 2012, esperta della pratica preistorica del cannibalismo «è sì raccapricciante, ma che va letta nel contesto in cui si è sviluppata».

 

Apprendiamo che 15 mila anni fa da queste parti gli uomini mangiatori di uomini prosperavano.

 

«Le ultime scoperte sulla cultura Magdaleniana risalente al Paleolitico superiore che mostrano come questi uomini moderni (…) praticassero in maniera diffusa il cannibalismo (o antropofagia che dir si voglia). E non per necessità, quanto piuttosto come pratica funebre» scrive Wired, che produce quindi una serie di virgolettati.

 

«Il cannibalismo, per quanto oggi possa sembrarci una pratica estranea e raccapricciante, è stato diffuso a lungo, e se ne hanno testimonianze anche in tempi recenti».

 

Bisogna infatti ricordare al lettore che dalla Nuova Guinea alle isole Fiji, «ci sono evidenze di cannibalismo».

 

«Nella cultura Warì del Sud America, per esempio, il cannibalismo era praticato fino agli anni Sessanta, come simbolo di grande rispetto nei confronti dei morti (…) infatti piuttosto che lasciare che i vermi mangiassero i resti dei propri cari, un fenomeno percepito come una mancanza di rispetto, consumare altri individui era visto come una sorta di atto di amore».

 

Mangiare il caro estinto come segno d’affetto: dopo il vaccino come «atto d’amore» (copyright Bergoglio), facciamo ulteriori passi più in là.

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Secondo lo studio, «il corpo di questi uomini veniva infatti non solo cannibalizzato ma anche trasformato, con le ossa che venivano lavorate». Crani divenivano coppe, e sarebbero state trovate, in una grotta inglese dove la ricercatrice aveva in passato concentrato i suoi studi, ossa incise probabilmente per questioni estetiche.

 

«Il cannibalismo, concentrato in un periodo che va dai 18 mila a 14 mila anni fa, si pone dunque come un diverso rito funebre spiegano gli esperti» scrive la rivista.

 

«Per capire se in corpo è stato cannibalizzato si analizzano le tracce presenti sulle ossa, cercando delle similitudini tra il modo di macellare gli animali eventualmente presenti nel sito e il trattamento riservato ai resti umani (…) tracce di utensili nelle ossa, segni di tagli, frantumazioni per estrarre il midollo osseo, disarticolazioni delle ossa, sono tutti indizi che portano a ipotizzare la presenza di un comportamento cannibale» spiega la tafonomista (la tafonomia è quella parte della paleontologia che si occupa della formazione dei fossili a partire dai processi di decomposizione).

 

Vi sono alcuni criteri paleontologici, fissati anni fa dall’Istituto Catalano di Paleoecologia ed Evoluzione Sociale di Tarragona, che individuano i segni dei denti umani sulle ossa.

 

«Quando troviamo tracce simili negli animali nessuno dubita che venissero mangiati, nell’uomo è più difficile pensare al cannibalismo, accettarlo, anche se è stato trovato in diversi animali, e anche noi lo siamo».

 

Secondo quanto dice la ricercatrice, fra i Neanderthal diffusa di mangiarsi il proprio simile. Ma anche presso gli homo sapiens: nelle 59 località magdaleniane esaminate, che si estendono dalla Francia alla Germania, dalla Spagna all’Inghilterra, in 25 di esse sono presenti evidenti segni di cerimonie funebri, e in 13 di queste si trovano prove di cannibalismo.

 

«È una percentuale elevata, diffusa all’interno della cultura magdaleniana, e presente in diversi luoghi, alcuni con una fauna ricca, per cui è difficile immaginare che questi uomini moderni patissero tutti la fame e fossero cannibali per necessità, in luoghi così diversi» sostiene la studiosa, che cita anche analisi genetiche, «mostrano come i siti in cui si praticava il cannibalismo avevano tutti un’origine comune, mentre quelli con pratiche funebri diverse avevano anche un’origine diversa» specifica Wired.

 

In fondo all’articolo – non all’inizio, proprio alla fine – un caveat di non poco conto: «gli autori invitano però infine alla cautela: gli studi e le conclusioni per quanto verosimili si basano sull’analisi di pochi resti, estendendole anche la nostra comprensione sul comportamento umano di migliaia di anni fa potrebbe cambiare».

