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Bioetica

Benvenuti nel Kali Yuga bioetico

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In sanscrito è chiamato Kali Yuga. L’era quaternaria, il tempo della massima decomposizione della società. Per millenni gli indù hanno associato a questa era finale il vertice del progresso tecnico, corrispondente però al totale degrado spirituale. In essa, è conosciuto solo il mendacio; le vite umane vengono falciate via. Il suo segno è quello della disintegrazione, della morte massiva.

 

Ebbene, in questa Italia dell’anno del Signore 2014 siamo entrati ufficialmente nel Kali Yuga bioetico. Un tempo di massacro e di falsità. E non per metafora: si faranno milioni di morti, mentre le menzogne necessarie a coprire l’ecatombe corrono già sulla bocca degli uomini (e delle donne) senza più pietà né onore. Senza Dio.

 

 

Oltre la catastrofe della legge 40

Com’era previsto e prevedibile, la Corte Costituzionale, alacre «legislatore di sostegno», ha reso legale anche in Italia la fecondazione in vitro eterologa. Il piano di liberalizzazione progressiva della fabbricazione di esseri umani in laboratorio, inaugurato nel 2004 dal mondo prolife ufficiale con la legge 40, si sta compiutamente realizzando sotto i nostri occhi. La legge 40 fu pensata, approvata e difesa dal potere para-cattolico post-democristiano: per questa legge, frutto malsano di contrattazioni sulla vita e per ciò stesso intrinsecamente iniqua (e ne è prova lampante l’originario limite convenzionale di tre embrioni producibili in provetta, spia inequivoca della fallacia e della falsità dell’impianto iniziale), si spesero movimenti, partiti e associazioni della galassia catto-prolife più o meno legati alle sostanze della CEI ruiniana, la quale pose alfine il suo infallibile imprimatur.

 

Uno ad uno, i «paletti» che avrebbero dovuto arginare il famoso «Far West procreatico», nel lungimirante programma di prevenzione del peggio vengono abbattuti a colpi di sentenza e, nel dissesto del sistema normativo ordinario e costituzionale, si infilano ora le trionfali fughe in avanti dei «governatori» regionali. Tana libera tutti.

 

In questo teatrino del Caos, i sedicenti prolife mettono in scena un copione concordato. La soluzione, ci dicono, è quella d’inventarne di nuovi, di paletti, aggiornati all’assetto giuridico sopravvenuto. Gli «impalettatori» di professione, magari forti di mandato democratico, sembrano avere una gran fretta di arrendersi docili docili ai diktat dei magistrati legislatori.

 

 

Intervistata dal sito ciellino Il Sussidiario, l’ex radicale Eugenia Roccella, ora piazzata curiosamente a capofila dei deputati episcopali (nonostante i suoi manuali sull’aborto fai-da-te e i recenti assist transregionali alla RU486), sul provvedimento annunciato dal ministro Lorenzin, è stata tranchant: «innanzitutto chiariamo che il decreto è obbligato a recepire la sentenza della Consulta».

 

La voce della legge, dunque, va incontestabilmente rispettata: dura lex, sed lex. La pax bioetica – con i «laici», con i radicali, con le «coppie» che vogliono il figlio di qualcun altro fatto su misura, con gli apprendisti stregoni che si spacciano per medici – deve scoppiare al più presto, costi quel che costi.

 

Il commercio con la “necrocultura” pare insomma l’unico orizzonte politico-religioso percorribile.

 

Il tarlo vorace del positivismo ha corroso ogni resistenza e determinato la ritirata da ogni battaglia sui princìpi. Ed eccoci tutti lanciati all’inseguimento del sempre maggiore «male minore» lungo l’irreversibile pendio scivoloso dove la strada del Bene non è più segnalata da nessuno, nemmeno da un Papa. Eppure, c’erano una volta i princìpi non negoziabili…

 

Nella realtà, la famigerata legge 40/2004, considerata pervicacemente a tutt’oggi il «capolavoro» dei catto-prolife (c’è chi la definisce «la Cappella Sistina di Carlo Casini»), ha iniziato e consacrato la perversa spirale di reificazione e mercificazione di esseri umani innocenti, fatta digerire al popolo (incluso quello «cattolico») come cosa lecita e quindi automaticamente buona e giusta.

 

Reificazione, mercificazione, nonché – alla lettera – sterminio.

