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Geopolitica

Arrestato l’ex premier, fuoco e caos in Pakistan: guerra civile alle porte?

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L’ex primo ministro Imran Khan è stato arrestato e preso in custodia dalla polizia mentre stava entrando nell’Alta Corte di Islamabad per un’udienza in un caso.

 

Il 70enne giocatore di cricket diventato politico è stato perseguito in tribunale dall’agenzia anti-corruzione pakistana, ma la mossa di arrestare il Khan è da ritenersi un’escalation enorme e senza precedenti, che minaccia di scatenare un caos – che può cominciare ad assomigliare ad una guerra civile – nelle strade del Paese, che, ricordiamo, dispone da decenni di testate atomiche.

 

Il suo partito, il Pakistan Tehreek-e-Insaf (PTI), ha immediatamente chiesto proteste di massa, che sono rapidamente esplose in più città e davanti a postazioni di polizia e militari, inclusa la capitale Islamabad, ma anche a Lahore, Karachi, Gujranwala, Rawalpindi, Faisalabad, Multan, Peshawar e Mardan.

 

Immagini virali e video divenuti virali del Khan scortato dalle forze di sicurezza in tenuta antisommossa e portato via in un furgone blindato stanno alimentando la rabbia nelle strade. Una dichiarazione del governo ha detto che l’arresto è stato “per il reato di corruzione”.

 

 

Secondo il canale TV del Qatar Al Jazeera, «Khan è stato accusato con più di 100 casi – tra cui corruzione, “terrorismo” e persino blasfemia – da quando è stato rimosso dal potere lo scorso aprile attraverso un voto di sfiducia parlamentare». Come noto, la detronizzazione del Khan è stata definita da quest’ultimo come un «complotto americano».

 

Secondo quanto riportato, molti dei nemici ben piazzati di Khan sono alti funzionari militari e dell’Intelligence. Un analista politico pakistano ha spiegato ad Al Jazeera che «da quando l’intero processo è iniziato con la cacciata dell’ex primo ministro 13 mesi fa, è diventato chiarissimo che l’élite politica al potere così come l’establishment del Paese non voleva che Imran Khan indietro a qualsiasi titolo, in qualsiasi capacità di governo».

 

 

Ci sono già segnalazioni di vittime delle proteste in uscita dal Pakistan martedì, anche con rapporti e filmati che mostrano che i manifestanti hanno preso d’assalto un quartier generale dell’esercito pakistano a Rawalpindi.

 

 

Ci sono anche segnalazioni diffuse che circolano sui social media secondo cui in alcune località la polizia e l’esercito potrebbero usare il fuoco vivo per sedare i disordini.

 

Le folle pro-Khan potrebbero poi prendere di mira edifici governativi e ministeri. Al Jazeera riferisce che «a Lahore, i manifestanti si sono radunati davanti alla residenza dell’ex primo ministro Zaman Park e hanno bloccato le strade adiacenti bruciando pneumatici».

 

Khan, ex campione dell’amatissima nazionale di cricket, era stato vittima di un attentato pochi mesi fa.

 

Khan ha sposato in prime nozze l’erede di una importante famiglia dell’oligarcato britannico, Jemina Goldsmith. Le ultramiliardarie fortune Goldsmith, casato di origine ebraico-tedesca (erano Goldschmidt prima di anglicizzare il proprio nome), si intrecciano nella storia con quelle di un casato simile, quello dei Rothschild. Le ultime generazioni dei Goldsmith si sono distinte – in linea con gli Windsor – per l’impegno ambientalista, raggiungendo anche la politica: l’ex cognato di Khan, Lord Frank Zacharias Robin «Zac» Goldsmith, dopo lo scranno parlamentare per il Partito Conservatore, ha ottenuto nei governi Truss e ora Sunak il ruolo di Ministro per l’Asia, l’Energia, il Clima e l’Ambiente.

 

Divorziato dalla Goldsmith, il Khan tornò in patria e si sposò prima con una giornalista e poi con una figura enigmatica, la murshid (guida spirituale) Bushra Bibi, appartenente ad un molto influente clan del Punjab, i Manika. Khan l’avrebbe sposata senza averla mai vista in volto, causa velo totale: l’ex campione disse che aveva di lei solo una vecchia foto. La Bibi sarebbe poi divenuta l’unica première dame totalmente velata della storia del Pakistan, cosa che la espone a diverse critiche in patria.

 

Ripakistinazzata la sua immagine, il Khan vinse le elezioni con un suo partito, divenendo premier in un Paese dove lo Stato profondo, animato da militari, servizi segreti (il noto ISI) e interessi di Washington la fanno da padroni da decenni. La sua detronizzazione è stata rapida, ma lui non ha abbandonato la lotta per tornare al potere.

