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Bergoglio e l’«Opus Gay»

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Ad un convegno tradizionalista di una diecina di anni fa incontrai un anziano, coriaceo studioso straniero di cose cattoliche – una persona speciale, un amico. Si occupava di cose di Chiesa da molto prima che nascessi, e aveva ovviamente ancora qualche entratura dentro le strutture del Sacro Palazzo.

 

Eravamo a pochi mesi dal bizzarro conclave che elesse Bergoglio, e si discuteva cosa stesse succedendo in Vaticano. Mi sparò, con stupendo accento oltremontano, una battuta poco politicamente corretta, che disse di aver sentito da un amico che lavorava oltretevere: «a Rhoma ora ci sono tre opuss: opuss dèi, opus ghei, opuss ebrheih».

 

Riguardo alla precisione di questa battuta – da cui prendo ovviamente le distanze – gli anni successivi mi avrebbero dato qualche dimostrazione.

 

L’Opus Dei, pare che contrariamente a quanto previsto scherzosamente abbia invece perso potere, anche se di sforzi per restare a galla deve averne fatti: un po’ il destino di CL, che prese botte dal pontefice per un primo periodo, poi fece un po’ di «aperture» (lato sensu, stricto sensu) per tornare nelle grazie della centrale, e adesso non sappiamo bene che fine abbia fatto.

 

Riguardo agli ebrei, l’immagine che torna è quella di Netanyahu che guida Bergoglio alla tomba di Theodor Herzl, il fondatore del sionismo, che fu ricevuto da papa San Pio X ricevendo secchiate di acqua (santa) fredda riguardo un appoggio cattolico al ritorno degli ebrei in Palestina. Stiamo vedendo, ora, le ramificazioni dell’azione di Herzl, e con le chiese e le suore bombardate a Gaza ci si chiede davvero il significato storico e metastorico della peregrinatio papale alla lapide dell’archetipo sionista.

 

Per quanto concerne l’«Opus gay», davanti ai nostri occhi abbiamo da qualche ora l’ultimo sviluppo. Le agenzie di tutto il mondo hanno battuto la notizia, compreso il portale Vatican News, che ha usato le stesse parole di chiunque altro. Si tratta di una «dichiarazione dottrinale apre alle benedizioni per coppie “irregolari”». C’è quel verbo che torna sempre, «aprire». La Santa Sede «apre».

 

«Con Fiducia supplicans del Dicastero per la Dottrina della Fede, approvata dal Papa, sarà possibile benedire coppie formate da persone dello stesso sesso ma al di fuori di qualsiasi ritualizzazione e imitazione delle nozze» scrive il sito vaticano.

 

«Di fronte alla richiesta di due persone di essere benedette, anche se la loro condizione di coppia è “irregolare”, sarà possibile per il ministro ordinato acconsentire» è scritto. Nella neolingua catto-orwelliana, «irregolare» significa LGBT, o, per usare una parola biblica, sodomita, et similia. Fiducia supplicans riguarda «la possibilità di benedire le coppie in situazioni irregolari e le coppie dello stesso sesso» il «Dicastero ha preso in considerazione diverse domande, sia formali che informali, circa la possibilità di benedire coppie dello stesso sesso e circa la possibilità di offrire nuovi chiarimenti, alla luce dell’atteggiamento paterno e pastorale di Papa Francesco».

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Bisogna rendersi conto che erano 23 anni (dalla Dominus Jesus, anno 2000) che il Dicastero della Dottrina della Fede non pubblicava una dichiarazione. Appena arrivato, il cardinale Victor Manuel Fernández, già noto per i sui libri monografici sul bacio, ha pensato bene che era il caso di uscire subito per benedire le coppie omosessuali: si tratta il «significato pastorale delle benedizioni», permettendo «di ampliarne e arricchirne la comprensione classica» attraverso una riflessione teologica «basata sulla visione pastorale di Papa Francesco».

 

Non è chiaro se il cardinale argentino esperto di kissing, sappia di cosa stia parlando. Cioè se ha presente cosa sono le «coppie dello stesso sesso»: abbiamo idea che, nella finzione dell’accrocchio LGBT, non si tratti di bisessuali o transessuali (per loro c’è già un’altra pista di decollo preparata) e anche delle lesbiche, un tempo note per la loro «monogamia» fondamentalista. Parliamo, ovviamente, del gruppo dominante, quello degli omosessuali maschi.