 

Perché il costo umano dell’applicazione della 40 già nella sua versione originaria era di circa 130-140 mila embrioni scartati e distrutti in un anno. Vale a dire, il raddoppiamento secco dei numeri dell’aborto di Stato procurato in applicazione della legge 194.

 

Nella realtà, il presunto iato tra la fecondazione in vitro omologa e quella eterologa dal punto di vista logico non esiste: entrambe applicazioni prometeiche di una pratica tributata dalla zootecnia che disincarna la procreazione umana e spalanca le porte al «supermarket della vita». Una volta che i bambini sono non più generati ma prodotti, non più accolti ma ordinati, non c’è modo né ragione di scandalizzarsi se sono anche sottoposti a controllo di qualità, selezionati, congelati, scartati, scambiati, assemblati, all’occorrenza soppressi (in applicazione della parimenti genocida legge 194) o smembrati per ricerche mediche pubblicizzate da beoti che si tirano secchiate d’acqua in testa.

 

L’adulto onnipotente, titolare dello ius vitae ac necis, si sente legittimato a privare le sue creature di radici, di memoria, di identità e a scagliarle nell’orbita di un futuro sperimentale. Perché esse sono cose, non persone, agli occhi dei loro proprietari così come dell’agorà circostante. E infatti, nessuno si cura più dei costi della FIVET. E non si parla qui del prezzo in denaro da pagare ai bio-negromanti in cambio di un ipotetico «bimbo in braccio» (cioè il capriccio, che grava ora sulle tasche del contribuente, di un piccolo essere umano «chiavi in mano»), ma del prezzo esorbitante in termini di vite umane addebitato a una società già in avanzato stato di decomposizione.

 

Su dieci embrioni prodotti uno solo vede la luce, gli altri sono destinati a morire come effetto collaterale del procedimento. Una micromorte massiva di magnitudine devastante.

 

Ma una morte incruenta, non inflitta sul corpo di una madre; dunque, una uccisione non percepita perché pulita, asettica, visibile solo al microscopio. Il delitto perfetto. Un’evoluta strage degli innocenti senza spargimento di sangue.

 

Per questo, ignorata impunemente da tutti. Dai giudici. Dalle «coppie». Dagli «intellettuali». Dai politici. Da chierici e laici di vario ordine e grado.

 

 

La fantascienza fatta realtà: eugenismo ed incesti di massa

Ed eccoci all’improvviso planati in uno scenario da fantascienza distopica, che si sta ora realizzando a grandi passi senza che il mondo politico, intellettuale, ecclesiastico pongano la pur minima resistenza.

 

Qualcuno ricorderà, oramai di qualche anno fa, il film Gattaca. La pellicola descriveva un mondo a venire con due categorie di esseri umani: quelli naturali e quelli creati in laboratorio. I secondi sottoposti a un serrato controllo di qualità coessenziale al loro sistema di produzione, i primi soggetti alla imprevedibile e talvolta impietosa lotteria della natura, che – si sa – contempla nel suo seno anche le imperfezioni. Per forza di cose, questi ultimi, erano destinati ad essere emarginati e a soccombere.

 

Fuori dal cinema, guardiamo la realtà odierna: già adesso i genitori refrattari a sottoporsi a diagnosi prenatali invasive oramai di routine sono tacciati di egoismo, di irresponsabilità; diviene pubblicamente intollerabile, e da colpevolizzare, l’idea stessa di far nascere una creatura destinata a una scarsa «qualità della vita»; lo stigma per chi si assoggetta alla roulette russa biologica sarà invincibile, e ciò varrà tanto per i genitori quanto per i figli. In futuro il concepimento attraverso l’atto di amore tra un padre e una madre verrà identificato esso stesso come un rischio assurdo: potendo selezionare il figlio perfetto, perché rifiutare i vantaggi del progresso?

 

È facilmente immaginabile la «peer pressure» destinata a svilupparsi attorno al fenomeno dei bambini sintetici. Come non fare un bambino in vitro se lo fanno tutti gli amici? Come resistere alla pretesa del partner di generare i figli in laboratorio, anche se ciò significa uccidere qualche manciata di embrioni fratelli? Come respingere quell’esprit du temps irradiato da ogni medium e modello sociale, per cui il figlio naturale è tendenzialmente lebensumwertens leben («vita indegna di essere vissuta»), secondo il lessico dei precursori nazisti dell’odierna necrocultura?

