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Satira

Basilica di Sant’Antonio, preghiera contro la tradizione «che offusca lo spirito»

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Durante la Messa celebrata dai frati presso la Basilica di Sant’Antonio di Padova, si è udita quella che sembra una preghiera che chiama in causa la tradizione, o meglio, contro «qualsiasi tradizione che offusca lo spirito evangelico».

 

Come da rito della messa nuova, durante la celebrazione delle 18 di lunedì 30 ottobre un laico sale all’altare per la cosiddetta «preghiera dei fedeli», la serie di frasi augurali che in genere chiamano come risposta «ascoltaci o signore».

 

«Vogliamo affidare a Dio la nostra preghiera» dice il celebrante. «Con il battesimo, abbiamo ricevuto lo spirito da figli adottivi, per mezzo del quale possiamo rivolgerci a Dio chiamandolo padre. Per questo con fiducia rivolgiamo al Signore le nostre preghiere, diciamo insieme».

 

A questo punto, prende la parola un signore salito sul pulpito microfonato: «Padre ascoltaci», dice. «Padre, ascoltaci» ripete il sacerdote.

 

Quindi il laico parte con la preghiera:

 

«Perché la chiesa superi con la libertà della fede qualsiasi tradizione che offusca lo spirito evangelico, e indichi ai fedeli, il vero volto di Dio. Preghiamo»

 

«Padre, ascoltaci», è la risposta.

 

L’invocazione è udibile durante il 24° minuto della diretta dalla Basilica, ancora presenta sul canale del Messaggero di sant’Antonio YouTube.

 

 

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Una preghiera contro la tradizione non ricordiamo di averla sentita prima, ma la nostra memoria ammettiamo che è limitata.

 

È la prima volta, pure, che ci viene detto che esisterebbero, a quanto pare dentro la chiesa, delle tradizioni che «offuscano» lo spirito evangelico, dove per «evangelico» crediamo che si intenda il significato di «relativo al Vangelo» e non quello di «cristiano protestante», cioè «cristiano evangelico».

 

Si tratta di un’innovazione vera, anche perché pochi, anche tra i modernisti, associavano direttamente e pubblicamente la parola «tradizione» a qualcosa di disforico: anzi, da sempre chi vuole cambiare – ribaltare – la religione cattolica, lo fa nel segno della presunta continuazione della chiesa. Ti dicono: le cose cambiano perché siamo aderenti alla vera sostanza del cristianesimo. È la cosiddetta ermeneutica della continuità, espressione che in effetti da un pezzo non si sente nemmeno più.

 

Ricordate il nome del motu proprio per abolire ulteriormente la messa tridentina? Lo avevano chiamato Traditionis custodes. I «custodi della tradizione». La tradizione va custodita, conservata. No?

 

Dalla preghiera ascoltata al Santo, invece, sembrerebbe che vi sia proprio una tradizione da rifiutare, da «superare». La parola tradizione insomma ora può assumere davvero un significato negativo, al punto che essa può essere di inquinamento allo «spirito evangelico», qualunque cosa esso sia. (Non sappiamo se di tale spirito, come dello spirito del Concilio Vaticano II, vendano il costume di Halloween, e in quel caso faremmo volentieri uno strappo alla regola per proporlo ai nostri bambini).

 

Qualcuno può far notare che la preghiera dei fedeli di Sant’Antonio, tuttavia, pare non essere contro la tradizione in sé, ma contro quelle tradizioni che «offuscano», forse pure celando «il vero volto di Dio».  Non riteniamo possa trattarsi della tradizione amazzonica, perché il culto della Pachamama, a Roma, gode di grande salute. Non crediamo ci si riferisca alla tradizione del paganesimo spiritista nordamericano, appassionatamente abbracciato da Bergoglio nel suo viaggio in Canada. Non crediamo si tratti della tradizione maya, che ora ha il suo rito specifico, la famosa «messa maya». (Datevi un pizzicotto: tutto vero). Nemmeno crediamo si tratti della tradizione dei «grandi antichi» di Lovecraft, quella di Cthulhu, una cui cultrice è finita nell’esortazione apostolica recente Laudate Deum.

