Pensiero
Breve ode a certi corrotti

L’articolo pubblicato l’altro giorno da Renovatio 21 sui 25 anni dalla morte di Madre Teresa ha spinto alcuni a chiederci in merito a certe accuse che, ciclicamente, riemergono contro la figura della missionaria di Calcutta. Si tratta, in larghissima parte, del materiale assemblato anni fa dal defunto giornalista ateo Christoper Hitchens per il suo libro La posizione della missionaria. A Hitchens, che nel frattempo è morto di cancro irritato per le persone che pregavano per lui, fu data la possibilità di fare l’advocatus diaboli durante il processo di beatificazione di Madre Teresa tenutosi in Vaticano – anche se questa figura è purtroppo stata abolita dalla nuova chiesa nel 1983. Non che l’opera di Hitchens, quindi, sia riuscita a scalfire lo spirito e l’opera della suora albanese. Ripubblichiamo un articolo di quasi una diecina di anni fa in cui il fondatore di Renovatio 21 Roberto Dal Bosco trattava del caso di Charles Keating, uomo corrotto che donava a Madre Teresa – e ci sarebbe anche da parlare di François Duvalier detto Papa Doc, il dittatore del futuro feudo clintoniano di Haiti, il quale anche lui in abbondanza donava alla missionaria. Il contesto in cui è stato scritto questo articolo era una predica fatta a Santa Marta da Bergoglio, in cui aveva introduceva un prospettiva in cui la corruzione non sarà perdonata da Dio. L’articolo si muove oltre e parla di Bettino Craxi, e di come diverso era stato, invece, il trattamento a lui riservato da Giovanni Paolo II.
Nella storica omelia di Santa Marta di lunedì 11 novembre, il Papa ha introdotto questa novità: chi riceve bustarelle o commette l’evasione fiscale «merita – dice Gesù, non lo dico io – che gli mettano al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Non parla di perdono, qui».
(che vi sia qui una strizzatina d’occhio alla pena di morte?…)
Il sito di Radio Vaticana così titola: «Il Papa: ingiusto essere benefattore della Chiesa e rubare allo Stato, no ai cristiani dalla doppia vita».
Prendiamo atto di questa ulteriore rivoluzione metafisica – immaginiamo significhi che l’inferno non è vuoto come dicevano quelli, anzi, è pieno di corrotti – ma vogliamo comunque ricordare due figure a noi care.
La prima, è quella di Charles Keating. Nato nel 1932, Keating fu campione di nuoto per l’Università di Cincinnati, per poi divenire – sin dagli anni Cinquanta – frontale nemico della diffusione della pornografia, al punto da prendere parte alla «Commissione sull’oscenità e la pornografia» voluta dal presidente Lyndon Johnson nel 1969.
Profondamente religioso, Charles fu in prima linea nel denunciare il magnate pornografo Larry Flint (lo si può vedere nel film di Milos Forman Larry Flynt – Oltre lo scandalo), l’esplosione del cinema softcore con i film di Russ Meyer, e perfino le edicole vicino al suo ufficio che vendevano copie di Playboy.
Keating, che aveva un fratello deputato e un’ampia copertura da parte di certi senatori USA, negli anni Settanta divenne il più grande immobiliarista dell’Arizona. Poi si dedicò ai magheggi di Wall Street, fondando la finanziaria Lincoln Savings and Loans Association. La Lincoln fallì nel 1989, creando un buco da 3 miliardi di dollari e lasciando 23 mila clienti con bond inutilizzabili.
Lo accusarono di frode, bancarotta, associazione a delinquere. Finì in galera per quattro anni. Nello scandalo, finì dentro pure il senatore McCain.
Mentre era in galera, si fece avanti una nuova querela di una corporation che pretendeva da Keating e sua moglie 4,3 miliardi di dollari: seguì la condanna più esosa mai inflitta ad una singola persona nella storia americana.