 

Insomma, potrebbe essere che gli ancestrali rosicchiatori di ossa fossero casi isolati? Sappiamo che atti cannibalistici sono anche oggi perpetrato da segmenti specifici della popolazione: i serial killer. Jeffrey Dahmer, Richard Chase (il «vampiro di Sacramento») e forse pure, (secondo quanto evocava l’espressione «compagni di merende»), il Mostro di Firenze sono esempi di assassini seriali antropofagi da tener presenti. Tuttavia, si tratta di frazioni infinitesimali della popolazione – si tratta, appunto, dei mostri.

 

Giudicare quindi la popolazioni a partire da pochissimi elementi devianti sarebbe un errore di distorsione dei dati di non poco conto. Un antropologo alieno caduto dallo spazio direttamente in casa Dahmer (dove il killer omosessuale aveva in programma di crearsi un tempio pagano fatto di ossa e teschi delle vittime) non si potrebbe fare un’idea statisticamente corretta dell’umanità.

 

Poco importa, il sasso nello stagno – l’ennesimo – è stato lanciato. Il titolo per la testata a grande diffusione è assicurato: «quando in Europa eravamo cannibali».

 

Dunque, i nostri antenati si mangiavano a vicenda. Dobbiamo pensarlo, o quantomeno dobbiamo accettarne la possibilità. Ma perché?

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Vogliamo ricordare che quando una dozzina di di anni fa il regista russo Nikita Mikhalkov ritirò fuori dal dimenticatoio la teoria della Finestra di Overton, scelse, durante il suo programma video, di offrire il quadro – totalmente credibile – della possibile normalizzazione del cannibalismo, dalla categoria dell’«impensabile» sino alla sua piena legalizzazione.

 

Lungo le fasi overtoniane, dimostrava Mikhalkov, il cannibalismo diveniva «antropofagia» (parola scientifica) e poi «antropofilia» (parola non disforica, etimologicamente magnanima, e pure vicina a «filantropia»). Accettato, richiesto e legalizzato per vox populi, l’alimentazione a base di carne umana sarebbe stata non solo possibile, ma pure incoraggiata, in tutta la società.

 

È bene ripassare quale sia prima fase della Finestra di Overton, e in cosa consista. Il passaggio dalla categoria dell’«unthinkable» («impensabile») al «radical» («radicale») avviene quando l’idea passa dalla dimensione del totalmente inaccettabile alla quella in cui essa è sì ancora vietata, ma con deroghe. Essa diventa una realtà che, pur radicalmente lontana, rappresenta un qualcosa di tuttavia esistente.

 

Precisamente in questa fase entrano in scena gli scienziati: nel caso del cannibalismo, ecco che ne parlano gli antropologi, gli psicologi, perfino i nutrizionisti. Si organizzando convegni sul tema. Si ricordano le tribù della Papuasia e di altre crudeli isole del Pacifico, magari pure la disavventure dei sopravvissuti del volo schiantatosi sulle Ande da cui Hollywood trasse il film Alive – sopravissuti (1999).

 

Insomma, celo.

 

Secondo lo schema di Overton, è in questo momento che, parallelamente al «dibattito scientifico», dovrebbero apparire dei «gruppi oltranzisti», che, facendo un frastuono inimmaginabile, non si curano del fatto che risultano come estremisti, zeloti inaccettabili.

 

Ora, direte, tali gruppi che promuovono apertamente il cannibalismo ancora, per fortuna, non li abbiamo visti. O forse sì…

 

Ho recentemente appreso con raccapriccio, guardando un documentario Netflix sulla caccia agli assassini seriali, dell’esistenza su internet di forum per cannibali: gli aficionado si scambiano ricette, pensieri, immagini. Di più: interagiscono come si trattasse di un marketplace, di una piattaforma che fa incontrare la domanda e l’offerta: ci sono persone che vogliono mangiare essere umani, e – davvero, per perversioni che non si riesce e comprendere neppure sforzandosi – ci sono persone che vogliono essere mangiate da altri esseri umani.

 

I casi tedeschi, di cui abbiamo parlato su Renovatio 21, di tale «cannibalismo consenziente», sono la punta dell’iceberg: online chissà quanti accordi cannibalistici sono stati stipulati. Il forum di cui parlava la serie in streaming si chiamava Zambia Meat. Non so se il sito esista ancora, non ho verificato, e non lo farò mai.