 

Ma allora, di quale tradizione stiamo parlando? O meglio: di chi stiamo parlando?

 

Per caso, c’è una minaccia di offuscamento tradizionalista in corso a Roma? La mente potrebbe pensare a quei cardinali che hanno sparato, anche ‘sto giro, dei dubia.

 

È facile ricordare che Sant’Antonio, uno dei santuari più importanti della Terra (6,5 milioni di pellegrini all’anno), non dipende dalla Diocesi di Padova, ma è sottoposto alla Delegazione pontificia per la Basilica di Sant’Antonio (il cui logo campeggia molto visibile sul video) – cioè direttamente al Vaticano.

 

C’è un qualche messaggio che dobbiamo leggere riguardo al Sinodo, o per il dopo Sinodo? C’è un’ulteriore stretta contro la Messa Antica, stile Traditionis Custodes, in programma?

 

Oppure qualcuno vuole finalmente aprire la stagione di caccia nei confronti del tradizionalisti, o meglio di quel che ne rimane?

 

Santa Marta chiamerà l’FBI?

 

Noi mica lo sappiamo. Ci limitiamo a registrare questo segno per offrirlo al lettore.

 

Roberto Dal Bosco

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 Immagine di Zairon via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International; immagine tagliata
 

 

 

 

 

Satira

La rete impazzita per Greta trasformata in He-Man

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Greta Thunberg, passionaria un tempo giovanissima della causa climatica, è ora alle prese con un oceano di lazzi scatenatisi in rete per il look esibito nelle ultime sue apparizioni.   La ragazza, ora in forze alla protesta nautica (motorizzata a combustibile fossile) della flotilla pro-palestinese, ha scioccato tutti con un taglio di capelli conosciuto tecnicamente come pageboy («taglio da paggio» medievale) che a molti ha ricordato un personaggio dello cartone Shrek, il principe Farquaadd. Ai più, tuttavia, ha ricordato un altro personaggio dei disegni animati, He-Man, il protagonista della serie anni Ottanta Masters of the Universe.  

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La Greta, evidente strumento mondialista che anni fa smuoveva (con il consenso dei governi!) milioni di studenti per i gli scioperi del «venerdì climatico» e parlava all’ONU («how dare you…») arrivando sulla barca a vela «Malizia II» con il principe (quello sì, tipo) monegasco marito della giornalista santoro-travagliana Isabella Borromeo, ora a ridotta a zimbello della rete, con la piattaforma X eretta a quartier generale degli zimbellatori, che zimbellano come non ci fosse un domani.   È un fiume zimbellante inarrestabile. He-Greta è realtà.      

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Tuttavia, molti sono offesi al riferimento, magari pure involontario, al biondo personaggio della Mattel. Parlare di He-Man significa toccare l’infanzia di tanti individui della generazione X.   Lo stretto collaboratore di Renovatio 21 Francesco Rondolini, possessore di un copia originale del Castello di Greyskull (così come un altro tizio che scrive per la testata, che se lo porta dietro da quando aveva otto anni, quello e pure la Cittadella del Serpente) ci fa sapere tutta la sua indignazione: «non è giusto, ma come si permette… giù le mani da He-Man, giù le mani dai Masters, i pupazzi della nostra infanzia».   Al culmine dell’ira funesta, Francesco ci manda pure un video di pochi secondi della sua collezione: un grattacielo impressionante di concrezioni in plastica di fantasie antiche. Lo He-manno è visibile all’ultimo piano della teca, dove, evolianamente, cavalca la tigre.  

