Geopolitica
Assad visita gli Emirati. Il mondo prova a fare senza gli USA
Il presidente siriano Bashar al-Assad si è recato negli Emirati Arabi Uniti per incontrare il suo principe ereditario.
Si tratta di un incontro storico: è la prima visita del presidente siriano in un’altra nazione araba in 11 anni, cioè dallo scoppio delle tensioni delle Primavere Arabe sfociate poi nella guerra civile e nel terrorismo che hanno dilaniato la Siria sino all’intervento russo che ha pacificato l’area e distrutto l’ISIS e altre sigle takfiriste.
Secondo quanto riportato, Assad e lo sceicco Al-Makthoum – il controverso sovrano di Dubai – hanno discusso del sostegno politico e umanitario, di una tendenza a rinormalizzare le relazioni tra Damasco e i Paesi della regione e di preservare l’integrità territoriale della Siria.
La mossa ha indispettito non poco gli Stati Uniti, che vengono da un decennio di offese e attacchi missilistici contro Assad, insultato come criminale di guerra ad ogni piè sospinto e combattuto attivamente con il sostegno di realtà, magari anche jihadiste, contrarie a Damasco.
Ricorderete anche una delle accuse mossegli: quella dell’uso di armi chimiche. Come noto, ad usarle con probabilità erano stati i suoi nemici, tuttavia stiamo vedendo lo stesso schema accusatorio ricopiato oggi in Ucraina.
In via ufficiale, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha affermato, tramite il suo portavoce, che gli Stati Uniti sono «delusi» dalle azioni che riabiliterebbero l’immagine di Assad nel mondo o metterebbero fine all’isolamento del Paese.
Assad, come noto, è un alleato di ferro di Putin, al punto che si parla dell’invio di truppe siriane in Ucraina a sostegno dell’esercito della Federazione russa.
La normalizzazione dei rapporti tra emiratini (considerabili come proxy, longa manus saudita) e Assad può essere letta come risposta al gioco di Biden, che vuole aprire di nuovo all’Iran per approvvigionamenti di petrolio che sostituiscano quelli russi rimettendo sul tavolo l’accordo sul nucleare iraniano ripudiato da Trump.
Con la fine dell’era Trump si era aperto un altro canale sconvolgente: quello della normalizzazione dei rapporti tra Israele e Paesi della penisola arabica: i famosi accordi di Abramo.
Ora, come riportato da questo sito, anche Israele, dopo una visita del premier Naftali Bennet al Cremlino pochi giorni fa, sembra prendere le distanze dal regime del correligionario Zelens’kyj, a cui Bennet ha chiesto di fatto di arrendersi.
La lezione da trarne: il mondo intero sta cominciando a fare come se gli USA non avessero più forza.
Da due anni, la Cina sta riducendo le sue riserve in dollari. La Birmania userà lo yuan come valuta di scambio. India e Russia stanno studiando valutando le vendite di energia in rupie o rubli.
Come riportato da Renovatio 21, i sauditi stanno per dare il via agli scambi del loro petrolio contro yuan cinesi. Da mesi analisti come William F. Engdahl parlano di un decoupling tra USA e Ryadh, con Biden che avrebbe perso l’Arabia Saudita.
La dedollarizzazione del sistema globale, cioè la conseguenza suicida delle sanzioni contro la Russia e il vero problema che potrebbe indurre Washington ad una disperata guerra atomica, è dietro l’angolo.
Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
Geopolitica
Turchia, effigie di Netanyahu appesa a una gru: «pena di morte»
Un’effigie raffigurante il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è stata avvistata appesa a una gru edile nel Nord-Est della Turchia, suscitando forte indignazione in Israele.
Secondola stampa turca, l’episodio si è verificato sabato in un cantiere nella città di Trebisonda, sul Mar Nero. L’iniziativa sarebbe stata organizzata da Kemal Saglam, docente di comunicazione visiva presso un’università locale. Saglam ha dichiarato ai media turchi che il gesto aveva un intento simbolico, volto a denunciare le violazioni dei diritti umani a Gaza.
Le immagini, diffuse viralmente e riportate anche dal quotidiano turco Yeni Safak, mostrano la figura sospesa alla gru, accompagnata da uno striscione con la scritta: «Pena di morte per Netanyahu».
Il ministero degli Esteri israeliano, tramite un post su X, ha condiviso un video dell’incidente, accusando un accademico turco di aver creato l’effigie «con il fiero sostegno di un’azienda statale». Il ministero ha condannato l’atto, sottolineando che «le autorità turche non hanno denunciato questo comportamento scandaloso».
Turkish academic creates model of hanged 🇮🇱PM Netanyahu, with a “Death Penalty” sign. Proudly aided by a state company.
Turkish authorities have not disavowed this disgraceful behavior.
In Erdoğan’s Turkey, hatred & antisemitism isn’t condemned. It’s celebrated. pic.twitter.com/19MALpzEEW
— Israel Foreign Ministry (@IsraelMFA) October 26, 2025
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Le autorità turche non hanno ancora fornito una risposta ufficiale.