 

Ancora in tema di filmografia fantascientifica, si rammenterà, una diecina di anni fa, la pellicola intitolata Codice 46. Nel futuro prossimo ivi rappresentato, la fecondazione in vitro e il traffico di gameti sono così globalmente diffusi che le autorità si vedono costrette ad adottare misure contro le probabilità di «incesto involontario da IVF»: due persone che condividono lo stesso DNA perché figlie di un medesimo donatore possono infatti incontrarsi, amarsi e procreare. Nel film, lo Stato impone in questi frangenti l’aborto legale immediato e la cancellazione della memoria.

 

Anche questa ipotesi non è più astratta, tanto che i neodemocristiani accorrono a puntellarla con il ridicolo paletto dell’etichettatura delle provette onanistico-donatorie, anzi è già realtà: in Inghilterra – ci informaLifesitenews – esiste una top 500 di donatori con almeno 6000 figli sparsi randomicamente per il regno. L’onorevole Roccella, nella sua lettera in dieci punti ai colleghi parlamentari che funge sostanzialmente da rampa di lancio delle piroette circensi del ministro Lorenzin, lo definisce un problema da «discutere». C’est-à-dire: sono aperte ufficialmente le trattative.

 

Avremo dunque miriadi di casi di incesto da IVF, con gravidanze annesse. Nel giro di tre o quattro lustri, tra figli della stessa provetta potrà scattare la scintilla: «ci conosciamo? Hai qualcosa di famigliare…». Si sa, per questa generazione perduta il miglior modo di rompere il ghiaccio è finire a letto insieme. E alla scoperta della traumatica verità, facile immaginare il pubblico epilogo. I giornali titoleranno: «siamo fratelli, ma non ne abbiamo colpa. Ci amiamo». E tutti già sappiamo cosa si deve pensare oggi: «love is love». Punto.

 

Quindi anche l’incesto, retaggio arcaico indissolubilmente legato all’idea stessa di famiglia, percorrerà la via della «normalizzazione». Edipo non dovrà più accecarsi. La hybris antica torna e, armata degli strumenti fiammanti della tecnologia più avanzata, non lascia più nemmeno cogliere al nuovo prometeo l’entità della propria trasgressione.

 

Questa prospettiva raccapricciante è alla nostra portata nel giro di poco tempo, e con evidenza – come ci conferma la strisciante cultura popolare che ha inaugurato a suon di film e di serie televisive il filone del sesso tra consanguinei – i poteri forti sono all’opera per far digerire omeopaticamente anche questo abominio estremo e contribuire a inserirlo, dolcemente, nel quotidiano.

 

Eliminare il tabù dell’incesto significa una volta per tutte disintegrare la base antropologica profonda della famiglia e della società intera: l’istituto famigliare, base naturale prepolitica e pregiuridica del consesso umano, perde d’un tratto struttura identità e senso. Il paradigm shift della sua dissoluzione finale è stato innescato.

 

Alla luce di tutto questo, rimane un mistero anche come la Chiesa – ora così drammaticamente afasica – potrà ancora parlare di un Dio che è Padre, del Figlio di Dio, di Sua Madre, del fratello prossimo tuo, ad un mondo così sovvertito sin dalle sue radici.

 

 

Ecatombe

L’eugenismo e l’incesto di massa saranno presto realtà. Ma l’emergenza più immediata dell’apocalisse bioetica che sta spazzando via ogni appiglio naturale e morale della generazione umana resta l’ecatombe quotidiana.

 

Eliminata la foglia di fico dei tre embrioni producibili e accollata la spesa delle operazioni frankesteiniane alla comunità – urgerebbe, almeno, una rivolta fiscale! – si verificherà con certezza un aumento esponenziale di esseri umani fabbricati ed uccisi, o cannibalizzati a fini «scientifici». Le 130 mila vittime innocenti della 40 prima facie, diverranno presto milioni. Di fatto, si moltiplicano gli effetti esiziali della 194: l’aborto di Stato, a questo punto, è solo un sottoinsieme nemmeno prioritario di questo immane scenario di morte.

 

Milioni di creature indifese annientate legalmente, a spese del contribuente.