Per tutta la prigionia Keating si dichiarò innocente: «sono un prigioniero politico del governo americano, sono il capro espiatorio del più grande scandalo finanziario della storia». Essere rimasto integro negli anni di galera, dice, è stata la realizzazione di cui va più fiero in tutta la sua vita.
Caduto in disgrazia, pochi si sono ricordati della sua massiva attività filantropica: diede un milione di dollari alla Covenant House, la più grande agenzia che in America fornisce un tetto e un pasto agli homeless e agli scappati di casa. Il fondatore, il padre francescano Bruce Ritter, disse che incontrare Keating «ti ricorda che la Provvidenza esiste».
Ma ancora più importante fu l’incontro con Madre Teresa. Keating le versò donazioni milionarie, e lei, durante il processo, scrisse al procuratore distrettuale che seguiva il caso di essere clemente con il finanziere americano.
Nel suo libro La posizione della missionaria, il defunto polemista ateo Christopher Hitchens (ah, quanto sarebbe andato d’accordo con il nuovo corso del Papato se fosse sopravvissuto di qualche mese al cancro!) scrive che il procuratore Paul Turley alla richiesta rispose ingiungendo la restituzione dei danari donati da Keating alle Missionarie di Carità. (1)
La beata di Calcutta gli aveva scritto: «guardate nel vostro cuore. Cosa farebbe Gesù?». Niente da fare: il Turley, d’accordo con il mangiapreti Hitchens (e con altri), considerava la corruzione come un crimine che ha la precedenza su ogni cosa, un delitto la cui retribuzione è non-negoziabile. Sono le nuove priorità del mondo, e anche – ci pare di capire – del mondo cattolico.
Keating è ancora vivo [lo era al tempo in cui è stato pubblicato questo articolo, è morto nel 2014, ndr]. Dobbiamo immaginare che – nonostante la Fede professata e praticata, i sacramenti, il lavoro svolto per la comunità cristiana mondiale, la generosità, la sofferenza patita in anni di carcere – andrà all’inferno?
Madre Teresa gli ha messo una macina da mulino al collo e lo ha buttato nel Golfo del Bengala?
Ma c’è un esempio meno esotico che mi piacerebbe qui ricordare.
Ne siamo stati informati dal libro L’Uomo che sussurrava ai potenti, furba confessione-fiume dell’ex-faccendiere boiardo del para-stato Luigi Bisignani.
Nel capitolo intitolato Il potere della Chiesa, Bisignani ci illustra un retroscena che proprio non conoscevamo:
«Quello che le posso dire è che Craxi ebbe funerali religiosi nella cattedrale di Tunisi, e tra le mani, nella bara, aveva il rosario che gli aveva regalato proprio Papa Wojtyla. Da quando stava in Tunisia il Papa non mancava mai di fargli avere i suoi saluti. Nel settembre 1999, un anno prima di morire, Craxi scrisse poche righe meste a Wojtyla: “Santo Padre, Don Verzè mi porta il suo messaggio augurale, grazie. La mia grande fiducia è in Lei. Offro la mia sofferenza per il mio Paese e per le intenzioni della Vostra santità”. Copia della lettera autografa l’ho avuta dalla figlia Stefania. Erano gli anni in cui anche il Papa aveva già iniziato, purtroppo, la sua lunga sofferenza». (2)
Non so voi, ma io raramente ho letto parole più autentiche e struggenti di queste. Un uomo, gettato nello sconforto dell’infamia, colpito dalla malattia che lo fece morire fuori dal Paese che aveva tanto amato.
Craxi era a capo di un sistema corrotto? Può darsi. Altrimenti, il suo partito negli anni Ottanta non avrebbe raggiunto vertici di corruttela da barzelletta («sai quando non bisogna mai baciare in bocca un socialista? Quando si hanno i denti d’oro…»).
