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Geopolitica

Biden ha distrutto il Nord Stream 2: più che terrorismo di Stato, è un «atto di guerra»

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Si tratta della notizia del mese, dell’anno, forse del decennio. Il più importante mistero geopolitico dei nostri anni, almeno dall’11 settembre a questa parte, parrebbe aver trovato una soluzione – il bombardamento del gasdotto Nord Stream 2 ha un colpevole: Biden e la sua amministrazione.

 

Seymour Hersh, detto anche «Cy», è il giornalista premio Pulitzer che a fine anni Sessanta portò alle cronache i massacri orrendi perpetrati dalle truppe USA in Vietnam (il caso di My Lai») così come le torture viste in Iraq (il caso Abu Grahib). Successivamente, Hersh – forte come sempre di fonti attendibili – ha messo in dubbio la versione ufficiale della morte di Bin Laden per opera del commando americano dei Navy Seals Team 6. Il lettore di Renovatio 21 può aver letto il nome di Hersh nelle storie su Epstein: è il giornalista che ritiene che il padre di Ghislaine Maxwell – inseparabile dama di Epstein –, il mogul britannico Robert Maxwell, fosse in realtà una spia atomica del Mossad.

 

Nonostante la carriera più che cinquantennale – mezzo secolo di inchieste dirompenti su Esercito, CIA, potere dell’establishment americano vario – e i vari premi ricevuti, oggi Seymour Hersh ha dovuto pubblicare il suo sconvolgente articolo su Substack, la piattaforma per le penne esodate dai grandi media. (Questo dice davvero molto sullo stato della stampa odierna, asservita al potere in modo spudorato, vergognoso).

 

In un lungo reportage dettagliato e scioccante, Hersh dimostra come l’amministrazione Biden e l’esercito degli Stati Uniti si siano mobilitati per pianificare e portare a termine l’esplosione degli oleodotti russo-tedeschi Nord Stream.

 

Questo progetto, racconta Hersh, è iniziato nel 2021. Il quartier generale del comando selezionato per eseguire l’assalto fisico ai gasdotti sarebbe stato l’altamente riservato U.S. Navy’s Diving and Salvage Center a Panama City, in Florida. La scelta della struttura di Panama City sarebbe basata sulla possibilità di ammantare tutto nella segretezza più assoluta. In quanto personale della Marina, le operazioni dei membri del centro azioni non sono soggette a quelle operazioni segrete che invece devono essere segnalate e informate in anticipo ai vertici del Senato e della Camera. Hersh ricorda inoltre un’operazione di spionaggio sottomarino riuscita nel 1971, quando gli americani riuscirono a piazzare una cimice su un cavo militare subacqueo della Marina russa.

 

«Lo scorso giugno», scrive Hersh, «i sommozzatori della Marina, operando sotto la copertura di un’esercitazione NATO di mezza estate nota come BALTOPS 22, hanno piazzato gli esplosivi attivati ​​a distanza che, tre mesi dopo, hanno distrutto tre dei quattro oleodotti Nord Stream, secondo una fonte con conoscenza diretta della pianificazione operativa».

 

A suo tempo, Renovatio 21 ha scritto plurime volte della bizzarra coincidenza per cui l’esplosione del gasdotto sia avvenuta esattamente nel punto in cui a giugno era avvenute le cicliche esercitazioni NATO BALTOPS 22, peraltro organizzate dalla Sesta Flotta degli USA, la cui nave ammiraglia è di basa a Gaeta, in Italia.

 

Nell’articolo viene dato conto del sostegno di certa parte della politica, per esempio il senatore texano Ted Cruz, idolo di tanti conservatori. «L’opposizione al Nord Stream 2 è divampata alla vigilia dell’inaugurazione di Biden nel gennaio 2021, quando i repubblicani del Senato, guidati da Ted Cruz (…) hanno ripetutamente sollevato la minaccia politica del gas naturale russo a buon mercato durante l’udienza di conferma di Blinken». A quel punto, continua Hersh, il Senato «aveva approvato con successo una legge che… bloccava [il gasdotto] sul suo percorso».