 

Nell’affannarsi a inventare virtuosistici paletti – paletti primi, paletti al quadrato, paletti multipli – per la nuova eterologa, presa pretestuosamente a bersaglio degli strali del mondo prolife ufficialmente accreditato, nessuno più si ricorda di questo «dettaglio». Anzi. Nel mostrarsi tutti (moderatamente) scandalizzati per la deriva scatenata dall’ultima sentenza costituzionale, tutti fanno più o meno esplicitamente risaltare per contrasto la bontà dell’impianto originario della legge 40: la fecondazione omologa da essa introdotta nell’ordinamento italiano, utilizzando gameti provenienti dalla coppia ordinante, è pratica da benedire. E chi se ne importa di quanti embrioni siano perduti nel perseguimento del desiderio spasmodico del figlio à la carte.

 

Eppure a qualcuno dovrebbe sovvenire che, recitando il Credo niceno, c’è un passaggio durante il quale, in teoria, ci si dovrebbe genuflettere, come sempre avveniva durante la Messa antica: «e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria… et homo factus est». L’embrione di Gesù Cristo, del Dio che si fa uomo nel grembo di una madre, è citato nel simbolo della religione cattolica e dinanzi a questa verità, per millenni, il fedele è stato chiamato a inginocchiarsi per esprimere la devozione più alta e il più commosso stupore.

 

L’embrione umano è Imago Dei ed ogni offesa che gli è arrecata è un offesa diretta a Dio. Ma oggi il nuovo dogma della modernità (e del modernismo) ha visibilmente preso il sopravvento, ed anche la Chiesa, ripudiati i valori non-negoziabili, per lo più se ne fa una ragione. E non si inchina. E tace.

 

Così, nel silenzio assordante dei pastori, il gregge è smarrito e la necrocultura avanza indisturbata. Anzi, addirittura, si è creata una opposizione sintetica, programmata per essere innocua, e disegnata nella cifra del compromesso col Male.

 

Gli stati generali di questa opposizione «in vitro» nel Kali Yuga post-40 si terranno a Verona il prossimo 20 settembre. La melassa buonista fatta di teorici dell’abortismo umanitario e di fabbricanti di paletti che sguazzano nel degrado bioetico si riunirà sotto il nome ecumenico e conciliante della neonata associazione «Vita è…». A siglare la nuova pax bioetica ci saranno politici, giuristi, medici, scienziati, filantropi, attivisti pseudo-spontaneisti. L’intero esercito dei “normalizzatori”, uniti tutti dall’invidiabile spirito irenista espresso sotto pseudonimo da uno degli organizzatori del blob neodemocristiano: «Chi lo ha detto che siamo messi così male?».

 

C’è da giurarci: così moderati, così aperti, così ottimisti, così per nulla «fissati» né «inespressivi», non stenteranno certo a guadagnarsi la benevolenza curiale e il buffetto dei vescovi galantiniani.

 

La loro missione, del resto, è una e una sola: non disturbare il manovratore. Nonostante l’urlo silenzioso dei milioni di morti innocenti.

 

 

Roberto Dal Bosco

Elisabetta Frezza

 

 

 

Articolo previamente pubblicato su EFFEDIEFFE.COM

 

 

Immagine di Zeiss Microscopy via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)

 

 

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Bioetica

Medici britannici lasciano morire il bambino prematuro perché pensano che la madre abbia mentito sulla sua età

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Un bambino prematuro nato a 22 settimane è morto dopo che i medici in Gran Bretagna si sono rifiutati di somministrargli un trattamento salvavita. Lo riporta LifeSite.

 

Mojeri Adeleye è nato prematuro alla 22ª settimana, dopo che la madre aveva subito la rottura prematura delle membrane. Durante l’emergenza, la mamma e il bambino sono stati trasferiti in un altro ospedale, dove la data di gestazione è stata scritta in modo errato, etichettando Mojeri come se avesse meno di 22 settimane di gestazione.

 

Le linee guida raccomandano l’assistenza medica solo per i neonati prematuri nati dopo la 22a settimana di gestazione. Sebbene la madre di Mojeri avesse informato il personale medico dell’errore, questi non le hanno creduto e hanno lasciato che il bambino morisse.

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Secondo il rapporto del medico legale, la madre di Mojeri era stata visitata per gran parte della gravidanza presso l’ospedale locale ma a seguito di complicazioni, la donna è stata trasferita in un altro ospedale.

 

Tuttavia, è stato commesso un errore nelle note di riferimento e la madre di Mojeri è stata registrata come a meno di 22 settimane di gestazione. Le linee guida nazionali raccomandano che il trattamento salvavita venga fornito solo ai prematuri nati a 22 settimane di gestazione o dopo, e sebbene la madre di Mojeri abbia ripetutamente cercato di comunicare al personale la corretta età gestazionale, non le hanno creduto.