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Pupazzi che citano pupazzi, la vertigine socio-metafisica sale di brutto.   Non si tratta del primo assalto che i fan del biondo forzuto devono subire. Anni fa è emerso l’interesse delle torme omotransessualiste, che hanno tentato di trasformare l’eroe del pianeta Eternia in un’icona gay, con saggi accademici sul sottotesto omoerotico del cartone e continui meme sui sul suo rapporto con altri muscolosi personaggi, incluso il perfido deutoragonista Skeletor.     He-Man si traduce letteralmente come «lui-uomo», e forse è questo che attrae la popolazione gaia, che con la figura del maschio, secondo un certo pensiero psicanalitico, ha un rapporto incompleto – da qui la passione per ruoli in teoria molto maschili, come quelli dei Village People: il poliziotto, l’indiano, il pompiere, il marinaio… etc.   Sappiamo dell’esistenza dei «Bear», gli «orsi», un sottogruppo di omosessuali il cui ideale erotico è l’uomo grande, grosso, villoso: in pratica Babbo Natale. Un’ammissione implicita, secondo la teoria psicologica (da Sigismondo Freud alla cosiddetta terapia riparativa di Joseph Nicolosi) proibita e censuratissima, dei problemi del rapporto con la figura paterna, che è stata troppo debole o assente…   E Greta cosa c’entra? in effetti sembra un po’ mascolina nelle foto, ma non sappiamo nulla delle sue vere inclinazioni – questo gossip globalista ce lo hanno risparmiato, e ci saranno delle ragioni. Possiamo attaccare un paio di sinapsi, e ricordare che il transessualismo, secondo sempre più studi, pare correlato allo spettro autistico, e ci era stato detto che la ragazzina era Asperger: ma sono illazioni, e siamo convinti che la diagnosi psichiatrica spiattellata urbi et orbi possa fare parte del trend globale, partito da Hollywood diversi anni fa, di glamourizzare l’autismo, visto che la sua crescita è inarrestabile almeno quanto l’ascesa dei vaccini e dei loro obblighi.   Ci colpisce, tuttavia, nella foto che sta facendo il giro della rete, qualcos’altro. L’icona climatico-oligarchica, schiena leggermente curva e gambette un po’ piegate, sembrerebbe infatti come spingere con le budella, uno sforzo che taluni ritengono possibile leggerle pure in volto. Come mai? Non è che…  

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Ricordiamo che certi gas organici, nella narrazione climatista, sono il grande nemico da abbattere: i peti prodotti dalla civiltà che si alimenta a carne bovina, sostengono gli scienziati, sono la causa della catastrofe ambientale in atto – e di qui ai progetti eccezionali, spesso ben finanziati da Gates, come quelli per i tecno-pannoloni anti-scureggia per le mucche…   Anche di questo aspetto della nuova incarnazione pro-pal (dopo essere stata pro-Ucraina, ovvio) della svedese non abbiamo lumi, e non ci interessa nemmeno: anche perché, viste certe conferenza stampa in cui faceva scena muta, non siamo sicuri che se glielo chiedessimo saprebbe risponderci.   Il campione catodico laico (diciamo così) Piero Angela diceva che la prima vera Greta Thunberg che aveva conosciuto portava i baffi e si chiamava Aurelio Peccei – vero, grande signora della Necrocultura depopolazionista, vero e proprio inventore, committente dell’ambientalismo moderno.   Ecco, un bel suggerimento: la prossima volta, Greta, vai con i baffoni. Magari la gente ride meno.

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Immagine screenshot da YouTube; modificata  
       
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Satira

Auguri e figli gender

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Accade a Padova, provincia del Veneto bigotto e benpensante, di sani e robusti principi morali e costituzionali. Un assessore (assessora, cioè), che ha appena dato alla luce una creatura, è riuscito/a a fare della propria riproduzione una notiziona planetaria grazie a una spontaneissima trovata: il superamento del fiocco monocromatico. Niente più rosa, niente più celeste, ecco il fiocco arcobaleno, tinto dell’ineffabile iride omotransessualista. 

 

L’assessoressa, che porta l’impegnativo cognome di Colonnello (da cui possibili cortocircuiti istituzionali dal sapore golpista: «assessore colonnello», anzi «assessora colonnella»), lo aveva già annunziato al Gay Pride dello scorso 31 maggio, cui aveva partecipato, cinta con la bandiera della gaiezza a mo’ di pareo, insieme al suo concittadino sempre sul pezzo, l’onorevole Zano.

 

«Mio figlio o figlia non avrà un fiocco rosa o azzurro per indicare il sesso bensì arcobaleno, simbolo di inclusione e di libertà». Ed eccallà. La stampa riporta strafelice che l’assessore colonnello è stato di parola: accanto alla puerpera – si può dire, puerpera? – compaiono cinque (perché cinque? c’è qualche numerologia simbolica LGBTina che ci sfugge?) coccarde arcobalenate.