I rapporti diplomatici tra Israele e Turchia sono tesi da anni e si sono ulteriormente deteriorati dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023. Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha accusato Netanyahu di aver commesso un «genocidio» a Gaza.
La Turchia, unendosi agli altri Paesi che hanno portato il caso al tribunale dell’Aia, ha accusato Israele di aver commesso un genocidio a Gaza. Il presidente Recep Tayyip Erdogan in precedenza aveva definito il primo ministro Benjamin Netanyahu «il macellaio di Gaza», suggerendo a un certo punto – in una reductio ad Hitlerum che è andata in crescendo, con contagio internazionale – che la portata dei suoi crimini di guerra superasse quelli commessi dal cancelliere della Germania nazionalsocialista Adolfo Hitlerro.
Nel 2023 la Turchia ha richiamato il suo ambasciatore da Israele e nel 2024 ha interrotto tutti i rapporti diplomatici. Mesi fa Ankara aveva dichiarato che Israele costituisce una «minaccia per la pace in Siria». Erdogan ha più volte chiesto un’alleanza dei Paesi islamici contro Israele.
Come riportato da Renovatio 21, i turchi hanno guidato gli sforzi per far sospendere Israele all’Assemblea generale ONU. L’anno scorso il presidente turco aveva dichiarato che le Nazioni Unite dovrebbero consentire l’uso della forza contro lo Stato degli ebrei.
Un anno fa Erdogan aveva ventilato l’ipotesi che la Turchia potesse invadere Israele.
La Turchia ha avuto un ruolo attivo nei recenti negoziati per il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi, con diversi rapporti che indicano come l’influenza di Ankara su Hamas abbia facilitato il rilascio degli ostaggi nell’ambito del piano in 20 punti del presidente statunitense Donald Trump.
Venerdì, Erdogan ha dichiarato alla stampa che gli Stati Uniti dovrebbero intensificare le pressioni su Israele, anche attraverso sanzioni e divieti sulla vendita di armi, per garantire il rispetto degli impegni presi nel piano di Trump.
Domenica, Netanyahu ha annunciato che Israele deciderà quali forze straniere potranno partecipare alla missione internazionale proposta per Gaza, prevista dal piano di Trump per garantire il cessate il fuoco. La settimana precedente, aveva lasciato intendere che si sarebbe opposto a qualsiasi coinvolgimento delle forze di sicurezza turche a Gaza.
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Immagine screenshot da Twitter; modificata
Droga
Trump punta ad attaccare le «strutture della cocaina» in Venezuela
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Geopolitica
Thailandia e Cambogia firmano alla Casa Bianca un accordo di cessate il fuoco
Cambogia e Thailandia hanno siglato un accordo di cessate il fuoco ampliato per porre fine a un violento conflitto di confine scoppiato a inizio anno. La cerimonia di firma, tenutasi domenica, è stata presieduta dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che aveva mediato la tregua iniziale.
Le tensioni storiche tra i due Paesi del Sud-est asiatico, originate da dispute territoriali di epoca coloniale, sono esplose a luglio con cinque giorni di scontri armati, che hanno spinto centinaia di migliaia di persone a fuggire dalla zona di confine. Un incontro ospitato dalla Malesia aveva portato a una prima tregua, segnando l’inizio della de-escalation.
Trump ha dichiarato di aver sfruttato i negoziati commerciali con entrambi i paesi per favorire una riduzione delle tensioni.
HISTORIC PEACE BETWEEN THAILAND & CAMBODIA.
President Trump and Malaysia’s Prime Minister Anwar Ibrahim hosted the Prime Ministers of Thailand and Cambodia for the signing of the ‘Kuala Lumpur Peace Accords’—a historic peace declaration. pic.twitter.com/BZRJ2b2KLY
— The White House (@WhiteHouse) October 26, 2025
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Durante il 47° vertice dell’ASEAN in Malesia, il primo ministro cambogiano Hun Manet e il primo ministro thailandese Anutin Charnvirakul hanno firmato l’accordo, che amplia la tregua di luglio.
Il documento stabilisce un piano per ridurre le tensioni e assicurare una pace stabile al confine, prevedendo il rilascio di 18 soldati cambogiani prigionieri da parte della Thailandia, il ritiro delle armi pesanti, l’avvio di operazioni di sminamento e il contrasto alle attività illegali transfrontaliere.
Dopo la firma, il primo ministro thailandese ha annunciato l’immediato ritiro delle armi dal confine e il rilascio dei prigionieri di guerra cambogiani, insieme a un’intesa commerciale congiunta. Il primo ministro cambogiano ha lodato l’accordo, impegnandosi a rispettarlo e ringraziando Trump per il suo ruolo, proponendolo come candidato al Premio Nobel per la Pace del prossimo anno.
Trump ha definito l’accordo «monumentale» e «storico», sottolineando il suo contributo e descrivendo la mediazione di pace come «quasi un hobby». Dopo la cerimonia, ha firmato un accordo commerciale con la Cambogia e un importante patto minerario con la Thailandia.
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