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Bergoglio e l’«Opus Gay»

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Ad un convegno tradizionalista di una diecina di anni fa incontrai un anziano, coriaceo studioso straniero di cose cattoliche – una persona speciale, un amico. Si occupava di cose di Chiesa da molto prima che nascessi, e aveva ovviamente ancora qualche entratura dentro le strutture del Sacro Palazzo.

 

Eravamo a pochi mesi dal bizzarro conclave che elesse Bergoglio, e si discuteva cosa stesse succedendo in Vaticano. Mi sparò, con stupendo accento oltremontano, una battuta poco politicamente corretta, che disse di aver sentito da un amico che lavorava oltretevere: «a Rhoma ora ci sono tre opuss: opuss dèi, opus ghei, opuss ebrheih».

 

Riguardo alla precisione di questa battuta – da cui prendo ovviamente le distanze – gli anni successivi mi avrebbero dato qualche dimostrazione.

 

L’Opus Dei, pare che contrariamente a quanto previsto scherzosamente abbia invece perso potere, anche se di sforzi per restare a galla deve averne fatti: un po’ il destino di CL, che prese botte dal pontefice per un primo periodo, poi fece un po’ di «aperture» (lato sensu, stricto sensu) per tornare nelle grazie della centrale, e adesso non sappiamo bene che fine abbia fatto.

 

Riguardo agli ebrei, l’immagine che torna è quella di Netanyahu che guida Bergoglio alla tomba di Theodor Herzl, il fondatore del sionismo, che fu ricevuto da papa San Pio X ricevendo secchiate di acqua (santa) fredda riguardo un appoggio cattolico al ritorno degli ebrei in Palestina. Stiamo vedendo, ora, le ramificazioni dell’azione di Herzl, e con le chiese e le suore bombardate a Gaza ci si chiede davvero il significato storico e metastorico della peregrinatio papale alla lapide dell’archetipo sionista.

 

Per quanto concerne l’«Opus gay», davanti ai nostri occhi abbiamo da qualche ora l’ultimo sviluppo. Le agenzie di tutto il mondo hanno battuto la notizia, compreso il portale Vatican News, che ha usato le stesse parole di chiunque altro. Si tratta di una «dichiarazione dottrinale apre alle benedizioni per coppie “irregolari”». C’è quel verbo che torna sempre, «aprire». La Santa Sede «apre».

 

«Con Fiducia supplicans del Dicastero per la Dottrina della Fede, approvata dal Papa, sarà possibile benedire coppie formate da persone dello stesso sesso ma al di fuori di qualsiasi ritualizzazione e imitazione delle nozze» scrive il sito vaticano.

 

«Di fronte alla richiesta di due persone di essere benedette, anche se la loro condizione di coppia è “irregolare”, sarà possibile per il ministro ordinato acconsentire» è scritto. Nella neolingua catto-orwelliana, «irregolare» significa LGBT, o, per usare una parola biblica, sodomita, et similia. Fiducia supplicans riguarda «la possibilità di benedire le coppie in situazioni irregolari e le coppie dello stesso sesso» il «Dicastero ha preso in considerazione diverse domande, sia formali che informali, circa la possibilità di benedire coppie dello stesso sesso e circa la possibilità di offrire nuovi chiarimenti, alla luce dell’atteggiamento paterno e pastorale di Papa Francesco».

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Bisogna rendersi conto che erano 23 anni (dalla Dominus Jesus, anno 2000) che il Dicastero della Dottrina della Fede non pubblicava una dichiarazione. Appena arrivato, il cardinale Victor Manuel Fernández, già noto per i sui libri monografici sul bacio, ha pensato bene che era il caso di uscire subito per benedire le coppie omosessuali: si tratta il «significato pastorale delle benedizioni», permettendo «di ampliarne e arricchirne la comprensione classica» attraverso una riflessione teologica «basata sulla visione pastorale di Papa Francesco».