 

 

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Nihil novum sub sole: la pratica lungimirante di delegare al diretto interessato la libera scelta del proprio sesso è inveterata tra le star hollywoodiane, e perché mai un’assessor* piddina non dovrebbe conformarvisi.

 

Evvi tuttavia qualche ragionamento da farsi riguardo al nome scelto per la creatura. Molto gettonato per chi programma la neutralità sessuale della prole è Andrea, perché in effetti basta varcare la soglia della provincia autonoma di Bolzano e Andrea diventa femmina. Invece, secondo le cronache, al piccolo colonnello è stato imposto (quale inaccettabile prepotenza!) il nome di «Aronne». Biblica nomea, all’apparenza, tutta maschile. Come si concilia con l’arcobaleno? Ma dove è poi finita la strombazzata libertà del neonato? 

 

E perché non Aronnə con lo schwa? Capiamo che non è facile trovarlo sulla tastiera, ma si poteva allora optare per Aronn*, in attesa dell’autodeterminazione onomastica del pargolo (a che età? E se poi strada facendo cambia idea?). Ancora meglio, considerando gli ingombri delle lettere, sarebbe stato un «Aaronn*», con quella doppia «a» davanti che può arricchirlo di un effetto di stupefazione. Con lo stesso numero di lettere, ad una certa, la «a» in eccedenza a inizio parola potrebbe essere trasportata infine, come desinenza: vi presento Aronna. A meno che, ora che ci pensiamo, Aronne non sia stato scelto già come termine femminile, ma plurale: le Aronne. Sappiamo che in effetti per qualche ragione il genderismo anglofono consiglia l’uso di pronomi plurali (they/them) per le persone cosiddette «non binarie», o meglio per chi vuole.

 

Ragionandoci su, ci rendiamo conto però che si tratta di problemi inesistenti: con la sfolgorante carriera della carriera alias per tutti, qualsiasi studente può cambiare nome al volo, e pretendere di farsi chiamare col nuovo nome da tutta la scuola anche senza passare all’anagrafe. Che poi, pure il passaggio all’anagrafe per il cambio (di sesso, di nome, etc.) non è che sia cosa difficile: si può già fare, senza bisogna di castrazioni o chirurgie plastiche, in tanti Paesi, come la vicina Svizzera, o la Germania, dove si può fare una volta l’anno, da cinque anni in su. In futuro si potrà fare, molto presumibilmente, più volte. Lo si farà, se non lo si fa già, via internet, dal telefonino, con la app.

 

Insomma: perché mai, a questo punto, intraprendere quello sforzo indicibile che è la scelta del nome per la creatura (mettendo insieme gusti, statistiche, date, santi, faccia) quando questa può sceglierselo democraticamente in autogestione più in là? Se può scegliersi il sesso, perché non può scegliersi il nome?

 

Facciamo ufficialmente una proposta seria allo Stato moderno: ma perché mai dare nomi ai bambini, che poi magari non sono quelli che vogliono? Non sarebbe molto più facile assegnare loro un codice numerico, e via? Ad una certa, potranno sbloccarlo, come si fa quando si sceglie la password di un nuovo account dopo quella provvisoria iniziale, e piazzarci l’appellativo che vogliono, magari pure capolavori di digitazione come X Æ A-12, l’eccezionale, battaglianavalesco nome del figlio di Elone e dell’allora concubina cantante.

 

Si immagini la dolcezza sottesa alla nostra proposta: «THX1138, è pronta la cena!». A emettere l’annuncio qui, ovviamente, non è la madre, ma il genitore 1, oppure quello 2.

 

Havvi, infine, da farsi una considerazione riguardo al passare del tempo e dei costumi – o tempora, o mores, direbbe Ciceron* – con i relativi rischi: se a uno scappa «auguri e figli maschi», in quali conseguenze incorre? Denunzie? Rieducazioni? Deportazioni? Torture? Sostituzione coatta del nome anagrafico?