 

E come sia struttura una coppia di omosessuali, oggi, non sappiamo nemmeno se si possa dire. Tempo fa abbiamo cercato informazioni sulla promiscuità omosessuale, rilevando che per Wikipedia non vi sarebbe alcuna differenza con gli eterosessuali, che avrebbero in media lo stesso numero di partner. Noi ricordavamo un’aneddotica diversa: maschi che hanno decine, centinaia di partner nell’arco di poco tempo.

 

L’esempio che sale alla mente è il paziente zero dell’AIDS, allora malattia sconosciuta (la chiamavano GRID, Gay Related Immunodeficiency, ovvero «Immunodeficienza dei gay»), lo steward canadese Gaëtan Dugas, il quale ammise di avere centinaia di partner sessuali all’anno per un computo che superava, nel solo Nordamerica, i 2500 dal 1972. Si dice che grazie alla lista dei suoi amanti occasionali (avevo lo scrupolo di annotare i nomi, cosa non semplice in certi ambienti, come i cessi pubblici, i cespugli, le dark room) si riuscì a costruire una genealogia dell’epidemia di AIDS.

 

La promiscuità dei gay oggi è negata dalle fonti, con studi alla mano: e ai tempi di Tinder potrebbe pure essere vero che gli eterosessuali fanno più o meno così anche loro, del resto Tinder deriva da Grindr, l’app per incontri gay dove si dice tanti sacerdoti siano impigliati e che, idea che porta avanti Renovatio 21, potrebbe essere alla base dell’accordo sino-vaticano (il software, che potrebbe sputtanare chissà quanta gerarchia cattolica, è passato per le mani di una società cinese…).

 

È un fatto: l’eterosessualità, per via culturale (film, serie, articoli di giornale: è la cosiddetta hookup culture, quella del sesso immediato con chi si conosce), modistica (i metrosexual) e perfino informatica, è stata colonizzata dalla sensibilità gay, e lo stesso dicasi per certo mondo lesbico, che pare oggi essersi allontanato dal monogamismo ossessivo di una volta (forse uno dei motivi per i quali la società dei «bigotti» tendeva nei loro confronti ad essere più tollerante). Anche qui: serie TV, film, produzione culturale sulla lesbica promiscua, che fino a poco fa poteva sembrare una contradictio in adiecto.

 

E le «coppie gay»? L’idea che gli omosessuali maschi avessero relazioni stabili monogamiche arrivò al grande pubblico con il film di Tom Hanks Philadelphia (1997). Chi scrive ha notato come con gli anni Duemila hanno cominciato a rendersi visibili all’aperto; non perché si tenessero per mano, ma perché, in alcuni casi, ci si trovava davanti a due persone grottescamente simili: stessa capigliatura, stessa barba, stesso maglione, stessi vestiti, tipo dei gemelli omozigoti, specchiati. Un fenomeno che non ho mai capito fino in fondo, anche se immagino che l’esorcismo del tradimento possa avere un ruolo.

 

(Una sera a Firenze, una coppia di questo tipo si avventò contro una tavolata di amici con cui stavo passando un dopo-conferenza a Firenze: erano stati in silenzio con espressione greve in un tavolino in fondo per tutta la serata, probabilmente, in mancanza dell’umore e di argomenti con cui chiacchierare assieme ad uno che è vestito e pettinato come una tua copia speculare, origliarono molto i nostri gioviali discorsi, e andando via vennero da noi per urlare alla nostra allegra combriccola che Gesù cristo si sarebbe vergognato di noi – già l’uso del tempo passato già diceva molto, ma ricordo ancora come alcuni commensali, cattolici del semplice vecchio tipo, non capirono cosa stesse accadendo)

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Appena ventenne, chi scrive fu portato dalla sua ragazza e da una sua amica – una di quelle attorniata da gay, dette nel loro gergo interno fag-hug – in un bed and breakfast sulle colline sopra Nizza. A gestirlo c’era una «coppia» di personaggi provenienti da varie parti d’Europa: un trentenne, un ragazzo la cui bellezza saltava all’occhio, e un signore, una vita in giro per i mari del mondo, molto più anziano.

 

Avevo maturato l’impressione che il bel ragazzo, sicuro di sé, si facesse un po’ gli affari suoi, andava in una spiaggia determinata, etc. A bordo piscina sotto il sole della prima estate, il fidanzato della nostra amica mi spiegò, con strana naturalezza, come funzionano le cose in certe «coppie»: esiste, raccontava, una regola di alcuni ménage gay per cui se vuoi «tradire» il compagno lo puoi fare a patto che poi porti l’amante occasionale a casa, di modo che lo possa in caso «conoscere» anche il «tradito».