 

Non è chiaro se il cardinale argentino esperto di kissing, sappia di cosa stia parlando. Cioè se ha presente cosa sono le «coppie dello stesso sesso»: abbiamo idea che, nella finzione dell’accrocchio LGBT, non si tratti di bisessuali o transessuali (per loro c’è già un’altra pista di decollo preparata) e anche delle lesbiche, un tempo note per la loro «monogamia» fondamentalista. Parliamo, ovviamente, del gruppo dominante, quello degli omosessuali maschi.

 

E come sia struttura una coppia di omosessuali, oggi, non sappiamo nemmeno se si possa dire. Tempo fa abbiamo cercato informazioni sulla promiscuità omosessuale, rilevando che per Wikipedia non vi sarebbe alcuna differenza con gli eterosessuali, che avrebbero in media lo stesso numero di partner. Noi ricordavamo un’aneddotica diversa: maschi che hanno decine, centinaia di partner nell’arco di poco tempo.

 

L’esempio che sale alla mente è il paziente zero dell’AIDS, allora malattia sconosciuta (la chiamavano GRID, Gay Related Immunodeficiency, ovvero «Immunodeficienza dei gay»), lo steward canadese Gaëtan Dugas, il quale ammise di avere centinaia di partner sessuali all’anno per un computo che superava, nel solo Nordamerica, i 2500 dal 1972. Si dice che grazie alla lista dei suoi amanti occasionali (avevo lo scrupolo di annotare i nomi, cosa non semplice in certi ambienti, come i cessi pubblici, i cespugli, le dark room) si riuscì a costruire una genealogia dell’epidemia di AIDS.

 

La promiscuità dei gay oggi è negata dalle fonti, con studi alla mano: e ai tempi di Tinder potrebbe pure essere vero che gli eterosessuali fanno più o meno così anche loro, del resto Tinder deriva da Grindr, l’app per incontri gay dove si dice tanti sacerdoti siano impigliati e che, idea che porta avanti Renovatio 21, potrebbe essere alla base dell’accordo sino-vaticano (il software, che potrebbe sputtanare chissà quanta gerarchia cattolica, è passato per le mani di una società cinese…).

 

È un fatto: l’eterosessualità, per via culturale (film, serie, articoli di giornale: è la cosiddetta hookup culture, quella del sesso immediato con chi si conosce), modistica (i metrosexual) e perfino informatica, è stata colonizzata dalla sensibilità gay, e lo stesso dicasi per certo mondo lesbico, che pare oggi essersi allontanato dal monogamismo ossessivo di una volta (forse uno dei motivi per i quali la società dei «bigotti» tendeva nei loro confronti ad essere più tollerante). Anche qui: serie TV, film, produzione culturale sulla lesbica promiscua, che fino a poco fa poteva sembrare una contradictio in adiecto.

 

E le «coppie gay»? L’idea che gli omosessuali maschi avessero relazioni stabili monogamiche arrivò al grande pubblico con il film di Tom Hanks Philadelphia (1997). Chi scrive ha notato come con gli anni Duemila hanno cominciato a rendersi visibili all’aperto; non perché si tenessero per mano, ma perché, in alcuni casi, ci si trovava davanti a due persone grottescamente simili: stessa capigliatura, stessa barba, stesso maglione, stessi vestiti, tipo dei gemelli omozigoti, specchiati. Un fenomeno che non ho mai capito fino in fondo, anche se immagino che l’esorcismo del tradimento possa avere un ruolo.

 

(Una sera a Firenze, una coppia di questo tipo si avventò contro una tavolata di amici con cui stavo passando un dopo-conferenza a Firenze: erano stati in silenzio con espressione greve in un tavolino in fondo per tutta la serata, probabilmente, in mancanza dell’umore e di argomenti con cui chiacchierare assieme ad uno che è vestito e pettinato come una tua copia speculare, origliarono molto i nostri gioviali discorsi, e andando via vennero da noi per urlare alla nostra allegra combriccola che Gesù cristo si sarebbe vergognato di noi – già l’uso del tempo passato già diceva molto, ma ricordo ancora come alcuni commensali, cattolici del semplice vecchio tipo, non capirono cosa stesse accadendo)

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Appena ventenne, chi scrive fu portato dalla sua ragazza e da una sua amica – una di quelle attorniata da gay, dette nel loro gergo interno fag-hug – in un bed and breakfast sulle colline sopra Nizza. A gestirlo c’era una «coppia» di personaggi provenienti da varie parti d’Europa: un trentenne, un ragazzo la cui bellezza saltava all’occhio, e un signore, una vita in giro per i mari del mondo, molto più anziano.