 

Quando la madre è entrata in travaglio, il personale si è rifiutato di fornire a Mojeri qualsiasi assistenza salvavita. Era, infatti, da poco più di 22 settimane di gestazione, come aveva insistito la madre. Poiché i medici non hanno fatto nulla, Mojeri è morto.

 

Il medico legale ha scritto nel rapporto: «Nel corso dell’inchiesta, le prove hanno rivelato elementi che destano preoccupazione. A mio parere, sussiste il rischio che si verifichino decessi in futuro, se non si interviene».

 

«Date le circostanze, è mio dovere legale riferirvi. Le questioni di interesse sono le seguenti: La mancanza di considerazione nei confronti della conoscenza da parte della madre di Mojeri della propria gravidanza e della data prevista del parto per Mojeri; La mancanza di discussione con i genitori di Mojeri sulle possibili misure da adottare in caso di parto prematuro prima della 22ª settimana».

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Le linee guida della British Association of Perinatal Medicine (BAPM) del 2019 raccomandavano che, se i bambini nascevano vivi a 22 settimane, venissero fornite cure «focalizzate sulla sopravvivenza»; in precedenza, le linee guida affermavano che i bambini nati prima delle 23 settimane non dovevano essere rianimati.

 

Dopo l’attuazione di queste linee guida, il numero di bambini prematuri sopravvissuti alla 22ª settimana è triplicato. Prima di allora, i bambini prematuri considerati «troppo piccoli» venivano semplicemente lasciati morire.

 

Si stima che il 60-70% dei neonati possa sopravvivere alla nascita prematura a 24 settimane di gestazione. Tuttavia, fino al 71% dei neonati prematuri, anche quelli nati prima delle 24 settimane, può sopravvivere se riceve cure attive anziché solo cure palliative. E sempre più spesso, i bambini sopravvivono anche a 21 settimane, scrive Lifesite, che ricorda: «non tutti i bambini sopravvivranno alla prematurità estrema, ma meritano almeno di avere una possibilità».

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia; immagine modificata

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Bioetica

L’amministrazione Trump condanna la «persecuzione della preghiera silenziosa» fuori dagli abortifici britannici

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Il Dipartimento di Stato americano sta mettendo in guardia Londra per aver violato la libertà di parola dei cittadini inglesi pro-life, definendolo un affronto ai «valori condivisi» tra le due nazioni.   Il Telegraph ha riferito che il Dipartimento di Stato ha rilasciato una dichiarazione accusando uno dei suoi più stretti alleati geopolitici di «violazione palese del diritto fondamentale alla libertà di parola», citando specificamente «molti casi di buffer zone [zona cuscinetto, ndr] nel Regno Unito, nonché altri atti di censura in tutta Europa».   «La persecuzione della preghiera silenziosa da parte del Regno Unito rappresenta non solo una grave violazione del diritto fondamentale alla libertà di parola e alla libertà religiosa, ma anche un preoccupante allontanamento dai valori condivisi che dovrebbero fondare le relazioni tra Stati Uniti e Regno Unito», ha affermato un portavoce. «È di buon senso che restare in silenzio e offrire una conversazione consensuale non costituisca un danno».   Il rimprovero si riferisce all’istituzione nel Regno Unito di zone «bolla» o «cuscinetto» attorno alle strutture per l’aborto, apparentemente per proteggere le persone che vi entrano o ne escono da «molestie, abusi e intimidazioni». In pratica, tuttavia, hanno portato a multe salate contro attivisti pro-life pacifici.