 

Quindi possiamo leggere i segni overtoniani: la scienza che dice che di fatto potremmo essere tutti cannibali avanza. Qualche gruppo che rivendica apertamente la pratica, pure.

 

Uniamoci l’articolone con cui l’anno passato il New York Times celebrava la tendenza nella narrativa di occuparsi di personaggi cannibali (con vari libri usciti sul tema) e pure il film presentato a Venezia Bones and All, un racconto (che il cineasta definisce romance, «storia d’amore») tutto incentrato sul cannibalismo.

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Il regista è l’italiano, per qualche ragione celebrato internazionalmente, Luca Guadagnino, che aveva fatto il grande salto con la stranamente love-story gay tra un professore e un ragazzo giovane (stranamente non ritenuta controversa da stampa e opinione pubblica, nonostante qualche rimostranza da parte di qualche conservatore americano) Chiami con il tuo nome, (2017) film premiato con l’Oscar per la miglior sceneggiatura non originale a James Ivory.

 

Protagonista della pellicola era Armie Hammer, che negli anni successivi sarebbe stato al centro di uno scandalo immenso: nel gennaio 2021, un account Instagram anonimo ha pubblicato screenshot – non confermati – sostenendo si trattasse messaggi di testo che Hammer aveva inviato a varie donne. In tali messaggi, scrive la Wikipedia italiana «l’attore confessa di avere fantasie sessuali BDSM estreme, sangue, violenza, stupro e cannibalismo». BDSM è la sigla che indica il sadomasochismo. L’uomo era quindi stato accusato di molestie sessuali, ma le accuse sono cadute la scorsa primavera: nessun processo. Notiamo en passant che la parola «cannibal» è totalmente assente dalla voce sul divo nella Wikipedia anglofona, e abbondano citazioni dei suoi avvocati. A febbraio, l’attore ha rotto il silenzio, confidando ad un giornalista di essere stato abusato da un pastore protestante quando era tredicenne, un’esperienza che lo avrebbe portato ad interessarsi della sottocultura sadomaso.

 

Sullo scandalo Hammer, con dovizia di dettaglio sui presunti pensieri cannibalistici dell’attore hollywoodiano (come il messaggio «sono un cannibale al 100%», o la proposta alla ex di farsi asportare una costola e prepararla al barbecue), nel 2022 la rete Discovery ha prodotto un documentario in più puntate, House of Hammer, in cui si racconta l’oscura storia del casato, con il nonno Armand che petroliere e collezionista miliardario americana  e al contempo molto vicino all’Unione Sovietica – è una vicenda assai interessante, ricca di conferme per chi ha della storia una visione non superficiale, che racconteremo per esteso altrove se lo chiederanno i lettori.

 

Il clamore per l’uscita della serie sullo scandalo «cannibale» di Hammer era coincisa, l’anno scorso, con il lancio di Bones and All a Venezia. Diciamo che i giornalisti italiani non hanno fatto ressa per chiedere al regista di questa coincidenza – film sul cannibalismo, attore di precedente pellicola invischiato in uno scandalo a base di fantasie cannibalistiche. Tuttavia qualcuno è finito per domandarlo a bruciapelo come, il sito americano Deadline.

 

Il regista, di cui peraltro i giornali celebrano l’alta competenza culinaria, ha negato seccamente: «non mi è venuto in mente. Me ne sono reso conto in seguito, quando ho iniziato a sentirmi parlare di alcune di queste allusioni sui social media. Qualsiasi collegamento con qualsiasi altra cosa esiste solo nell’ambito dei social media, con i quali non mi impegno. Il rapporto tra questo tipo di scandalismo digitale e il nostro desiderio di fare questo film è inesistente e dovrebbe essere accolto con un’alzata di spalle. Preferisco parlare di ciò che il film ha da dire, piuttosto che di cose che non c’entrano nulla».

 

Torniamo al cuore della questione, l’antropofagia detabuizzata. Il lettore si può chiedere perché mai i padroni del vapore ci stiano sommergendo di storie di mangiatori di uomini. Perché qualcuno lassù, dove vengono prese le vere decisioni, dovrebbe mai lavorare per il caricamento del nuovo cannibalismo?

 

Diamo una serie di risposte, da quelle per le persone terra-terra a quelle per chi invece vuole un pensiero più articolato, per finire con quelli che ancora conservano la Fede.