 

Avevo maturato l’impressione che il bel ragazzo, sicuro di sé, si facesse un po’ gli affari suoi, andava in una spiaggia determinata, etc. A bordo piscina sotto il sole della prima estate, il fidanzato della nostra amica mi spiegò, con strana naturalezza, come funzionano le cose in certe «coppie»: esiste, raccontava, una regola di alcuni ménage gay per cui se vuoi «tradire» il compagno lo puoi fare a patto che poi porti l’amante occasionale a casa, di modo che lo possa in caso «conoscere» anche il «tradito».

 

Tale idea veniva accettata dal mio interlocutore – un marcantonio romano buono come il pane – con certa normalità, mentre io mi chiedevo se il senso di scandalo e ripulsa che provavo dentro di me fosse giustificato. Entrambe le nostre ragazze lavoravano nel giro della moda a Milano, e quindi l’antropologia omosessuale, per quanto allora ancora non totalmente disinibita, era un elemento inevitabile delle loro vite. È, con evidenza, solo un aneddoto personale: magari mi sono imbattuto in una coppia gay perversa, così come quelle degli etero scambisti, certo. Non credo che troverò studi e statistiche a riguardo su Wikipedia.

 

Tuttavia, quando il cardinale Tucho Fernandez e il papa Bergoglio vogliono che si benedicano le «coppie gay», prima ancora che alla contraddizione ideologica riguardo alla benedizione di qualcosa che la Scrittura giudica «male», io penso a cosa vi sia nelle «coppie» che si presenteranno.

 

Non bisogna farsi illusioni, fa parte solamente di un processo di trasformazione sociale deciso dai signori del mondo e quindi ora propalato, come tutti gli altri – dal vaccino, all’immigrato, all’eco-fascismo alla produzione degli umani in provetta in giù – dal papato del Nuovo Ordine Mondiale.

 

Perché la «coppia gay» è un’operazione politica. Possiamo rileggere dei passaggi del libro Il movimento gay in Italia (1999), quando si parlava delle «unioni civili», poi divenute realtà con Renzi e la Cirinnà: «Le unioni civili sono un obiettivo simbolico formidabile. Rappresentano infatti la legittimazione dell’identità gay e lesbica attraverso una battaglia di libertà come quelle sul divorzio o sull’aborto, che dispone di argomenti semplici e convincenti: primo fra tutti la proclamazione di un modello normativo di omosessualità risolto e rassicurante. Con la torta nel forno e le tendine alle finestre, come l’ha definito una voce maligna».

 

La «torta nel forno e le tendine alle finestre»: definizione mirabile del lavoro percettivo che è stato fatto. Le coppie gay sono coppie – è gente per bene, gente che si vuole bene, sono di fatto famiglie come le altre, cucinano le stesse cose, arredano allo stesso modo.

 

«Il messaggio è più o meno il seguente: i gay non sono individui soli, meschini e nevrotici, ma persone splendide, affidabili ed equilibrate, tanto responsabili da desiderare di mettere su famiglia. Con questo look “affettivo” non esente da rischi di perbenismo si fa appello ai sentimenti più profondi della nazione e si vede a portata di mano il traguardo della normalità». Stiamo sempre prendendo dal movimento gay in Italia (1999), citato in un vecchio seminale articolo dello psicologo Roberto Marchesini apparso su Cristianità.

 

Il testo, scritto da un giornalista militante del movimento omosessuale oramai un quarto di secolo fa, andava avanti con profetico slancio: «A questa porta si bussa con discrezione, assicurando che non si vuole assolutamente il matrimonio omosessuale: questa prospettiva fa inorridire gli stessi gay. E nemmeno si rivendica la possibilità di adottare figli per le coppie omo, perché i tempi non sono maturi. Ci si accontenterebbe di regolare la questione dell’eredità, della pensione, dell’affitto, della reciproca assistenza fra i partner».