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All’inizio di quest’anno, la scienziata in pensione Livia Tossici-Bolt è stata dichiarata colpevole e condannata a pagare 20.000 sterline (23.200 euro) per aver esposto un cartello con la scritta «qui per parlare, se vuoi» a 150 metri dal centro aborti BPAS di Bournemouth, riporta LifeSiteNews. Rose Docherty, una nonna scozzese di 75 anni, è stata arrestata in circostanze simili, ma le accuse sono state ritirate tra le proteste internazionali.   Un portavoce del governo britannico ha risposto con una breve dichiarazione: «la libertà di parola è fondamentale per la democrazia, anche qui nel Regno Unito, e siamo orgogliosi di sostenere le libertà garantendo al contempo la sicurezza dei cittadini».   A maggio, l’amministrazione Trump ha inviato una delegazione del Dipartimento di Stato in Inghilterra per indagare sulla situazione della libertà di parola, incontrando anche Tossici-Bolt, Docherty e altre vittime simili, e per riferire sulle loro conclusioni per «affermare l’importanza della libertà di espressione nel Regno Unito e in tutta Europa».   Resta da vedere come ciascuna delle due nazioni darà seguito allo scambio. Le relazioni tra gli Stati Uniti e le nazioni europee, incluso il Regno Unito, sono attualmente tese su più fronti, tra cui la campagna del presidente Donald Trump per la revisione degli accordi commerciali internazionali e la difficoltà delle nazioni occidentali a concordare una strategia unitaria in risposta all’invasione russa dell’Ucraina.   Come riportato da Renovatio 21, nel suo storico intervento di accusa alla decadenza tirannica europea dato alla Conferenze di Sicurezza di Monaco 6 mesi fa, il vicepresidente statunitense JD Vance aveva definito «follie» gli arresti dei pro-life britannici che pregavano in silenzio.   La psicopolizia britannica è arrivata a condannare per aver pregato con il pensiero almeno due persone: il veterano dell’esercito britannico Adam Smith-Connor, 51 anni, che ha ottenuto la scarcerazione condizionale per due anni (vale a dire che è in libertà vigilata per due anni) e gli è stato ordinato di pagare le spese legali pari a 9 mila sterline (circa 10 mila euro) dal giudice distrettuale presso il tribunale di Poole, nel Dorset: lo Smith-Connor era stato arrestato nei pressi dell’attività di aborto di Bournemouth del British Pregnancy Advisory il 14 novembre 2022, dopo aver pregato in silenzio per suo figlio Jacob, abortito 22 anni fa; Isabel Vaughan-Spruce, un’altra cittadina britannica che è stata arrestata per preghiera silenziosa, che ha ricevuto due mesi fa 13 mila sterline (circa 15 mila euro) di danni e delle scuse dalla polizia.

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L’aborto ha spazzato via il 28% della generazione Z. E molto, molto di più

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Statistiche ampiamente condivise in rete questa settimana riportano che circa il 28% della Generazione Z (i nati tra il 1997 e il 2012) negli USA è stata abortita nel grembo materno. Lo scrive LifeSite.

 

Secondo le stime del Guttmacher Institute (il braccio di ricerca e sviluppo del grande abortificio multinazionale Planned Parenthood) sul numero di aborti eseguiti ogni anno negli Stati Uniti dal 1997 al 2011, gli anni di nascita della Generazione Z, circa 19,5 milioni di esseri umani concepiti in quella generazione, sono stati soppressi attraverso l’aborto. Attualmente si stima che negli Stati Uniti ci siano 69,3 milioni di membri della Generazione Z.

 

I dati più recenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) indicano che il tasso di aborti tra i bambini della Generazione Z negli Stati Uniti corrisponde quasi alla percentuale stimata di bambini non ancora nati uccisi dall’aborto in tutto il mondo: il 29%, ovvero tre gravidanze su 10.

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Le statistiche di Inghilterra e Galles mostrano tassi di aborto molto simili. «la percentuale di concepimenti che hanno portato all’aborto è stata del 29,7%; si tratta di un aumento rispetto al 26,5% del 2021 e della percentuale più alta mai registrata», ha rilevato un rapporto dell’Office of National Statistics (ONS) basato sui dati del 2022.

 

Ricordiamo anche che queste statistiche risultano calcolabili pure per realtà apparentemente distanti come il Giappone, con dati nel periodo post-bellico che indicavano l’aborto di circa un terzo dei concepiti, con casi allucinanti di infanticidi – che oggi la Finestra di Overton vuole che chiamiamo «aborti post-natali» – come quello di Miyuki Ishikawa, detta «Oni-sanba», ostetrica che avrebbe ucciso almeno 86 bambini (qualcuno parla di una cifra doppia) affidatile negli anni dell’immediato dopoguerra.

 

Non si tratta di numeri sconosciuti anche all’Italia, dove per anni le nascite sono state attorno alla cifra di 500 mila, con le interruzioni di gravidanza sopra i 100.000, con un calo sensibile nell’ultimo decennio, in linea tuttavia con il calo delle nascite, specie dopo la pandemia.