 

Tale idea veniva accettata dal mio interlocutore – un marcantonio romano buono come il pane – con certa normalità, mentre io mi chiedevo se il senso di scandalo e ripulsa che provavo dentro di me fosse giustificato. Entrambe le nostre ragazze lavoravano nel giro della moda a Milano, e quindi l’antropologia omosessuale, per quanto allora ancora non totalmente disinibita, era un elemento inevitabile delle loro vite. È, con evidenza, solo un aneddoto personale: magari mi sono imbattuto in una coppia gay perversa, così come quelle degli etero scambisti, certo. Non credo che troverò studi e statistiche a riguardo su Wikipedia.

 

Tuttavia, quando il cardinale Tucho Fernandez e il papa Bergoglio vogliono che si benedicano le «coppie gay», prima ancora che alla contraddizione ideologica riguardo alla benedizione di qualcosa che la Scrittura giudica «male», io penso a cosa vi sia nelle «coppie» che si presenteranno.

 

Non bisogna farsi illusioni, fa parte solamente di un processo di trasformazione sociale deciso dai signori del mondo e quindi ora propalato, come tutti gli altri – dal vaccino, all’immigrato, all’eco-fascismo alla produzione degli umani in provetta in giù – dal papato del Nuovo Ordine Mondiale.

 

Perché la «coppia gay» è un’operazione politica. Possiamo rileggere dei passaggi del libro Il movimento gay in Italia (1999), quando si parlava delle «unioni civili», poi divenute realtà con Renzi e la Cirinnà: «Le unioni civili sono un obiettivo simbolico formidabile. Rappresentano infatti la legittimazione dell’identità gay e lesbica attraverso una battaglia di libertà come quelle sul divorzio o sull’aborto, che dispone di argomenti semplici e convincenti: primo fra tutti la proclamazione di un modello normativo di omosessualità risolto e rassicurante. Con la torta nel forno e le tendine alle finestre, come l’ha definito una voce maligna».

 

La «torta nel forno e le tendine alle finestre»: definizione mirabile del lavoro percettivo che è stato fatto. Le coppie gay sono coppie – è gente per bene, gente che si vuole bene, sono di fatto famiglie come le altre, cucinano le stesse cose, arredano allo stesso modo.

 

«Il messaggio è più o meno il seguente: i gay non sono individui soli, meschini e nevrotici, ma persone splendide, affidabili ed equilibrate, tanto responsabili da desiderare di mettere su famiglia. Con questo look “affettivo” non esente da rischi di perbenismo si fa appello ai sentimenti più profondi della nazione e si vede a portata di mano il traguardo della normalità». Stiamo sempre prendendo dal movimento gay in Italia (1999), citato in un vecchio seminale articolo dello psicologo Roberto Marchesini apparso su Cristianità.

 

Il testo, scritto da un giornalista militante del movimento omosessuale oramai un quarto di secolo fa, andava avanti con profetico slancio: «A questa porta si bussa con discrezione, assicurando che non si vuole assolutamente il matrimonio omosessuale: questa prospettiva fa inorridire gli stessi gay. E nemmeno si rivendica la possibilità di adottare figli per le coppie omo, perché i tempi non sono maturi. Ci si accontenterebbe di regolare la questione dell’eredità, della pensione, dell’affitto, della reciproca assistenza fra i partner».

 

Sarebbe andata direttamente così: tutti a urlare che le unioni civili approvate non sono un matrimonio, anche se ne hanno tutto l’aspetto, con in più un diritto di cui gli sposati etero non dispongono: nelle unioni civili non vi è (guarda guarda) l’obbligo di fedeltà, cui invece è tenuto chi si sposa sia in chiesa che in comune. All’epoca vi fu il commento del politico omo-piddino, che parlò di retaggio medievale di cui un giorno si sarebbero liberati anche gli eterosessuati. Considerando come è andata con Tinder e la hookup culture, potrebbe avere decisamente ragione. La società intera viene gradualmente omosessualizzata.