 

Sarebbe andata direttamente così: tutti a urlare che le unioni civili approvate non sono un matrimonio, anche se ne hanno tutto l’aspetto, con in più un diritto di cui gli sposati etero non dispongono: nelle unioni civili non vi è (guarda guarda) l’obbligo di fedeltà, cui invece è tenuto chi si sposa sia in chiesa che in comune. All’epoca vi fu il commento del politico omo-piddino, che parlò di retaggio medievale di cui un giorno si sarebbero liberati anche gli eterosessuati. Considerando come è andata con Tinder e la hookup culture, potrebbe avere decisamente ragione. La società intera viene gradualmente omosessualizzata.

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Il libro After the Ball (1989), una sorta di manifesto scritto da un neuropsichiatra e da un dirigente pubblicitario dove era enunciata l’intera strategia di normalizzazione degli omosessuali, riassumeva specificando che «noi non stiamo combattendo per sradicare la Famiglia: stiamo combattendo per il diritto a essere Famiglia (…) non è importante se i nostri messaggi sono bugie; non per noi, perché li stiamo usando per un effetto eticamente buono, per opporci a stereotipi negativi che sono sempre un pochino falsi, e molto di più malvagi; non per i bigotti, perché i messaggi avranno il loro effetto su di loro sia che ci credano sia che non ci credano».

 

Ecco, la nuova famiglia, o il surrogato invertito di essa ora è benedetto dal papa. Il percorso lo abbiamo visto da subito: il favore per l’«opus gay» era intuibile quando la giornalista brasiliana Ilse Scamparini, ancora nel 2013, gli chiese di ritorno dal suo primo viaggio apostolico riguardo al «prelato della lobby gay» (definizione da titolo della copertina de L’Espresso) che era suo ospite a Santa Marta, ottenendo come risposta il famigerato «chi sono io per giudicare?».

 

La faccenda continuò con il caso McCarrick, di cui ci diede testimonianza – pagando – monsignor Carlo Maria Viganò, che raccontò di come gli sembrò che, appena incontrato, il papa gli chiese del cardinale americano, quasi che fosse una trappola, un modo per vedere come reagiva. McCarrick sarebbe stato sberrettato solo in seguito, quando le accuse (oscene davvero: parliamo di ragazzini) rimbalzarono sul New York Times divenendo non più spazzabili sotto il tappeto. McCarrick, ricordiamo, è considerato importante per la stesura dell’accordo sino-vaticano (con l’ondata di martiri conseguente), e si dice che dormisse nel seminario della Chiesa Patriottica cinese, ossia la versione della Chiesa Cattolica secondo il Partito Comunista Cinese.

 

Altri segni li abbiamo visti nel tempo. Esalta a più riprese il gesuita pro-LGBT James Martin. Riceve transessuali in udienza privata, poi permette loro di fare da padrini ai battesimi. Condanna le leggi anti-sodomia dei Paesi africani. Pranza con un pullman di travestiti di Ostia. L’opera omotransessualista ha tanti capitoli, impossibile ricordarseli tutti.

 

Il disegno ad alcuni sembrerà completo, tuttavia non è così.

 

Anni fa scrivemmo del caso di Don Milani: incredibilmente, mentre sui giornali nazionali infuriava la polemica su un romanziere che nel suo ultimo libro sembrava suggerire che il sacerdote fosse pedofilo (idea che, secondo alcuni, potrebbe emergere anche da alcune sue lettere) la sua figura veniva celebrata in pompa magna dal ministero dell’Istruzione della Repubblica Italiana e dal papa stesso, che compose messaggi esaltando il Milano e visitando personalmente la tomba del Milani a Barbiana (era lo stesso anno in cui aveva reso omaggio a Herzl con a fianco Netanyahu, il 2017).