 

Anche in Italia, dunque, abbiamo avuto una percentuale di generazioni spazzate via sopra il 20%, in pratica una piccola guerra condotta contro il Paese stesso, ma legalizzata e pagata dal contribuente – o una serie di bombe atomiche, i cui effetti si misurano in megadeath («megamorte», un milione di individui sterminati).

 

Come scritto anni fa da Renovatio 21, negli anni l’Italia dell’aborto ha subito una devastazione umana molto superiore a quella di Hiroshima e Nagasaki, con almeno 6-7 megadeath di danno alla popolazione. E parliamo solo delle cifre ufficiali, che non includono gli embrioni distrutti dalle provette, che sono già in numero maggiore di quelli trucidati dall’interruzione volontaria di gravidanza.

 

Se non volete pensarlo in percentuale, pensatelo così: 6 milioni di persone uccise, sono perfettamente pensabili come un attacco atomico che cancella tutto il Triveneto, o la Sicilia e la Calabria assieme, o l’Emilia-Romagna con l’Umbria e le Marche, o tutto il Lazio e zone limitrofe, o due terzi della Lombardia.

 

Come avevamo scritto oramai più di 10 anni fa: «Per quanto possa sembrare allucinante, dobbiamo guardare in faccia la realtà: l’Italia è una rovina post-atomica. E neppure lo sa».

 

Le cifre divenute virali questa settimana non includono mai – perché è un calcolo che i pro-life, specie italiani, non hanno l’intelligenza di fare – quello che qualcuno chiama il ghost number. Proviamo a pensare le cifre americane: e 6.392.900 femmine abortite tra il 1973 e il 1982 avrebbero oggi 25-40 anni, e quindi con alta probabilità almeno un figlio di media (chi due, chi cinque, chi zero). Otteniamo così la cifra di 54.853.850 persone spazzate via dall’anagrafe, sottratte alla società.

 

Un danno di quasi 55 megadeath: come se il temuto showdown nucleare con la Russia, fosse avvenuto – e senza che i sovietici sparassero un solo colpo. Basandosi sulle attuali statistiche demografiche americane, è possibile calcolare che tra questi 55 milioni vi potrebbero essere stati 7 giudici della Corte Suprema, 31 premi Nobel, 6000 atleti professionisti, 11.010 suore, 1.102.403 insegnanti, 553.821 camionisti, 224.518 camerieri, 336.939 spazzini, 134.028 contadini, 109.984 poliziotti, 39.447 pompieri, 17.221 barbieri.

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Soprattutto, e questo deve essere meditato profondamente dalle femministe, in questo immane turbine di morte sono state disintegrate 27.426.925 donne. Le quali sono, senza dubbio alcuno, il bene più prezioso che esista sulla Terra: ogni cellula uovo che la donna ovulerà in tutta la sua vita, è già formata dal feto a poche settimane dal concepimento. La prima cellula del nostro corpo – l’ovocita – già esisteva dentro nostra madre quando era un feto, venti, trenta, quaranta anni prima che venissimo alla luce. Un’autentica, insondabile meraviglia: la vita contenuta dentro la vita.

 

L’aborto interrompe questa catena superiore. Come diceva un detto ebraico: chi uccide un uomo uccide l’umanità; ammazzi qualcuno e rovini per sempre le generazioni che seguiranno. Peggio di un fallout radioattivo, l’aborto reca un danno aberrante, che si accumula distruggendo il futuro – i figli, i figli dei nostri figli – su una scala che non possiamo immaginare.

 

Chi non crede a queste romanticherie scientifiche e umanistiche, pensi ai soldi: i 55 megadeath causati dall’aborto in USA rappresentano 55 milioni di lavoratori e consumatori americani che non pagano le tasse e non partecipano al mercato nazionale. Dal PIL, è possibile calcolare che l’aborto abbia causato all’economia americana un danno di 37 trilioni e 600 miliardi di dollari.

 

L’abisso di cui stiamo parlando non vi è stata ancora nessuna rappresentazione adeguata alla sua immensità apocalittica. Né la polemologia (la disciplina che nel Novecento si è dedicata allo studio della guerra), né la psicologia, né la sociologia, né la filosofia paiono comprendere questo Inferno per intero.

 

No, non è solo un terzo della Generazione Z ad essere stato cancellato dall’aborto. È molto, molto di più.

 

Roberto Dal Bosco

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