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Il libro After the Ball (1989), una sorta di manifesto scritto da un neuropsichiatra e da un dirigente pubblicitario dove era enunciata l’intera strategia di normalizzazione degli omosessuali, riassumeva specificando che «noi non stiamo combattendo per sradicare la Famiglia: stiamo combattendo per il diritto a essere Famiglia (…) non è importante se i nostri messaggi sono bugie; non per noi, perché li stiamo usando per un effetto eticamente buono, per opporci a stereotipi negativi che sono sempre un pochino falsi, e molto di più malvagi; non per i bigotti, perché i messaggi avranno il loro effetto su di loro sia che ci credano sia che non ci credano».

 

Ecco, la nuova famiglia, o il surrogato invertito di essa ora è benedetto dal papa. Il percorso lo abbiamo visto da subito: il favore per l’«opus gay» era intuibile quando la giornalista brasiliana Ilse Scamparini, ancora nel 2013, gli chiese di ritorno dal suo primo viaggio apostolico riguardo al «prelato della lobby gay» (definizione da titolo della copertina de L’Espresso) che era suo ospite a Santa Marta, ottenendo come risposta il famigerato «chi sono io per giudicare?».

 

La faccenda continuò con il caso McCarrick, di cui ci diede testimonianza – pagando – monsignor Carlo Maria Viganò, che raccontò di come gli sembrò che, appena incontrato, il papa gli chiese del cardinale americano, quasi che fosse una trappola, un modo per vedere come reagiva. McCarrick sarebbe stato sberrettato solo in seguito, quando le accuse (oscene davvero: parliamo di ragazzini) rimbalzarono sul New York Times divenendo non più spazzabili sotto il tappeto. McCarrick, ricordiamo, è considerato importante per la stesura dell’accordo sino-vaticano (con l’ondata di martiri conseguente), e si dice che dormisse nel seminario della Chiesa Patriottica cinese, ossia la versione della Chiesa Cattolica secondo il Partito Comunista Cinese.

 

Altri segni li abbiamo visti nel tempo. Esalta a più riprese il gesuita pro-LGBT James Martin. Riceve transessuali in udienza privata, poi permette loro di fare da padrini ai battesimi. Condanna le leggi anti-sodomia dei Paesi africani. Pranza con un pullman di travestiti di Ostia. L’opera omotransessualista ha tanti capitoli, impossibile ricordarseli tutti.

 

Il disegno ad alcuni sembrerà completo, tuttavia non è così.

 

Anni fa scrivemmo del caso di Don Milani: incredibilmente, mentre sui giornali nazionali infuriava la polemica su un romanziere che nel suo ultimo libro sembrava suggerire che il sacerdote fosse pedofilo (idea che, secondo alcuni, potrebbe emergere anche da alcune sue lettere) la sua figura veniva celebrata in pompa magna dal ministero dell’Istruzione della Repubblica Italiana e dal papa stesso, che compose messaggi esaltando il Milano e visitando personalmente la tomba del Milani a Barbiana (era lo stesso anno in cui aveva reso omaggio a Herzl con a fianco Netanyahu, il 2017).

 

La schizofrenia diveniva ogni giorno più evidente, la dissonanza cognitiva era tanta: la grande stampa si accapigliava su una presunta pedofilia del Milani; il papato, di contro, non fuggiva, anzi, si produceva in manifestazioni di affetto assoluto per la figura del «maestro». C’era da rimanerci basiti. C’era da cominciare a farsi qualche domanda abissale.

 

Ecco, non siamo sicuri che l’omosessualità sarà l’ultimo fenomeno sdoganato e benedetto dal papato del Male.

 

Come ripetono i Vangeli: Qui habet aures audiendi, audiat.

 

Roberto Dal Bosco

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La prima donna primo ministro del Giappone si oppone al «matrimonio» omosessuale

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La nuova prima ministra giapponese, Sanae Takaichi, prima donna a ricoprire questa carica, si oppone al «matrimonio» omosessuale.   Takaichi, insediatasi martedì, ha espresso durante un dibattito elettorale dello scorso mese la sua contrarietà al «matrimonio» omosessuale, pur definendo «giusta» una relazione omosessuale, secondo il sito di informazione LGBT Them.   Nel 2023, durante una riunione della commissione bilancio del governo, ha descritto la legalizzazione del «matrimonio» omosessuale come una «questione estremamente complessa», citando un articolo della costituzione giapponese che definisce il matrimonio come basato sul «consenso reciproco di entrambi i sessi».   Le posizioni di Takaichi sul «matrimonio» omosessuale, non legale in Giappone, sono in contrasto con l’opinione pubblica del Paese, prevalentemente laica. Un sondaggio Pew del 2023 ha rilevato che circa il 70% dei giapponesi sostiene il «matrimonio» omosessuale, il tasso di approvazione più alto tra i Paesi asiatici analizzati.   Diverse città e località giapponesi emettono «certificati di unione» per le coppie omosessuali. Ad esempio, nel 2015 il distretto di Shibuya a Tokyo ha approvato una normativa che riconosce le coppie omosessuali «come partner equivalenti a quelli sposati per legge».