 

Innanzitutto, c’è da considerare che la società moderna, con i suoi mezzi di comunicazione in primis, è programmata per cercare i limiti della morale ed abbatterli: i tabù vengono abbattuti uno a uno, e lo abbiamo visto chiaramente per quanto riguarda la sessualità, il figlicidio, le varie perversioni. Vediamo in chiarezza come la pedofilia stia subendo un analogo trattamento overtoniano, mentre per l’incesto, come ci giunge talvolta voce, ci stanno lavorando.

 

In seconda battuta, bisogna realizzare che, esattamente con nel film distopico 2022: i sopravvissuti (1973), il potere tecnocratico contempla l’antropofagia come un’ingrediente della futura società sostenibile edificata sulla Necrocultura. Come ripetuto da Renovatio 21, ciò è immediatamente evidente nel caso del «compostaggio umano», ossia della trasformazione dei cadaveri in concime, una pratica ora legale in vari Stati USA. Chi si sofferma a riflettervi, non può non imbattersi nel pensiero che, di fatto, il compost di cadavere, che va a far crescere le piante nei campi dell’agricoltura, di fatto reimmette l’essere umano nel ciclo alimentare – un passo, insomma verso, il degrado della figura dell’uomo cannibalizzato.

 

Infine, a quanti ancora mantengono la mente aperta alle cose dello Spirito, diciamo pure che una società di cannibali è tra gli ingredienti necessari all’instaurazione del Regno Sociale di Satana, dove l’Imago Dei è umiliata, calpestata, degradata, uccisa e in fine pure consumata. Ecco l’ulteriore vilipendio all’uomo immagine di Dio, in un processo che è, se ci pensate, la solita, meccanica scimmiottatura invertitrice dell’avversario: non più l’uomo che consuma il corpo di Dio come nella Santa Messa, ma l’uomo che, in un modo senza morale e senza Dio, si deve nutrire del corpo dell’uomo stesso.

 

È sempre lo stesso schema, l’inferno sulla Terra. Ci lavorano in tanti, anche dentro i Sacri Palazzi, lo sapete.

 

Potete essere liberi di non crederci: almeno fino a quando non vi ritroverete che di addenta le cosce, vi divora le braccia, stacca via la carne dalle ossa con i denti. Magari per DPCM.

 

Roberto Dal Bosco

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Necrocultura

Materialismo e Necrocultura: il disastro italiano nelle relazioni personali

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In un mondo dove la nostra religione cristiana sembra un accessorio sempre meno presente nelle nostre vite e i cattolici italiani sono in drastico calo e non conoscono più la loro fede, prende sempre più corpo una società fondata sul materialismo, una società che inneggia direttamente alla Necrocultura e a una visione orizzontale della vita, senza avere quella percezione verticale di trascendenza e spiritualità che ha caratterizzato, fino a qualche decennio fa, le precedenti generazioni.   Possiamo osservare un gretto materialismo individualista, dove tra i meno giovani, quando ci si confronta nell’ordinario, si tende a porre l’accento su quel primo obiettivo (e spesso come fosse un vanto) che è la posizione sociale e lavorativa, che viene misurata in quello che percepiamo in busta paga a fine mese.   È sempre più raro affermarsi nella nostra comunità per quello che effettivamente facciamo, per una prospettiva di crescita umana, culturale o spirituale. Conta solo il danaro che illude di essere migliori del prossimo. Una visione effimera, che colma, all’atto pratico, i nostri desideri più bassi quali le vacanze, la bella macchina, un abito firmato, un orologio o un gioiello, ma di certo non riempie in alcun modo il vuoto morale e culturale che ci portiamo dentro. 