Certo. Ma volete dirmi che, come corrotto, Craxi non sarà perdonato? Nemmeno se, di fatto, Di Pietro e i suoi mandanti una macina al collo gliela hanno affibbiata, gettandolo dall’altra parte del mare? Nemmeno se ha pagato con una decade di umiliazione e sofferenza?
Volete dirmi che un uomo che scrive al Papa «La mia grande fiducia è in Lei. Offro la mia sofferenza per il mio paese e per le intenzioni della Vostra santità» è un uomo che non merita il perdono di Dio? Secondo il nuovo corso, sembra di no. Wojtyla, apprendiamo, gli scriveva spesso. Per Bergoglio invece uno come Craxi potrebbe meritare il fuoco eterno.
Qualcosa, nella Chiesa, deve essere cambiato.
La realtà è che, oltre che un peccatore, anche in punto di morte Craxi si è dimostrato così un grande statista, un Re che si offre in sacrificio per il suo popolo, perché la terra guasta dell’Italia, per tramite dell’azione della Chiesa di Cristo, torni a fiorire.
A differenza di tanti vescovi e cardinali italiani, nel dolore dei suoi giorni Craxi ha compreso il mistero del dolore, l’enigma cristiano per cui esso è sostanza fertile, è seme per un bene maggiore.
La parabola di corruzione di Bettino – se così vogliamo vederla – si è conclusa con una conversione autentica, carnale: una storia intrisa di scherno, di odio persecutorio e di morte, come da paradigma cristiano.
Che la Chiesa non sia più in grado di capire né questo né altro è il vero scandalo. È il sentire della Chiesa, la sua capacità di percepire la realtà e Dio, ad essere ormai corrotto sino al midollo.
Ma – incredibile – noi poveri cristiani peccatori possiamo perdonare anche questo.
Roberto Dal Bosco
NOTE
1) Christopher Hitchens, The Missionary Position: Mother Teresa in Theory and Practice, Verso, Londra 1995; p.70
2) Luigi Bisignani – Paolo Madron, L’uomo che sussurrava ai potenti, Chiarelettere, Milano 2013; p.75.
Articolo apparso il 13 novembre 2013 su Riscossa Cristiana, poi Ricognizioni.
Immagine di Manfredo Ferrari via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0)
Pensiero
Se la realtà esiste, fino ad un certo punto

I genitori si accorgono improvvisamente che la biblioteca scolastica mette a disposizione degli alunni strani libri «a fumetti» dove si illustra amabilmente il bello della liaison omoerotica.
L’intento degli autori è inequivocabile, quello di presentare un modello antropologico indispensabile per una adeguata formazione dell’individuo in crescita… Meno chiaro appare nell’immediato se la scuola, nel senso dei suoi responsabili vicini o remoti, di questa trovata educativa abbiano coscienza e conoscenza.
Di istinto, i genitori dell’incolpevole alunno si chiedono se tutto ciò sia proprio indispensabile per uno sviluppo armonico della psicologia infantile, magari in sintonia con i suggerimenti più elementari della natura e della fisiologia.
Tuttavia, poiché anche lo zeitgeist ha una sua potenza suggestiva, a frenare un po’ il comprensibile sconcerto, in essi affiora anche qualche dubbio sulla adeguatezza culturale dei propri scrupoli educativi, tanto che sono indotti a porsi il dubbio circa una loro eventuale inadeguatezza culturale rispetto ai tempi, votati come è noto, a sicure sorti progressive.
Ma il caso riassume bene tutto il paradosso di un fenomeno che ha segnato questo quarto di secolo e soltanto incombenti tragedie planetarie, mettono un po’ in sordina, finché dagli inciampi della vita quotidiana esso non riemerge con tutta la sua inaspettata consistenza.
Infatti la domanda sensata che si dovrebbero porre questi genitori, è come e perché una anomalia privata abbia potuto meritare prima una tutela speciale nel recinto sacro dei valori repubblicani, per poi ottenere il crisma della normalità e quindi quello di un modello virtuoso di vita; il tutto dopo essersi insinuata tanto in profondità da avere disattivato anche quella reazione di rigetto con cui tutti gli organismi viventi si difendono una volta attaccati nei propri gangli vitali da corpi estranei capaci di distruggerli.