 

La schizofrenia diveniva ogni giorno più evidente, la dissonanza cognitiva era tanta: la grande stampa si accapigliava su una presunta pedofilia del Milani; il papato, di contro, non fuggiva, anzi, si produceva in manifestazioni di affetto assoluto per la figura del «maestro». C’era da rimanerci basiti. C’era da cominciare a farsi qualche domanda abissale.

 

Ecco, non siamo sicuri che l’omosessualità sarà l’ultimo fenomeno sdoganato e benedetto dal papato del Male.

 

Come ripetono i Vangeli: Qui habet aures audiendi, audiat.

 

Roberto Dal Bosco

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Religioso canadese arrestato per essersi rifiutato di scrivere delle scuse al bibliotecario della «Drag Queen Story Hour»

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Un pastore protestante canadese è stato arrestato per essersi rifiutato di scusarsi con una bibliotecaria che aveva organizzato un’ora di racconti drag queen per bambini. Lo riporta LifeSite.   Nel pomeriggio del 3 dicembre, la polizia di Calgary ha arrestato il pastore cristiano Derek Reimer per essersi rifiutato di ottemperare a un’ordinanza del tribunale che gli imponeva di scrivere delle scuse formali al direttore della biblioteca pubblica di Calgary, da lui criticato per aver promosso un’ora di racconti drag queen per bambini nel 2023.   «Sapete perché lo state arrestando? Non si pentirà delle sue convinzioni», ha chiesto alla polizia un giornalista canadese indipendente con lo pseudonimo di Dacey Media durante l’arresto.  

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All’arresto erano presenti il ​​pastore Artur Pawlowski – già noto per le sue azioni di disobbedienza in pandemia – e il figlio di Reimer. I video dell’arresto sono rapidamente circolati sui social media, con molti attivisti canadesi che lo hanno condannato, in quanto considerato un attacco ai valori cristiani e pro-famiglia.   Al momento dell’arresto, Reimer stava scontando un anno di arresti domiciliari, contro i quali aveva già presentato ricorso e si è presentato in tribunale per discutere le condizioni della sua condanna. Nel 2023, l’avvocato di Reimer, Andrew MacKenzie, della Mission 7 Ministries, ha presentato ricorso contro la condanna a un anno di arresti domiciliari e due anni di libertà vigilata inflitta al pastore prima di Natale per aver protestato contro un evento «drag queen story hour» rivolto ai bambini presso la Saddletown Library di Calgary nella primavera del 2023. Gli avvocati del governo avevano cercato di condannare Reimer al carcere per la sua protesta contro il piano di indottrinamento omotransessualista.   Reimer aveva chiesto a Shannon Slater, la direttrice della biblioteca, perché la biblioteca stesse organizzando un evento del genere. Non avendo ricevuto risposta, Slater disse a Reimer di andarsene.  

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Tuttavia, Reimer aveva pubblicato la sua interazione con Slater sui social media. Gli era stato ordinato di scrivere una lettera di scuse a Slater, che doveva essere consegnata entro la fine della settimana scorsa. Reimer ha dichiarato ai media locali che non avrebbe consegnato la lettera, poiché per «dispiacere» bisogna «ammettere la colpa», ovvero «aver sbagliato», sottolineando come questo equivalga ad ammettere di aver commesso un «errore» e che questo è ciò che significa «chiedere scusa».   Reimer ha anche sottolineato di aver detto alla corte di aver «fatto leva sulla mia libertà di coscienza, su uno studio approfondito e sulla mia comprensione di essa, unita alla libertà di espressione e di religione», e che «ciò ha spiegato e stabilito che devi esprimere alla corte le tue profonde opinioni religiose sul perché questa è una violazione della tua coscienza e perché non puoi farlo».

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Le femministe britanniche espungono i membri transgender (nel senso, agli affiliati transessuali)

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Due tra le più importanti organizzazioni britanniche riservate a donne e ragazze, il Girlguiding (l’equivalente delle Girl Scout) e il Women’s Institute, hanno deciso di chiudere le porte ai membri transgender, nel senso degli affiliati transessuali.