 

La trazione repubblicana dell’immane atto di sabotaggio si sarebbe fatta sentire con forza. Quando Biden, in comunicazione con Zelens’kyj, esitava a muoversi contro gli oleodotti, i repubblicani del Senato hanno reagito, bloccando tutti i candidati alla politica estera di Biden e ritardando l’approvazione del disegno di legge annuale sulla difesa fino all’autunno.

 

Al contempo, è dettagliato senza infingimenti il fatto che i gasdotti Nord Stream avvantaggiavano la Germania fornendo energia a basso costo all’Europa, una sorta di continuazione concreta della Ostpolitik di Willy Brandt. Si ricorda che il gas economico della Russia di fatto allontana la Germania e l’Europa dalla sfera di influenza americana – e dalle sue esportazioni. «A Washington non era chiaro dove si trovasse Olaf Scholz, il nuovo cancelliere della Germania», scrive Hersh, ricordando un suo discorso a Praga che di fatto faceva pensare ad un allontanamento da Washington. Il lettore di Renovatio 21 sa delle rivelazioni apparse qualche tempo fa sui giornali tedeschi: la CIA avrebbe avvertito i servizi tedeschi del piano di distruzione dei gasdotti settimane prima del fatto.

 

La pianificazione operativa per un attacco fisico agli oleodotti è iniziata quindi a partire da dicembre 2021. Il presunto motivo degli incontri segreti di alto livello tenutisi in quel momento alla Casa Bianca, era l’affermazione che il presidente russo Vladimir Putin stava per invadere l’Ucraina. Quelli convocati dai capi di stato maggiore congiunti, dalla CIA, dai dipartimenti di Stato e del Tesoro, cominciarono a rendersi conto che questo argomento – l’Ucraina – era completamente legato nei procedimenti segreti ai piani per distruggere gli oleodotti. Si sono verificati molti altri incontri.

 

Le fonti di Hersh non nascondono il fatto che c’era scetticismo in reazione all’«entusiasmo della CIA per un attacco segreto in acque profonde». Hersh rivela che «alcuni lavoratori della CIA e del Dipartimento di Stato dicevano: “Non fatelo. È stupido e se uscirà fuori sarà un incubo politico”». Tuttavia, all’inizio del 2022, il gruppo di lavoro della CIA ha riferito al gruppo interagenzie guidato dal giovane consigliere per la sicurezza nazionale (e consigliere della campagna di Hillary Clinton, e falco antirusso) Jake Sullivan: «abbiamo un modo per far saltare in aria gli oleodotti».

 

Poco dopo, Biden si incontrava a Washington con Scholz, che è stato spinto a sostenere la squadra statunitense. Quella è stata la conferenza stampa in cui Biden ha balbettato: «Se la Russia invade… non ci sarà più un Nord Stream 2». Biden stava semplicemente ripetendo, osserva Hersh, ciò che Victoria Nuland aveva detto 20 giorni prima, in un briefing del Dipartimento di Stato: «Se la Russia invade l’Ucraina, in un modo o nell’altro il Nord Stream 2 non andrà avanti».

 

Sono video che vi ha fatto vedere a suo tempo Renovatio 21.

 

«Se la Russia invade… allora non ci sarà più un Nord Stream 2. Porremo fine a tutto questo» aveva detto pubblicamente Biden. Alla giornalista che aveva giustamente chiesto come aveva intenzione di farlo, ha risposto non troppo vagamente: «Te lo giuro, saremo in grado di farlo».

 

Non possiamo tuttavia dimenticare che lo aveva detto con estrema chiarezza anche da Victoria Nuland, alta funzionaria neocon del dipartimento di Stato, moglie di famiglia neocon, responsabile per l’Eurasia e soprattutto per tutti questi anni di disastro a Kiev.

 

Ricorderete poi le buffe smentite degli stessi.

 

Hersh racconta della frustrazione dei membri dell’operazione nel vedere Biden che spiattella il piano in mondovisione: la covert operation, l’operazione coperta, non era più coperta.