 

Come riportato da Renovatio 21, il Khan è stato di recente detronizzato in quello che lui stesso ha definito «un complotto USA». Da premier, aveva mostrato politiche filo-Repubblica Popolare Cinese (di fatto da sempre alleata del Pakistan contro l’India) e negli ultimi tempi filo-russe, posizione più nuova per un premier pakistano. Il Khan aveva altresì avviato accordi con il Tehreek-i-Labbaik Pakistan, il partito islamista del Paese.

 

In questi mesi  Pakistan è piombato nel caos, con blackoutterrorismo montante con stragi sanguinariepressioni del Fondo Monetario Internazionalefabbriche che chiudono e avvisaglie di guerra civile. Non mancano, nel quadro già tetro, le visite di Bill Gates a generali della potenza nucleare.

 

Come riportato ieri da Renovatio 21, anche il Pakistan sta iniziando a sganciarsi dal dollaro a favore dello yuan, partendo dall’acquisto del petrolio russo. La crisi economica ha spinto il Paese sempre più tra le braccia del Fondo Monetario Internazionale.

 

 

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Geopolitica

La Cina snobba il ministro degli Esteri tedesco

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Il ministro degli Esteri tedesco Johann Wadephul ha dovuto cancellare un viaggio previsto in Cina dopo che Pechino si sarebbe rifiutata di organizzare incontri di alto livello con lui, secondo quanto riportato venerdì da diversi organi di stampa.

 

Il Wadephul sarebbe dovuto partire per Pechino domenica per discutere delle restrizioni cinesi sull’esportazione di terre rare e semiconduttori, oltre che del conflitto in Ucraina.

 

«Il viaggio non può essere effettuato al momento e sarà posticipato a data da destinarsi», ha dichiarato un portavoce del Ministero degli Esteri tedesco, citato da Politico. Il Wadephullo avrebbe dovuto incontrare il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, ma l’agenda prevedeva troppo pochi incontri di rilievo.

 

Secondo il tabloide germanico Bild, i due diplomatici terranno presto una conversazione telefonica.

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Questo intoppo diplomatico si inserisce in un contesto di crescenti tensioni commerciali tra Cina e Unione Europea. Nell’ultimo anno, Bruxelles e Pechino si sono scontrate sulla presunta sovrapproduzione industriale cinese, mentre la Cina accusa l’UE di protezionismo.

 

All’inizio di questo mese, Pechino ha rafforzato le restrizioni sull’esportazione di minerali strategici con applicazioni militari, una mossa che potrebbe aggravare le difficoltà del settore automobilistico europeo.

 

La Germania è stata particolarmente colpita dal deterioramento del clima commerciale.

 

Come riportato da Renovatio 21, la Volkswagen sospenderà la produzione in alcuni stabilimenti chiave la prossima settimana a causa della carenza di semiconduttori, dovuta al sequestro da parte dei Paesi Bassi del produttore cinese di chip Nexperia, motivato da rischi per la sicurezza tecnologica dell’UE. In risposta, Pechino ha bloccato le esportazioni di chip Nexperia dalla Cina, causando una riduzione delle scorte che potrebbe portare a ulteriori chiusure temporanee di stabilimenti Volkswagen e colpire altre case automobilistiche, secondo il quotidiano.

 

Venerdì, il ministro dell’economia Katherina Reiche ha annunciato che Berlino presenterà una protesta diplomatica contro Pechino per il blocco delle spedizioni di semiconduttori, sottolineando la forte dipendenza della Germania dai componenti cinesi.

 

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Immagine di UK Government via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

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Vance in Israele critica la «stupida trovata politica»: il voto di sovranità sulla Cisgiordania è stato un «insulto» da parte della Knesset

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La proposta di applicare la sovranità israeliana sulla Cisgiordania occupata, considerata da molti come un’equivalente all’annessione totale del territorio palestinese, ha suscitato una forte condanna internazionale, incluso un netto dissenso da parte degli Stati Uniti.   Il disegno di legge ha superato di stretta misura la sua lettura preliminare martedì, con 25 voti a favore e 24 contrari nella Knesset, composta da 120 membri. La proposta passerà ora alla Commissione Affari Esteri e Difesa per ulteriori discussioni.   Una dichiarazione parlamentare afferma che l’obiettivo del provvedimento è «estendere la sovranità dello Stato di Israele ai territori di Giudea e Samaria (Cisgiordania)».   Il momento del voto è stato significativo e provocatorio, poiché è coinciso con la visita in Israele del vicepresidente J.D. Vance, impegnato in discussioni sul cessate il fuoco a Gaza e sul centro di coordinamento gestito dalle truppe statunitensi e dai loro alleati, incaricato di supervisionare la transizione di Gaza dal controllo di Hamas. Vance ha percepito la tempistica del voto come un gesto intenzionale, accogliendolo con disappunto.