Eppure, per quanto giovani possano essere questi genitori allarmati, non possono non avere avvertito l’insistenza con cui questa merce sia stata immessa di prepotenza sul mercato delle idee, quale valore riconosciuto, dopo l’adeguata santificazione dei cultori della materia ottenuta col falso martirio per una supposta discriminazione. Quella che già il dettato costituzionale impediva ex lege.
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Ma tutta l’impalcatura messa in piedi intorno a questo teatro dell’assurdo in cui i maschi prendono marito, le femmine si ammogliano nelle sontuose regge sabaude come nelle case comunali di remote province sicule, non avrebbe retto comunque all’urto della ragione naturale e dell’evidenza senza la gioiosa macchina da guerra attivata nel retrobottega politico con il supporto della comunicazione pubblica e lasciata scorrazzare senza freni in un mortificato panorama culturale e partitico.
Nella sconfessione della politica come servizio prestato alla comunità, secondo il criterio antico del bene comune, mentre proprio lo spazio politico è in concreto affollato da grandi burattinai e innumerevoli piccoli burattini, particelle di un caos capace di tenere in scacco «il popolo sovrano». Una parte cospicua del quale si sente tuttavia compensato dalla abolizione dei pronomi indefiniti, per cui tutte e tutti possono toccare con mano tutta la persistenza dei valori democratici.
Non per nulla proprio in omaggio a questi valori è installato nella anticamera della presidenza del Consiglio, da anni funziona a pieno regime un governo ombra, quello terzogenderista dell’UNAR. Un ufficio che ha lavorato con impegno instancabile, e indubbia coerenza personale, alla attuazione del «Piano» (sic) elaborato già sotto i fasti renziani e boschiani, per la imposizione capillare nella società in generale e nella scuola in particolare, di tutto l’armamentario omosessista.
Il cavallo di battaglia di questa benemerita entità governativa è la difesa dei «diritti delle coppie dello stesso sesso», dove sia il «diritto», che la «coppia» hanno lo stesso senso dei famosi cavoli a merenda.
Ecco dunque un esempio significativo ed eccellente di quella desertificazione della politica per cui il governo ombra guidato da interessi particolari in collaborazione e in sintonia con centri di potere radicati in istituzioni sovranazionali, possa resistere ad ogni cambio di governo istituzionale senza che ne vengano disinnescati potere e funzioni.
I partiti, dismessi gli apparati ideologici, e omogeneizzati nella sostanza, sono ridotti a «parti», alla moda di quelle fiorentine che pure un qualche ideale di fondo ce l’avevano, anche se tutte si assestavano su un gioco di potere.
Qui prevale il gioco dei quattro cantoni, dove tutti sono guidati dall’utile di parte che coincide a seconda dei casi con l’utile politico personale o ritenuto tale. Un utile calcolato tra l’altro senza vera intelligenza politica ovvero senza intelligenza tout court. Anche chi si è abbigliato di principi non negoziabili, alla bisogna può negoziare tutto, perché secondo il noto Principio della Dinamica Politica, «Tutto vale fino ad un certo punto».
Tajani, insieme a Rossella O’Hara ci ha offerto il compendio di tutta la filosofia occidentale contemporanea. Quindi dobbiamo stare sereni. Ma i genitori attoniti devono comprendere che quei libretti e questa scuola non sono caduti dal cielo. Sono il frutto di una politica diventata capace di tutto perché incapace a tutto sotto ogni bandiera.