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Il materialismo della quotidianità sfocia anche nell’egoismo tradotto nell’individualismo «devo avere il diritto di vivere la mia vita» o del «devo rifarmi una vita». Quante volte abbiamo udito queste frasi che ci risuonano fin troppo spesso durante la pausa caffè con i nostri colleghi o seduti per un irrinunciabile aperitivo. Di fatto poi la vita ci pone dinanzi a delle responsabilità familiari. Gli obblighi morali verso nostra moglie, verso i figli e gli altri familiari.    Non vorrei addentrarmi nel discorso della disgregazione delle unioni sentimentali – che oggi più che mai ci appare come una nuova normalità – ma mi limito a citare i dati ISTAT relativi all’anno 2023: 139.887 matrimoni e 82.392 separazioni. Lascio a voi stilare la percentuale, ma il «diritto» a «rifarsi una vita» evidentemente è ben più forte del cercare di mantenere unita la famiglia.    Di contro abbiamo un «femminismo sfrenato» che urla le proprie libertà appoggiando incondizionatamente il «diritto all’aborto», in quanto sostiene che sia più importante il vivere in libertà la vita della donna, che la vita del figlio che brevemente si porta in grembo. Le istituzioni oggi avvallano questi «desideri», come in Inghilterra, dove il reato di aborto è stato definitivamente abrogato, capitolo recente dell’ascesa del gius-edonismo, «il diritto al piacere» prima di ogni altra cosa, caposaldo dell’utilitarismo.   L’utilitarismo si esprime anche in quella ricerca di felicità effimera tramite prolungamenti di una «movida» che non esiste più (parlo soprattutto della generazione dei quarantenni e cinquantenni), di «diversamente giovani» che tentano di allungare un periodo della loro esistenza che giocoforza appartiene al passato, perché è figlio di un’altra età oramai tramontata, che aveva la sua massima espressione in quegli anni leggeri e spensierati.   Riprodurre fasi giovanili della vita da over quaranta potrebbe risultare patetico e anacronistico, ma orde di cinquantenni sembrano non arrendersi e riempiono locali e bar dove si beve, si balla e si tenta una sorta di socializzazione – che, va detto, altrimenti è sostituita dai social network con la loro narrazione deviata della realtà, una visione patinata della realtà che si basa sull’invidia e il risentimento per il prossimo, ostentando in reel e stories foto di un effimero benessere.   Quel benessere deve essere perseguito a ogni costo e nel perseguirlo scorgiamo una società ipocrita nel suo professare carità e benevolenza nei confronti dei deboli e dei fragili, ma non accettando le difficoltà della vita.   Sempre più frequentemente – in una società che vive un inverno demografico senza precedenti e destinata inesorabilmente ad invecchiare – ci troviamo alle prese con l’anzianità dei nostri cari, i quali necessitano di compagnia, di affetto e di cure.   Nel 2022 il 2,6% degli ultra sessantacinque ha usufruito di un servizio residenziale all’interno di una RSA e un altro 3,2% ha ricevuto Assistenza Domiciliare Integrata (ADI). Se consideriamo gli over settantacinque siamo rispettivamente al 4,6% e al 5,3% di persone che sono state assistite. Dal 2017 al 2022 siamo passati dalle 296 mila persone con oltre sessantacinque anni residenti in RSA alle 362 mila.    In Italia, la solitudine degli anziani rappresenta una vera e propria emergenza sociale sottaciuta e nascosta, che con il passare degli anni rischia un sensibile peggioramento. Al momento, dati alla mano, circa 2,5 milioni di persone oltre i settantaquattro anni vivono da sole, una condizione che riguarda ben il 40% di essi. Viste le condizioni e il trend, i dati sono destinati a crescere nei prossimi anni.   Evidentemente molti figli o nipoti preferiscono le loro libertà, la loro indipendenza, la loro «crescita sociale», piuttosto che vivere o fare compagnia ai propri cari.   Troppe volte gli anziani appaiono come un peso, un ostacolo ai nostri desideri, un impiccio alla soddisfazione dei nostri effimeri egoismi. L’egoismo come ragion d’essere; «io voglio vivere la mia vita», «pretendo di vivere la mia vita», oscurati da qualsiasi afflato di bontà e carità verso il prossimo.   La disumanità che ci vede lasciare «i fragili» abbandonati a loro stessi, senza una telefonata, senza una visita, senza una carezza, senza una parola di conforto. Tutto questo in una società «moderna e inclusiva» è del tutto inaccettabile, ma evidentemente l’inclusività non deve ledere le libertà personali.    Coloro che oggi non si prendono cura dei propri nonni o dei genitori, domani che invecchieranno anche loro, chi li aiuterà e li sosterrà? Ci sono forti possibilità che il problema non gli si ponga, in quanto l’eutanasia, o meglio la «dolce morte» o il suicidio assistito – secondo la neo lingua del politicamente corretto – gli venga in soccorso.