 

«È stato come mettere una bomba atomica a terra a Tokyo e dire ai giapponesi che l’avremo fatta esplodere», dice la fonte. «Il piano prevedeva che le opzioni venissero eseguite dopo l’invasione e non pubblicizzate pubblicamente. Biden semplicemente non l’ha capito o l’ha ignorato».

 

Tecnicamente, si voleva far saltare i gasdotti con dell’esplosivo C4 e bombe a timer: si tratta dell’operazione per cui si erano esercitati i sommozzatori in Florida. Le bombe avrebbero dovuto esplodere poche ore dopo la fine dell’esercitazione della NATO BALTOPS 22. All’ultimo momento, i piani alti sembrano aver cambiato il programma: farle esplodere così, a pochissimo tempo dalle esercitazioni NATO sarebbe stato sospetto, pensavano a Washington. Meglio quindi piazzare gli esplosivi, e poi utilizzare un radiocomando per farli esplodere alla bisogna.

 

Nell’articolo è raccontato con dovizia di particolari il ruolo di una nuova base sottomarina degli USA in Norvegia, Paese ricco di idrocarburi che, notiamo en passant, è la patria del segretario NATO Jens Stoltenberg, e il cui gasdotto per la Polonia è stato, coincidenza significativa, inaugurato nelle stesse ore in cui il Nord Stream 2 veniva devastato sul fondo del Baltico.

 

I dettagli messi in campo da Hersh ci paiono un po’ troppi per poter smentire. Tuttavia, nella svergognata era di Joe Biden, si tira dritto: la Casa Bianca, implicata pesantemente e con nomi e cognomi nel reportage del decano dei giornalisti investigativi, ha smentito con decisione: la portavoce della Casa Bianca Adrienne Watson ha già risposto via mail: «Questa è una finzione falsa e completa». Anche la CIA avrebbe smentito seccamente.

 

La fonte di Hersh ammette in fondo al pezzo che bisogna riconoscere che Biden «ha avuto le palle» per fare quello che aveva detto avrebbe fatto. Tutto, nell’operazione Nord Stream è stato perfetto, dice la fonte, «a parte la stessa decisione di farlo».

 

«Questa non è roba da bambini», dice la gola profonda di Hersh parlando della segretezza con cui si muoveva l’operazione. Se l’attacco viene ricondotto agli Stati Uniti, «è un atto di guerra».

 

È impossibile non essere d’accordo. I russi descrivevano il caso come un atto di «terrorismo internazionale»; ora sappiamo che si tratta pure di «terrorismo di Stato». Lo Stato di terrore in cui è gettata l’Europa in questa crisi economico-energetica autoinflitta, è una forma di terrorismo di Stato ulteriore, basata su strumenti di offesa di ordine economico, come una bomba che colpisce le vite di mezzo miliardo di cittadini europei.

 

Ora, tuttavia, sappiamo che è possibile non solo parlare di terrorismo, ma di «atto di guerra». Perché gli stessi perpetratori lo sapevano, ma nella demenza della Casa Bianca di Biden, sono andati avanti lo stesso.

 

Come risponderà la Russia? A questo punto, è lecito aspettarsi anche l’impensabile. Un atto di guerra, pure dichiarato a questo punto, chiama come risposta la guerra. In pratica, siamo davvero – davvero – sull’orlo della Terza Guerra Mondiale.

 

E la Terza Guerra Mondiale non sarà combattuta con tubature di gas – ma con armi termonucleari ipersoniche, che non ci daranno nemmeno il tempo di capire che sta accadendo, che la fine del mondo è davvero ad un passo.

 

Lo avevamo scritto nel primo articolo di analisi della catastrofe del Nord Stream, guardando le foto di questo immenso gorgo bianco al fondo dell’Oceano. Nella mitologia norrena, Amleto – personaggio folclorico magico ed eroico, poi umanizzato da Shakespeare – possiede un favoloso mulino che, nei tempi antichi, portava molta pace e prosperità. Più tardi, durante la decadenza, il mulino cominciò a macinare il sale. Caduto in fondo al mare, ora macina rocce e sabbia, creando un grande vortice identificato con il «Maelstrom, la corrente che macina». Un gorgo che tutto inghiotte.