 

Che non sia il caso di conformare tutti al mondo nuovo? Suggeriamo all’onorevole Zan* di prendere spunto dal lieto evento che lo vede coinvolto per presentare un veloce disegnino di legge – un articoletto e via – per istituire, come unico auspicio proferibile a chi ancora si ostina a fare i figli con l’utero senza sesso predefinito, «auguri e figli gender». 

 

Roberto Dal Bosco

Elisabetta Frezza

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Satira

Il vento da Urano rende difficile la sonda NASA. Doppi sensi tremendi

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Gli scienziati hanno scoperto che un «raro evento di vento intenso» durante il sorvolo della NASA Voyager 2 di Urano nel 1986 potrebbe aver seriamente reso difficile la nostra comprensione del pianeta. Lo riporta il sito Futurism, che dedica un articolo alla questione pieno di doppi sensi.   Come dettagliato in un articolo pubblicato sulla rivista Nature Astronomy, lo scienziato del Jet Propulsion Lab (JPL) della NASA Jamie Jasinski e un team internazionale di ricercatori, hanno scoperto che la nostra attuale comprensione di Urano potrebbe essere basata su dati raccolti durante un periodo di tempo insolito in cui la magnetosfera di Urano era in uno «stato anomalo e compresso», che si verifica solo «meno del 5% delle volte».   Ciò detto, l’attuale conoscenza del pianeta potrebbe essere molto più limitata di quanto pensiamo, perché il Sole, in quel periodo, stava bersagliando Urano con il tempo solare.   Lo Jasinksi ha riesaminato i dati raccolti dalla Voyager 2 durante il suo sorvolo del 1986 e ha scoperto che la sonda aveva esaminato Urano poco dopo un intenso evento del vento solare, che ha visto un enorme aumento di particelle cariche esplodere dal Sole.

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L’evento ha compresso la magnetosfera del pianeta causandone la deformazione in una forma significativamente asimmetrica che sembrava mancare di plasma.   «Una tale compressione della magnetosfera potrebbe aumentare i flussi di elettroni energetici all’interno delle fasce di radiazione e svuotare temporaneamente la magnetosfera del suo plasma», hanno scritto i ricercatori nel loro articolo.   Anche se Voyager 2 avesse raccolto i dati solo una settimana prima, suggeriscono i ricercatori, avrebbe trovato una magnetosfera molto più riconoscibile, come quelli che circondano altri pianeti del nostro sistema solare, tra cui Giove, Saturno e Nettuno.   «A causa della variazione del vento solare a Urano, suggeriamo che potrebbero esserci due cicli magnetosferici durante il minimo solare», hanno dichiarato i ricercatori, riferendosi al periodo più calmo del ciclo solare di 11 anni del Sole.   «Evidenziamo che la nostra comprensione del sistema Urano è altamente limitata e la nostra analisi mostra che qualsiasi conclusione fatta dal flyby Voyager 2 è altrettanto provvisoria», conclude il team di ricerca nel loro articolo.   «Suggeriamo che le scoperte fatte dal Voyager 2 non dovrebbero essere assegnate alcuna tipicità per quanto riguarda la magnetosfera di Urano».   Ora, questo articolo assume tutt’altro significato qualora si ricordi che il pianeta Urano, in inglese Uranus, si presta ad ogni sorta di scherzo e battuta nella lingua di Guglielmo Shakespeare: Uranus si legge esattamente come «your anus», cioè «il tuo ano». Il vento da Urano, quindi, il lettore può immaginare cosa possa significare nel suo doppio senso, così come l’idea di una sonda («probe») su per Uranus.   Il piccolo pianeta del sistema solare da tempo immemore è al centro di battute e sketch di ogni tipo. Ricordiamo gli spot fasulli della multinazionale Uranus Corp dell’inarrivabile film comico The Groove Tube (1974).     Sono cose belle, SCB. Tuttavia non stupisce il fatto che la NASA, dove è stata espressa la volontà di cambiare il nome ad un satellite, perché intitolato ad uno scienziato ora ritenuto omofobo, riguardo alla possibilità di cambiare il nome di Urano non ha mai fatto alcun cenno.   Chissà perché. Misteri dello spazio, di Urano, e dei buchi neri.

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