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Inoltre, l’anno scorso un’Alta corte giapponese ha stabilito che il divieto del codice civile sul «matrimonio» omosessuale viola il principio costituzionale contro la discriminazione basata su «razza, credo, sesso, status sociale o origine familiare». Tuttavia, le Alte corti giapponesi non possono abrogare il divieto, rendendo la sentenza simbolica.   Paradossalmente, nonostante sia la prima donna a capo del governo giapponese, l’amministrazione di Takaichi è stata criticata dalla sinistra come un ostacolo per la «parità di genere» e i «diritti delle minoranze sessuali». L’emittente pubblica americana PBS News l’ha definita «non femminista».   Takaichi sostiene la successione esclusivamente maschile della famiglia imperiale, che ha un ruolo cerimoniale, e si oppone alla possibilità per le coppie sposate di mantenere cognomi separati, sostenendo che ciò potrebbe «minare la struttura sociale basata sulle unità familiari». Tuttavia, non insiste sul fatto che la donna debba adottare il cognome del marito. Curiosamente, il marito di Takaichi, il politico LDP Taku Yamamoto, ha preso il suo cognome quando si sono risposati, per cui ora legalmente si chiama Taky Takaichi   «La nascita della prima donna primo ministro giapponese è storica, ma (Takaichi) rappresenta un’ombra per la parità di genere e i diritti delle minoranze sessuali», ha dichiarato a PBS Soshi Matsuoka, attivista LGBT. «Le opinioni di Takaichi su genere e sessualità sono estremamente conservatrici e potrebbero costituire un grave ostacolo per i diritti, in particolare per le minoranze sessuali».   Il Giappone resta uno dei pochi Paesi sviluppati, insieme a Paesi come Corea del Sud e Repubblica Ceca, a non aver legalizzato il «matrimonio» omosessuale.

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Il Parlamento austriaco vieta il linguaggio «inclusivo di genere» nelle sue comunicazioni ufficiali

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Il presidente del Parlamento austriaco ha vietato l’uso del cosiddetto linguaggio «inclusivo di genere» nelle comunicazioni ufficiali dell’organo legislativo.

 

Walter Rosenkranz, presidente del Nationalrat (Consiglio nazionale, la Camera bassa del Parlamento austriaco), ha recentemente annunciato che il Parlamento tornerà a utilizzare la forma maschile generica delle parole o, in alternativa, la forma maschile e femminile insieme, come nell’espressione «Gentili signore e signori» («Sehr geehrte Damen und Herren»).

 

In precedenza, il Parlamento di Vienna aveva adottato una variante ideologica che prevedeva l’inserimento di lettere maiuscole interne, due punti, asterischi o barre all’interno di sostantivi per includere persone di generi diversi, compresi coloro che si identificano come «transgender».

 

Questo adattamento linguistico, promosso da attivisti di sinistra in molte istituzioni austriache e tedesche, è estraneo alla lingua tedesca scritta. L’Associazione per la Lingua Tedesca ha più volte criticato questo linguaggio «inclusivo di genere», definendolo una «lingua ideologica» che «viola le regole ortografiche vigenti» e cerca di «rieducare» i cittadini. I sondaggi indicano che l’80-90% dei tedeschi rifiuta questo linguaggio ideologico.

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«Come istituzione governativa, dobbiamo rispettare le regole stabilite dal Consiglio per l’ortografia tedesca, l’unica istituzione riconosciuta dal governo», ha dichiarato Rosenkranz al quotidiano austriaco Krone. «Nel 2021, il Parlamento ha anche stabilito una base giuridica nel Piano di promozione delle donne. Voglio che le persone si attengano a questo e non inventino una propria lingua. Perché la vera uguaglianza si ottiene attraverso l’istruzione, le pari opportunità e il rispetto, non con i segni di punteggiatura».

 

«Il Parlamento è un luogo di democrazia, non di esperimenti linguistici», ha aggiunto. «Torniamo a una lingua che rispecchia lo spirito della Costituzione austriaca: universalmente comprensibile, oggettiva e inclusiva nel senso più autentico».