 

L’Europa è la prima cosa che il mulino di Amleto sta inghiottendo – la sua esistenza è stata programmata di là dell’Oceano proprio per questo, in realtà.

 

Tuttavia il mulino di Amleto potrà andare ben oltre, e portare nell’abisso l’intero mondo.

 

Accadrà mentre i vostri concittadini, quelli che mai leggeranno queste righe, sono impegnati a pensare a Zelens’kyj a Sanremo.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

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Attacco israeliano in Qatar. La condanna di Trump

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Israele ha condotto un «attacco di precisione» contro «i vertici di Hamas», hanno annunciato martedì le Forze di difesa israeliane (IDF), poco dopo che numerose esplosioni hanno scosso il quartier generale del gruppo militante palestinese a Doha, in Qatar.

 

Da parte delle forze dello Stato Ebraico, si tratta di una violazione territoriale inedita, perché – a differenza di casi analoghi in Libano e Iran – condotta in uno Stato «alleato» di Washington e dell’Occidente, cui fornisce capitale e gas. L’attacco pare essere stato diretto ai negoziatori di Hamas, i quali avevano ricevuto dal presidente americano Trump un invito al tavolo della pace poco prima.

 

L’esercito israeliano ha dichiarato di aver condotto l’operazione in coordinamento con l’agenzia di sicurezza Shin Bet (ISA). Le IDF non hanno indicato il luogo esatto preso di mira dall’attacco.

 

«L’IDF e l’ISA hanno condotto un attacco mirato contro i vertici dell’organizzazione terroristica Hamas», ha dichiarato l’IDF in una nota. «Prima dell’attacco, sono state adottate misure per mitigare i danni ai civili, tra cui l’uso di munizioni di precisione e di intelligence aggiuntiva».

 

L’annuncio è arrivato dopo che almeno dieci esplosioni avrebbero scosso il quartier generale di Hamas a Doha. I filmati che circolano online mostrano che l’edificio è stato gravemente danneggiato. Secondo diversi resoconti dei media che citano fonti di Hamas, l’attacco ha preso di mira il team negoziale del gruppo, che stava discutendo l’ultima proposta statunitense sulla cessazione delle ostilità con Israele.

 

Il Qatar ha condannato il «vile attacco israeliano», descrivendo il luogo interessato dall’attacco come «edifici residenziali che ospitano diversi membri dell’ufficio politico del movimento Hamas».

 

 

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L’attacco israeliano a Doha è stato un «momento cruciale» per l’intera regione, ha affermato il primo ministro del Qatar, lo sceicco Mohammed bin Abdulrahman al-Thani, condannando l’attacco come «terrorismo di Stato».

 

L’attacco a sorpresa non sarà «ignorato» e il Qatar «si riserva il diritto di rispondere a questo attacco palese», ha dichiarato il primo ministro in una conferenza stampa. «Oggi abbiamo raggiunto un punto di svolta affinché l’intera regione dia una risposta a una condotta così barbara».

 

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Al-Thani ha attaccato duramente il suo omologo israeliano, Benjamin Netanyahu, accusandolo di compromettere la stabilità regionale in nome di «deliri narcisistici» e interessi personali. Il Qatar continuerà il suo impegno di mediazione per risolvere le persistenti ostilità con Hamas, ha affermato.

 

Il primo ministro quatarino ha ammesso che lo spazio per la diplomazia è ormai diventato molto ristretto e che l’attacco ha probabilmente fatto deragliare il ciclo di negoziati dedicato all’ultima proposta avanzata dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump.

 

«Per quanto riguarda i colloqui in corso, non credo che ci sia nulla di valido dopo aver assistito a un attacco del genere», ha affermato.