Patrizia Fermani
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Pensiero
Putin: il futuro risiede nella «visione sovrana del mondo»

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Pensiero
La questione di Heidegger

Negli scorsi mesi è scoppiata sul quotidiano La Verità una bizzarra diatriba riguardo ad un pensatore finito purtroppo per essere centrale nel nostro panorama filosofico accademico, Martin Heidegger (1889-1976), già noto per la collaborazione con il nazismo e per l’adulterio consumato con la celebre ebrea Hannah Arendt, all’epoca sua studentessa, e da alcuni, per qualche ragione, considerato come un filosofo «cattolico».
Un articolista con fotina antica a nome Boni Castellane (supponiamo si chiami Bonifazio, ma lo si trova scritto così, con il diminutivo, immaginiamo) ha cominciato, con un pezzo importante, a magnificare le qualità dell’Heidegger lo scorso 17 agosto:«Omologati e schiavi della Tecnologia – Heidegger ci aveva visti in anticipo».
Giorni dopo, aveva risposto un duo di autori, tra cui Massimo Gandolfini, noto, oltre che la fotina con il sigaro, per aver guidato (per ragioni a noi sconosciute) eventi cattolici di odore vescovile, che come da programma non sono andati da nessuna parte, se non verso la narcosi della dissidenza rimasta e il compromesso cattolico. Sono seguite altri botta e risposta sul ruolo del «sacro» secondo l’Heideggerro e la sua incompatibilità con il cristianesimo.
Il Gandolfini e il suo sodale scrivono, non senza ragione, che «il dio a cui si riferisce Heidegger non è il nostro». Una verità non nota agli intellettuali cattolici che, in costante complesso di inferiorità nei confronti del mondo, hanno iniziato ad importare il pensatore tedesco dalle Università italiane – dove ha tracimato, dopo un progetto di inoculo sintetico non differente da quello avutosi con Nietzsche – per finire addirittura nei seminari.
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Il progetto, spiegava anni fa Gianni Collu al direttore di Renovatio 21, era del tutto identico a quello visto con Nietzsche, recuperato dall’ambito della cultura nazista, purgato nell’edizione Adelphi di Giorgio Colli e Mazzino Montinari – la cura dell’opera omnia nicciana arriva prima in italiano che in tedesco! – e servito alla massa del ceto medio riflessivo italiota, e mondiale, per distoglierlo dal marxismo e introdurre elementi di irrazionalismo e individualismo nichilista nella vita del popolo – di lì all’esoterismo di massa, il passo diventa brevissimo.
Con Heidegger si è tentato un lavoro simile, ma Collu aveva profetizzato allo scrivente che stavolta non avrebbe avuto successo, perché era troppo il peso del suo legame con l’hitlerismo, e troppa pure la cifra improponibile del suo pensiero. Di lì a poco, vi fu lo scandalo dei cosiddetti «Quaderni neri», scritti ritenuti inaccettabili che improvvisamente sarebbero riemersi – in verità, molti sapevano, ma il programma di heidegerizzare la cultura (compresa quella cattolica) imponeva di chiudere un occhio, si vede. Fu ad ogni modo divertente vedere lo stupore di autori e autrici che avevano dedicato una buona porzione della carriera allo Heidegger – specie se di origini ebraiche.
L’incompatibilità di Heidegger – portatore di una filosofia oscura e disperata – con il cattolicesimo è, comunque, totale. Di Heidegger non vanno solo segnalati i pericoli, va combattuto interamente il suo pensiero, che altro non è se non un ulteriore sforzo per eliminare la metafisica, e quindi ogni prospettiva non materiale – cioè spirituale – per l’uomo.
Molto vi sarebbe da dire sul personaggio, anche a partire dal suo dramma biografico. Lasciamo qui la parola al professor Matteo D’Amico, che ha trattato il tema dell’influenza di Heidegger nel mondo cattolico, e la difformità di questo personaggio e del suo pensiero, in un intervento al Convegno di studi di Rimini della Fraternità San Pio X nel 2017.
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Immagine di Landesarchiv Baden-Württemberg, Staatsarchiv Freiburg W 134 Nr. 060680b / Fotograf: Willy Pragher via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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