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Uno Stato illuminato come il Canada si fa portabandiera della nuova necropolitica sociale e i dati ufficiali del governo ci mostrano che circa la metà dei cittadini che non sono malati terminali, desideravano porre fine alla propria vita tramite il suicidio assistito autorizzato dallo Stato (che laggiù chiamano MAiD), perché affermavano di sentirsi soli.   L’Europa si allinea agli echi d’oltreoceano, tanto che in il presidente del più grande fondo sanitario belga, Christian Mutualities (CM), ha chiesto una soluzione radicale al problema dell’invecchiamento della popolazione, dichiarando ai media che alle persone stanche della vita dovrebbe essere permesso di porvi fine.   Come riportato da Renovatio 21, in Olanda invece, il rapporto annuale per il 2023 dei comitati regionali di revisione dell’eutanasia (RTE), identificano un aumento del 4% delle eutanasie rispetto al 2022. Va ricordato che in quel Paese il termine eutanasia comprende l’iniezione letale e suicidio assistito. I 9.068 decessi rappresentano il 5,4% del totale dei deceduti.   Quando non siamo più utili a questo schema sociale, possiamo tranquillamente morire. Ce lo insegna bene il rock n’ roll, che nel corso delle ultime decadi ci ha educato con il suo spirito falsamente libero e ribelle. Le «vecchie cariatidi musicali», quando divengono anacronistiche per stare su un palco e non possono più gozzovigliare a loro piacimento, ecco che decidono di farsi un bel funerale laico prima della morte, che sia indotta o naturale   «Non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima; temete piuttosto chi può far perdere nella Geenna e anima e corpo» (Mt 10, 28).   Sempre con maggior enfasi la Necrocultura prolifera sui social con numerosi post della «generazione di mezzo» che esaltano l’eroismo di chi ha deciso di mettere fine alla propria vita. Una magnificazione della morte in antitesi con la nostra religione che ci dice che la morte non è altro che un passaggio verso la vita eterna.    Francesco Rondolini

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Gender

Pedofilo omosessuale ottiene un bambino tramite maternità surrogata. Bisogna stupirsi?

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La rete si scalda per un caso che cala un tris considerevole: matrimonio gay, pedofilia, utero in affitto. Si aggiungerebbe, in questo caso, anche il crowdfunding. Lo riporta LifeSite.

 

Un coro di indignazione è esploso sui social media statunitensi dopo che è stato rivelato che un omosessuale registrato come molestatore sessuale dopo essere stato condannato per abusi sessuali su un giovane adolescente, è riuscito a ottenere un bambino tramite maternità surrogata.

 

L’uomo che ha «sposato» un altro uomo è descritto come un molestatore sessuale di primo livello in Pennsylvania, condannato per «abuso sessuale su minori» e «possesso di materiale pedopornografico». All’epoca insegnante di chimica al liceo, l’uomo era stato arrestato nel 2016 per numerose «esplicite richieste e conversazioni sessualmente esplicite» con uno studente sedicenne, dopo che era stato scoperto per aver inviato 20 foto di nudo e un video sessualmente esplicito di se stesso.

 

Lo scandalo è esploso dopo che la coppia ha condiviso un video in cui festeggiava le feste con il bambino nato da madre surrogata durante il suo primo anno di vita.

 

Il giornalista cittadino Derek Blighe ha pubblicato il video su X, osservando: «a meno che non accada un miracolo, questo bambino non ha quasi nessuna possibilità di avere una vita normale».

 

Il post di Blighe è stato visualizzato ben oltre 11 milioni di volte.

 

 

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«Come fanno dei degenerati malati come questi a ottenere l’approvazione per diventare tutori di un bambino?» ha chiesto l’attivista contro la presenza di transessuali nello sport Riley Gaines. «Per quanto mi riguarda, chiunque sia coinvolto nel processo di approvazione dovrebbe essere in prigione».

 

 

«Concepire un bambino con l’intenzione di affidarlo a una famiglia senza madre per farlo crescere da queste due creature», ha scritto il commentatore cattolico youtuber Matt Walsh su X. «Assolutamente orribile. Una malvagità indescrivibile».

 

 

Secondo quanto scrive Lifesite, non solo la coppia è riuscita ad ottenere il bambino nonostante i trascorsi sessuali criminali dell’uomo, ma pare che abbiano utilizzato l’app di crowdfunding GoFundMe per aiutarlo.

 

«È stato rivelato che una coppia gay che ha finanziato tramite crowdfunding il proprio percorso di maternità surrogata ora ha la custodia di un bambino, nonostante uno dei partner (…) sia stato condannato per reati sessuali su minori, sfruttando una scappatoia della Pennsylvania per la maternità surrogata che aggira le restrizioni statali sull’adozione per i predatori registrati», ha riportato Right Angle News Network su X.