 

L’attacco israeliano è avvenuto due giorni dopo che il presidente degli Stati Uniti aveva lanciato un altro «ultimo avvertimento» ad Hamas, sostenendo che Israele aveva già accettato termini non specificati di un accordo da lui proposto e chiedendo al gruppo di rilasciare gli ostaggi israeliani ancora detenuti a Gaza. Poco dopo, anche il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha dato al gruppo un “ultimo avvertimento”, minacciando Hamas di annientamento e intimando ai militanti di deporre le armi. In seguito alle minacce, Hamas aveva dichiarato di essere pronta a «sedersi immediatamente al tavolo delle trattative» dopo aver ascoltato quelle che ha descritto come «alcune idee da parte americana volte a raggiungere un accordo di cessate il fuoco».

 

Tuttavia nelle ultime ore è emersa la condanna del presidente statunitense contro l’attacco israeliano. In una dichiarazione pubblicata martedì su Truth Social, Trump ha criticato l’attacco aereo di Israele contro un complesso di Hamas a Doha, sottolineando che la decisione di portare a termine l’operazione all’interno del Qatar è stata presa unilateralmente dal primo ministro Benjamin Netanyahu e non da Washington.

 

Nel suo post Trump ha affermato che il bombardamento israeliano all’interno di «una nazione sovrana e stretto alleato degli Stati Uniti» non ha «favorito gli obiettivi di Israele o dell’America».

 

«Considero il Qatar un forte alleato e amico degli Stati Uniti e mi dispiace molto per il luogo dell’attacco», ha scritto, sottolineando che l’attacco è stato «una decisione presa dal primo ministro Netanyahu, non una decisione presa da me».

 

Trump ha affermato che, non appena informato dell’operazione, ha incaricato l’inviato speciale statunitense Steve Witkoff di avvertire i funzionari del Qatar, ma ha osservato che l’allerta è arrivata «troppo tardi per fermare l’attacco». Il presidente ha affermato che eliminare Hamas era un «obiettivo degno», ma ha espresso la speranza che «questo sfortunato incidente possa servire come un’opportunità per la PACE».

 

Da allora Trump ha parlato con Netanyahu, che gli ha detto di voler fare la pace, e con i leader del Qatar, che ha ringraziato per il loro sostegno e ha assicurato che «una cosa del genere non accadrà più sul loro territorio».

 

La Casa Bianca ha definito l’attacco un incidente «sfortunato». Trump ha dichiarato di aver incaricato il Segretario di Stato Marco Rubio di finalizzare un accordo di cooperazione per la difesa con il Qatar, designato come «importante alleato non NATO».

 

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Nell’operazione circa 15 aerei da guerra israeliani hanno sparato almeno dieci munizioni durante l’operazione di martedì, uccidendo diversi membri di Hamas, tra cui il figlio dell’alto funzionario Khalil al-Hayya. Hamas ha affermato che i suoi vertici sono sopravvissuti all’attacco, descritto come un tentativo di assassinare i negoziatori impegnati a raggiungere un possibile accordo.

L’ufficio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha insistito sul fatto che l’attacco ad Hamas in Qatar è stato un’azione unilaterale e che nessun altro paese è stato coinvolto nell’operazione.

 

«L’azione odierna contro i principali capi terroristi di Hamas è stata un’operazione israeliana del tutto indipendente. Israele l’ha avviata, Israele l’ha condotta e Israele si assume la piena responsabilità», si legge in una nota.

 

Il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha condannato l’attacco israeliano definendolo una «flagrante violazione della sovranità e dell’integrità territoriale del Qatar». «Tutte le parti devono impegnarsi per raggiungere un cessate il fuoco permanente, non per distruggerlo», ha detto ai giornalisti.

 

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Geopolitica

Lavrov: la Russia non ha voglia di vendetta

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La Russia non ha intenzione di vendicarsi dei paesi occidentali che hanno interrotto i rapporti e fatto pressioni su Mosca a causa del conflitto in Ucraina, ha affermato il ministro degli Esteri Sergej Lavrov.   Intervenendo lunedì all’Istituto statale di relazioni internazionali di Mosca, Lavrov ha sottolineato che la Russia non intende «vendicarsi o sfogare la propria rabbia» sulle aziende che hanno deciso di sostenere i governi occidentali nel loro tentativo di sostenere Kiev e imporre sanzioni economiche a Mosca, aggiungendo che l’ostilità è generalmente «una cattiva consigliera».   «Quando i nostri ex partner occidentali torneranno in sé… non li respingeremo. Ma… terremo conto che, essendo fuggiti su ordine dei loro leader politici, si sono dimostrati inaffidabili», ha affermato il ministro.   Secondo Lavrov, qualsiasi futuro accesso al mercato dipenderà anche dalla possibilità che le aziende rappresentino un rischio per i settori vitali per l’economia e la sicurezza della Russia.