 

Martedì il Girlguiding ha reso noto che «le ragazze e le giovani donne trans non potranno più iscriversi» come nuove socie. Il giorno successivo, mercoledì, il Women’s Institute, fondato oltre 110 anni fa, ha annunciato che «l’iscrizione sarà riservata esclusivamente alle persone di sesso femminile alla nascita».

 

Entrambe le associazioni hanno sottolineato che la scelta non era quella auspicata, ma è diventata inevitabile per evitare possibili contenziosi legali dopo la sentenza emessa ad aprile dalla Corte Suprema del Regno Unito. I giudici hanno stabilito che, ai sensi dell’Equality Act 2010, i termini «donna» e «sesso» si riferiscono esclusivamente al sesso biologico e non all’identità di genere.

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La pronuncia era arrivata al termine di un ricorso presentato da For Women Scotland contro una norma del governo scozzese che includeva i transgenderri (munite di certificato di riconoscimento del genere) nel calcolo delle quote femminili nei consigli di amministrazione pubblici.

 

Un sondaggio realizzato subito dopo la sentenza ha mostrato che il 59% dei britannici concorda sul fatto che una persona transgender non sia legalmente una donna (dati Electoral Calculus). Tra chi ha accolto favorevolmente la decisione c’è anche J.K. Rowling, da tempo sostenitrice di For Women Scotland.

 

Sempre quest’anno, la Federazione calcistica inglese (FA) e British Rowing (l’ente per il canottaggio) hanno adottato politiche analoghe: dal 1º giugno 2025 i transgender non potranno più competere nelle categorie femminili del calcio in Inghilterra, mentre nel canottaggio britannico l’accesso alla gara femminile è limitato a chi è «assegnato di sesso femminile alla nascita»; per tutti gli altri resta aperta la categoria Open.

 

Secondo le ultime indiscrezioni, anche il Comitato Olimpico Internazionale starebbe valutando di escludere i transessuali dalle competizioni femminili olimpiche.

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La battaglia tra femministe e transessuali va avanti oramai da un pezzo, al punto che il mondo transessualista ha trovato un acronimo per definire le femministe che non accettano il dogma transgenderro imposto ora all’intera società occidentale: le chiamano TERF, trans-exclusionary radical feminists ossia femministe radicalo trans-escludenti.

 

Il caso più celebre di persona definita TERF per aver espresso dubbi sul fatto che maschi biologici possano essere definiti «donne» è stata la scrittrice di Harry Potter JK Rowling, che è peraltro la donna più ricca del Regno Unito.

 

In Europa si era avuto il caso della norvegese Christina Ellingsen, dell’organizzazione femminista globale Women’s Declaration International (WDI), è sotto indagine della polizia per aver fatto la denuncia in un tweet in cui ha criticato il gruppo di attivismo trans FRI. «Perché insegna ai giovani che i maschi possono essere lesbiche? Non è una terapia di conversione?» avrebbe twittato la Ellingsen.

 

Il caso si replicò in Norvegia con l’attrice e cineasta Tonje Gjevjon, una lesbica nota nella cultura popolare del Paese, che osò scrivere su Facebook che «è semplicemente impossibile per gli uomini diventare lesbiche quanto lo è per gli uomini rimanere incinti. Gli uomini sono uomini indipendentemente dai loro feticci sessuali». L’attrice fu quindi informata di essere sotto indagine e di rischiare tre anni di carcere per l’espressione delle sue opinioni.

 

Come riportato da Renovatio 21, a fine 2020 la Norvegia ha adottato una nuova legge penale che punisce le persone per aver detto qualcosa di considerabile come incitamento all’odio nei confronti di persone transgender anche nel contesto della propria casa o conversazioni private.

 

Più recente il caso dell’attivista brasiliana per i diritti delle donne Isabella Cepa, la quale ha ottenuto lo status di rifugiata in un Paese europeo non specificato, dopo essere stata accusata di reati penali in Brasile per aver definito un politico transgender da uomo a donna come un uomo.

 

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Immagine: The Girl Guides Association in Britain 1914-1918; un gruppo di Guide posa per una fotografia nel Regno Unito durante la Prima Guerra Mondiale.

Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

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La donna più forte del mondo in realtà era un uomo

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Jammie Booker, vincitrice del torneo «La donna più forte del mondo» 2025, è stata privata del titolo dopo che gli organizzatori hanno accertato che l’atleta di Philadelphia era nata maschio. La squalifica, l’ultima di una serie crescente di polemiche sui maschi biologici che gareggiano nelle categorie femminili, è arrivata a pochi giorni dalla competizione.   Il caso è esploso durante i Cerberus Strength Official Strongman Games in Texas lo scorso fine settimana, dove Booker ha dominato la categoria Women’s Open. Gli organizzatori hanno precisato di non essere stati informati in anticipo del background biologico dell’atleta e, a seguito di un’indagine urgente, l’hanno esclusa dalla classifica. «Abbiamo la responsabilità di garantire equità, assegnando gli atleti alle divisioni maschile o femminile in base al sesso alla nascita», si legge in un comunicato diffuso sui social da Official Strongman, che ha aggiornato i punteggi e incoronato la britannica Andrea Thompson come nuova campionessa.   La partecipazione di atlete transgender a competizioni sportive continua a generare dibattiti accesi. A luglio, il Comitato Olimpico e Paralimpico degli Stati Uniti (USOPC) ha vietato alle donne transgender di gareggiare nelle categorie femminili alle Olimpiadi, in linea con un ordine esecutivo del presidente Donald Trump che esclude le trans dalle squadre femminili e minaccia di tagliare i fondi alle istituzioni che lo violano.   Casi emblematici come quello della nuotatrice statunitense Lia Thomas e della sollevatrice neozelandese Laurel Hubbard hanno riacceso il confronto su eventuali vantaggi fisici persistenti per le atlete transgender rispetto alle donne biologiche, nonostante il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) abbia affermato nel 2021 che non si debba presumere un «vantaggio automatico» e abbia demandato le regole di idoneità alle singole federazioni sportive.

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La questione è tornata d’attualità alle Olimpiadi di Parigi 2024, quando la pugile algerina Imane Khelif – squalificata l’anno prima ai Mondiali per presunti motivi di genere – ha conquistato l’oro, spingendo l’ex presidente del CIO Thomas Bach a negare l’esistenza di un «sistema scientificamente solido» per distinguere uomini e donne nello sport.   Ora il CIO è orientato a escludere le donne transgender dalle categorie femminili alle prossime Olimpiadi, sulla base di una nuova politica di ammissibilità prevista per il 2026, come riportato dal Times all’inizio di novembre citando fonti interne. La revisione si fonda su una valutazione scientifica che conferma come i vantaggi acquisiti durante la pubertà maschile possano perdurare anche dopo trattamenti farmacologici per ridurre i livelli di testosterone.   Come riportato da Renovatio 21, l’ex presidente del CIO Thomas Bach sosteneva all’epoca che non esisteva «un sistema scientificamente solido» per distinguere tra uomini e donne nello sport.   Come riportato da Renovatio 21, il sollevamento pesi, come ogni altra disciplina (il nuoto, la maratona, il ciclismo, la BMX, l’hockey, il sollevamento pesi, il basket, il ju jitsu, etc.), era già stato colpito dal transessualismo sportivo. Lo è stato persino il biliardo in un’episodio noto, Alexandra Cunha, 49 anni, capitano della squadra nazionale femminile portoghese, si è ritirata dal torneo International Rules Pool Tour, incolpando i recenti cambiamenti alle regole da parte dell’autorità governativa dello sport, la World Eightball Pool Federation.   Come riportato da Renovatio 21, alle Olimpiadi di Tokyo vi fu il caso del sollevatore di pesi supermassimi transessuale Laurel Hubbard, 43 anni, che rappresentò la Nuova Zelanda a Giochi e riuscì, incredibilmente, a non vincere.   Due anni fa il pesista transessuale «Anne» Andres aveva stabilito il record nazionale durante un campionato durante il Campionato del Canada Occidentale 2023.  

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