 

«Orribile», ha scritto l’attivista pro-life Lila Rose, fondatrice di LiveAction. «Dopo la diffusione virale di un video di due uomini che baciavano un neonato acquistato tramite crowdsourcing, fecondazione in vitro e madre surrogata, gli investigatori di internet hanno scoperto che uno degli uomini era un molestatore sessuale registrato».

 

 

«Non è richiesto alcun processo di verifica per la maternità surrogata. Chiunque abbia soldi può comprare un bambino», ha detto Rose. «Non solo questo bambino è stato privato di una madre intenzionalmente, ma non sono stati messi in atto meccanismi di sicurezza per proteggerlo. I bambini non sono merci».

 

«Vietate la maternità surrogata», ha aggiunto la Rose.

 

La deputata repubblicana degli Stati Uniti Anna Paulina Luna ha chiesto al procuratore generale della Pennsylvania: «perché a questo molestatore di bambini è consentito adottare un bambino?»

 

«Il fatto che quest’uomo stia sfruttando una scappatoia che consente l’adozione tramite maternità surrogata, pur essendo un molestatore sessuale registrato, è disgustoso. Dovrebbe essere FUORILEGGE», ha dichiarato.

 

«Non mi interessa chi sei, qual è la tua razza o il tuo genere: se sei un molestatore sessuale registrato, non ti dovrebbe essere permesso di avvicinarti ai bambini, figuriamoci adottarli», ha detto la Luna.

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Renovatio 21 considera che lo stupore si addice solo a chi fino ad ora ha tenuto gli occhi chiusi: tutti i nodi della Necrocultura sono collegati l’uno con l’altro in modo istituzionalizzato grazie allo Stato moderno: con il diritto all’aborto si crea il diritto alla fecondazione in vitro (che uccide molte più bambini dell’aborto, ma che grazie a questo sono finalmente considerati come sacrificabili), con il matrimonio gay si crea giocoforza il «diritto» alla maternità surrogata, con il «diritto al gender» si apre all’istituzionalizzazione di ogni possibile devianza (come visibile ai gay pride), con l’erosione progressiva di vari tabù: si ricordano gli ammiccamenti a certe manifestazioni riguardo ai bambini delle famiglie normali.

 

Aggiungiamo che, se fosse vero che l’omosessualità proviene dall’assenza della figura paterna (come sosteneva Sigmund Freud), l’ondata presente è stata creata dalle leggi sul libero divorzio – un’altra legge teratogenetica che andrebbe abolita quanto prima, ma siete dei folli se sperate che i pro-vita dell’establishment provino a dirlo e a farci una battaglia.

 

A Renovatio 21, invece, abbiamo proprio intenzione di farlo: combattere la Necrocultura in maniera integrale, senza nessun compromesso, e con tutta la forza che abbiamo.

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Bioetica

La pop star britannica Lily Allen ride mentre racconta i suoi molteplici aborti

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La cantante, cantautrice e attrice Lily Allen, candidata ai Grammy ha dichiarato in un recente podcast, di non ricordare quanti aborti ha avuto, mentre rideva sguaiatamente della materia.   In una puntata del podcast Miss Me? del 1° luglio, Allen ha parlato dettagliatamente della sua vita personale. «Ora ho una spirale», cioè dispositivo contraccettivo intrauterino (che di fatto è un abortivo e non un contraccettivo, perché uccide l’emrbione), ha detto alla co-conduttrice del podcast Miquita Oliver. «Credo di essere al terzo o quarto figlio e ricordo solo che prima era una zona disastrata. Rimanevo incinta di continuo».   La Allen, che ha una figlia di 13 anni e una di 11 con l’ex marito (il secondo marito è il robusto attore hollywoodiano David Harbour, noto per la serie Stranger Things e per le sue veementi sparate contro Trump; ma sembra si sia separata anche da questo) ha poi parlato dei bambini che ha abortito. «Aborti, ne ho avuti alcuni, ma d’altronde», ha cantato ridacchiando sulle note della nota canzone My Way di Frank Sinatra, poi rifatta dai Sex Pistols. «Non ricordo esattamente quanti. Non ricordo, sì. Penso forse cinque, quattro o cinque».    