 

«Non a caso, il Bundestag tedesco e il Consiglio nazionale svizzero, così come quasi tutti i media stampati, non utilizzano un linguaggio neutro rispetto al genere», ha sottolineato il Presidente del Parlamento.

 

Le linee guida non si applicano ai discorsi tenuti nel Consiglio nazionale né ai testi presentati dai parlamentari, che, in virtù del loro mandato, sono liberi di redigere i propri documenti come preferiscono.

 

Rosenkranz, primo Presidente del Consiglio Nazionale austriaco nominato dal Partito della Libertà (FPÖ) è stato eletto dopo che l’FPÖ è diventato il partito più votato alle elezioni nazionali del 2024. Tuttavia, pur avendo ottenuto il maggior numero di voti, l’FPÖ non fa parte della coalizione di governo, poiché non dispone della maggioranza assoluta necessaria e gli altri partiti hanno rifiutato di allearsi con esso.

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Il transgenderismo è in declino tra i giovani americani: «una moda in declino»

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Un recente rapporto indica un calo nell’identificazione transgender tra i giovani americani, dopo il picco registrato durante l’amministrazione Biden.   Il rapporto, intitolato «The Decline of Trans and Queer Identity among Young Americans», redatto dal professor Eric Kaufmann, analizza i dati di studenti universitari negli Stati Uniti attraverso sette fonti.   I risultati mostrano che l’identificazione transgender è scesa a circa la metà rispetto al massimo raggiunto nel 2023, passando dal 7% al 4%.

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Tra il 2024 e il 2025, meno studenti universitari del primo anno si sono identificati come «trans o queer» rispetto agli studenti dell’ultimo anno, invertendo la tendenza osservata nel 2022-2023.   Anche l’identificazione come «non binario» (né uomo né donna) è diminuita della metà in tre delle cinque fonti di dati dello studio. L’identificazione eterosessuale è in aumento, pur rimanendo inferiore rispetto al 2020, mentre quella gay e lesbica è rimasta stabile.   «Questo suggerisce che la non conformità di genere/sessuale continuerà a diminuire», ha scritto Kaufmann su X, commentando i risultati, definendo l’identità transgender e queer una «moda» ormai in declino.   «Il calo delle persone trans e queer sembra simile allo svanire di una tendenza», ha affermato, sottolineando che tale cambiamento è avvenuto indipendentemente dalle variazioni nelle convinzioni politiche o nell’uso dei social media, ma con un ruolo significativo del miglioramento della salute mentale.   «Gli studenti meno ansiosi e, soprattutto, meno depressi [sono] associati a una minore percentuale di identificazioni trans, queer o bisessuali», ha aggiunto.   Come riportato da Renovatio 21, gennaio, il presidente Trump – che prima di rientrare alla Casa Bianca aveva promesso di fermare la «follia transgender» dal primo giorno della sua presidenza –ha firmato un ordine esecutivo per vietare al governo federale di finanziare o promuovere la transizione di genere nei minori. «Questa pericolosa tendenza sarà una macchia nella storia della nostra nazione e deve finire», ha dichiarato.   Sono seguiti interventi dell’amministrazione Trump contro il reclutamento di trans nell’esercito (nonché la cacciata dei già recluati) e la partecipazione di transessuali maschi alle gare sportive delle donne. «la guerra allo sport femminile è finita» ha dichiarato il presidente americano.

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Secondo il Williams Institute, il 76% delle persone transgender (circa 2,8 milioni) ha meno di 35 anni, di cui il 25% (724.000) è tra i 13 e i 17 anni. Il rapporto evidenzia che la composizione razziale delle persone transgender riflette quella degli Stati Uniti. Circa un terzo si identifica come donna, un terzo come uomo e un terzo come non binario.   Dal 2022, il Williams Institute stima che il numero di persone transgender sia cresciuto da 1,6 milioni a 2,8 milioni, un aumento del 75% in tre anni.   Come riportato da Renovatio 21, due anni fa uno studio dell’ente americano Public Religion Research Institute (PRRI) aveva rivelato che più di un americano su quattro (28%) di età compresa tra 18 e 25 anni, nota come Generazione Z, si è identificato come LGBT.   La «moda» ora può essere finita. Tuttavia, ci chiediamo: quale ne è stato il prezzo?   Quanti ragazzi castrati per sempre? Quante ragazze mutilate dei seni? Quanti adolescenti intossicati di steroidi sintetici? Quante famiglie lacerate e distrutte?

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