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Anche il Segretario di Stato Marco Rubio, in visita in Israele questa settimana, ha espresso critiche prima di lasciare il Paese mercoledì, dichiarando che il disegno di legge sull’annessione «non è qualcosa che appoggeremmo».   «Riteniamo che possa rappresentare una minaccia per l’accordo di pace», ha detto Rubio, in linea con la promozione della pace in Medio Oriente sostenuta ripetutamente da Trump. «Potrebbe rivelarsi controproducente». Vance ha ribadito che «la Cisgiordania non sarà annessa da Israele» e che l’amministrazione Trump «non ne è stata affatto soddisfatta», sottolineando la posizione ufficiale.   Vance, considerato il favorito per la prossima candidatura presidenziale repubblicana dopo Trump, probabilmente ricorderà questo episodio come un momento frustrante e forse irrispettoso, specialmente in un contesto in cui la destra americana appare sempre più divisa sulla politica verso Israele.   Si dice che il primo ministro Netanyahu non sia favorevole a spingere per un programma di sovranità, guidato principalmente da politici oltranzisti legati ai coloni. In una recente dichiarazione, il Likud ha definito il voto «un’ulteriore provocazione dell’opposizione volta a compromettere i nostri rapporti con gli Stati Uniti».   «La vera sovranità non si ottiene con una legge appariscente, ma con un lavoro concreto sul campo», ha sostenuto il partito.   Tuttavia, è stata la reazione di Vance a risultare la più veemente, definendo il voto una «stupida trovata politica» e un «insulto», aggiungendo che, pur essendo una mossa «solo simbolica», è stata «strana», specialmente perché avvenuta durante la sua presenza in Israele.   Come riportato da Renovatio 21, Trump ha minacciato di togliere tutti i fondi ad Israele in caso di annessione da parte dello Stato Giudaico della West Bank, che gli israeliani chiamano «Giudea e Samaria».  

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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Trump minaccia di togliere i fondi a Israele se annette la Cisgiordania

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Israele «perderebbe tutto il sostegno degli Stati Uniti» in caso di annessione della Giudea e della Samaria, nome con cui lo Stato Ebraico chiama la Cisgiordania, ha detto il presidente USA Donald Trump.

 

Trump ha replicato a un disegno di legge controverso presentato da esponenti dell’opposizione di destra alla Knesset, il parlamento israeliano, che prevede l’annessione del territorio conteso come reazione al terrorismo palestinese.

 

Il primo ministro Benjamin Netanyahu, sostenitore degli insediamenti ebraici in quell’area, si oppone al provvedimento, poiché rischierebbe di allontanare gli Stati arabi e musulmani aderenti agli Accordi di Abramo e al cessate il fuoco di Gaza.

 

Netanyahu ha criticato aspramente il disegno di legge, accusando i promotori di opposizione di una «provocazione» deliberata in concomitanza con la visita del vicepresidente statunitense J.D. Vance. (Lo stesso Vance ha qualificato il disegno di legge come un «insulto» personale)

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«I commenti pubblicati giovedì dalla rivista TIME sono stati espressi da Trump durante un’intervista del 15 ottobre, prima dell’approvazione preliminare alla Knesset di mercoledì – contro il volere del primo ministro – di un disegno di legge che estenderebbe la sovranità israeliana a tutti gli insediamenti della Cisgiordania» ha scritto il quotidiano israeliano Times of Israel.

 

Evidenziando l’impazienza dell’amministrazione verso tali iniziative, il vicepresidente di Trump, J.D. Vance, ha dichiarato giovedì, lasciando Israele, che il voto del giorno precedente lo aveva «offeso» ed era stato «molto stupido».

 

«Non accadrà. Non accadrà», ha affermato Trump a TIME, in riferimento all’annessione. «Non accadrà perché ho dato la mia parola ai Paesi arabi. E non potete farlo ora. Abbiamo avuto un grande sostegno arabo. Non accadrà perché ho dato la mia parola ai paesi arabi. Non accadrà. Israele perderebbe tutto il sostegno degli Stati Uniti se ciò accadesse».

 

Vance ha precisato che gli era stato descritto come una «trovata politica» e «puramente simbolica», ma ha aggiunto: «Si tratta di una trovata politica molto stupida, e personalmente la considero un insulto».

 

Gli Emirati Arabi Uniti, che hanno guidato i Paesi arabi e musulmani negli Accordi di Abramo, si oppongono da tempo all’annessione della Cisgiordania, sostenendo che renderebbe vani i futuri negoziati di pace nella regione.

 

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