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«Ricordo che una volta sono rimasta incinta e l’uomo mi ha pagato l’aborto, e io ho pensato che fosse così romantico», ha detto la cantante. Tuttavia, la donna da allora ha cambiato idea su quell’episodio in particolare. «Ti dico quanto è stato romantico: non credo che mi abbia scritto dopo. Giusto, a dire il vero. Ero una pazza stronza. Lo sono ancora».   Lungi dall’essere scioccata, l’intervistatrice Miquita Oliver ha risposto osservando che anche lei aveva avuto «circa cinque» aborti e che l’inserimento della spirale contraccettiva le aveva assicurato di «smettere di abortire», cosa che pare fosse divenuta diventata di routine. «Lo schema era: sfortunatamente, rimango incinta, non voglio esserlo, abortisco, poi mentre sono sedata durante l’aborto, mi mettono la spirale», ha detto. «Mi sentivo davvero in imbarazzo anche solo a dire di aver avuto più di un aborto, perché diavolo dovrei vergognarmi? Ne ho avuti diversi».   «Mi irrita davvero, e l’ho già detto apertamente. Ho visto meme in giro a volte, su Instagram, da account pro-aborto o altro, ogni volta che si parla di questo argomento, e all’improvviso si comincia a vedere gente che pubblica cose su motivi straordinari per abortire», ha ammesso Allen.   «Tipo: “Mia zia aveva una figlia con questa disabilità”, o qualcosa del genere, ‘Se fosse andata a termine la morte l’avrebbe uccisa, quindi dobbiamo farlo”», ha continuato. «È come dire: ‘Stai zitto!’ Semplicemente: “Non voglio un fottuto bambino in questo momento”. Letteralmente: “Non voglio un bambino” è una ragione sufficiente».   «In uno degli aborti che ho avuto, odiavo quell’uomo e non avevo assolutamente alcun interesse ad avere quel fottuto figlio», ha aggiunto Oliver. «Ho pensato: “Assolutamente no”, e come sapete, per tutti i miei 20 e 30 anni, avere un bambino non è stato poi così importante per me, e mi sarebbe dispiaciuto non avere la possibilità e la libertà di fare ciò che dovevo fare per la mia vita».   La Allen ha da tempo espresso apertamente la sua posizione pro-aborto. Nel 2012, mentre era incinta (di un bambino che aveva tenuto in grembo), rispose su Twitter al suggerimento del ministro della Salute britannico Jeremy Hunt di ridurre il limite di aborto a 12 settimane, scrivendo: «possono questi idioti dalla mente ristretta smettere di dire alle donne se hanno diritto o meno all’aborto, per favore?»   Nel 2022, è salita sul palco con Olivia Rodrigo al festival musicale di Glastonbury per cantare la sua hit Fuck You, per denunciare la decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti di ribaltare la sentenza Roe v. Wade.   «Vorrei che la gente smettesse di pubblicare esempi di motivi eccezionali per abortire» aveva scritto su Instagram. «La maggior parte delle persone che conosco, me compresa, semplicemente non voleva avere un fottuto bambino. E questa è una ragione sufficiente! Non dobbiamo giustificarlo. Non dovrebbe essere necessario dirlo, e penso che tutti questi esempi facciano solo il gioco dei cattivi».

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Si tratta del libero aborto invocato dalle femministe – cioè senza alcuna remore, feticidio a comando, per capriccio, pure, magari pure pagato dallo Stato.   La realtà è che si sta andando oltre: le frange femministe, sempre più vecchie e inacidite (la vita «libera», cui aspiravano, che era di fatto solo mancanza di morale e odio della legge naturale, ha presentato il conto) stanno trasformando l’aborto da diritto a vero e proprio «sacramento» della vita moderna.   Ciò è in linea con varie realtà religiose, come le serque di sigle ebraiche (cui si sono aggiunti i satanisti organizzati) che hanno reagito alla sentenza della Corte Suprema Dobbs v. Jackson che defederalizzava il diritto di aborto dichiarando che il feticidio è un loro diritto religioso.   Guardiamo la realtà per quello che è: le popstar ridono del sacrificio umano, vi partecipano, ne difendono la continuazione. La situazione della cultura popolare oggi è questa. Sappiamo come chiamarla: la musica, il cinema, la TV e pure altre forme di intrattenimento come le letteratura, la filosofia, la politica, vivono sotto l’ombra della Necrocultura.

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Immagine di Justin Higuchi via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic    
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