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Il ministro ha sottolineato che la Russia è aperta alla cooperazione e non ha alcuna intenzione di isolarsi. «Viviamo su un piccolo pianeta. Costruire i muri di Berlino è stato in stile occidentale… Non vogliamo costruire alcun muro», ha affermato, riferendosi al simbolo della Guerra Fredda che ha diviso la capitale tedesca dal 1961 al 1989.   «Vogliamo lavorare onestamente e se i nostri partner sono pronti a fare lo stesso sulla base dell’uguaglianza e del rispetto reciproco, siamo aperti al dialogo con tutti», ha affermato, indicando il vertice in Alaska tra il presidente russo Vladimir Putin e il suo omologo statunitense, Donald Trump, come esempio di impegno costruttivo.   Il portavoce del Cremlino Demetrio Peskov ha dichiarato sabato che le aziende occidentali sarebbero state benvenute se non avessero sostenuto l’esercito ucraino e avessero rispettato gli obblighi nei confronti dello Stato e del personale russo, tra cui il pagamento degli stipendi dovuti.   Questo mese Putin ha anche respinto l’isolazionismo, sottolineando che la Russia vorrebbe evitare di chiudersi in un «guscio nazionale», poiché ciò danneggerebbe la competitività. «Non abbiamo mai respinto o espulso nessuno. Chi vuole rientrare è il benvenuto», ha aggiunto.

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Geopolitica

Museo dell’Olocausto ritira post perché leggibile come filo-Gaza

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Un museo dell’Olocausto di Los Angeles ha cancellato un post sui social media contenente uno slogan da tempo associato all’Olocausto, dopo che alcune persone hanno affermato che alludeva alla guerra di Gaza.

 

Il messaggio, condiviso con i 24.000 follower su Instagram dell’Holocaust Museum di Los Angeles nel fine settimana, mostrava un’immagine di mani e avambracci di diverse tonalità di pelle – tra cui una con un tatuaggio dell’Olocausto – uniti in un cerchio. La didascalia recitava: «Mai più non può significare solo mai più per gli ebrei».

 

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Sebbene inizialmente alcuni abbiano elogiato il post come un riconoscimento delle sofferenze dei palestinesi, esso ha subito suscitato reazioni negative da parte dei gruppi ebraici, spingendone alla sua rimozione.

 

In seguito il museo ha affermato che il post faceva parte di una campagna pianificata in precedenza «intesa a promuovere l’inclusività e la comunità», non «una dichiarazione politica che riflette la situazione attuale in Medio Oriente».

 

Sebbene il post non menzionasse Gaza, alcuni commentatori filo-israeliani hanno esortato i donatori a tagliare i finanziamenti all’istituzione. La rimozione del post, a sua volta, ha portato voci filo-palestinesi ad accusare il museo di fare marcia indietro su un principio universale anti-genocidio.

 

 

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Un post condiviso da Holocaust Museum LA (@holocaustmuseumla)

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Il museo di Los Angeles, fondato nel 1961 dai sopravvissuti all’Olocausto, è attualmente chiuso per ristrutturazione fino a giugno 2026. Si è impegnato a «fare meglio» e a garantire che i post futuri siano «progettati in modo più attento».

 

Si tratta di un caso di fulminea rieducazione infraebraica non dissimile a quello capitato, alle nostre latitudini, allo storico universitario Ariel Toaff, figlio del notissimo rabbino romano Elio Toaff, il cui libro sul sacrificio rituale ebraico fu ritirato rapidamente dalle librerie per uscire in una versione «potata».

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Immagine di Lamoth via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported

 

 

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