Geopolitica
Ankara pronta all’escalation militare contro il PKK nel Kurdistan iracheno
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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Raid aerei e checkpoint sul terreno dell’esercito turco indicano una probabile espansione delle operazioni contro il PKK. Le aree civili di entrambi i lati del confine interessate da “sfollamenti e migrazioni”. Nel 2024 già 833 fra attacchi e bombardamenti, che hanno causato la morte di otto civili.
Escalation di attacchi e presenza militare sul terreno, con checkpoint allestiti dai soldati turchi che fermano e controllano la popolazione locale curda: in queste ultime settimane torna a infiammarsi la zona di confine fra Turchia e Iraq, in particolare il Kurdistan iracheno, nel mirino di Ankara e del presidente Recep Tayyip Erdogan secondo cui nella zona si troverebbero basi operative del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK).
Secondo un giornale filo-governativo l’aeroporto internazionale di Sulaymaniyah si sarebbe trasformato in un «centro logistico» del PKK e l’esercito è «pronto a colpire» nel caso in cui «tali attività continueranno». Da qui la decisione di Ankara di intensificare la sua presenza militare, segnalando una potenziale escalation nel lungo conflitto con il movimento di Abdullah Öcalan considerato «terrorista».
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Yeni Şafak, quotidiano noto per riflettere le posizioni del governo turco, ha parlato di un imminente attacco contro lo scalo di Sulaymaniyah, una risorsa importante del governo regionale del Kurdistan. Secondo il giornale, l’aeroporto si sarebbe trasformato in un «centro logistico» per il PKK, utilizzato sia dagli Stati Uniti che dall’Iran per fornire armi al gruppo.
Se la Turchia rileverà un’altra consegna, afferma l’articolo, lo «colpirà». I rischi di escalation sono condivisi anche dal fronte opposto: nei giorni scorsi l’agenzia di stampa curda Rojnews ha pubblicato immagini che mostrerebbero un nuovo dispiegamento di truppe turche nel Kurdistan iracheno.
Il giornalista curdo Erdal Er, che ha commentato gli sviluppi sul suo canale YouTube, ha interpretato questi movimenti come «un segno di una guerra molto più grande che sta per arrivare».
Per l’analista e cronista curdo le aree civili su entrambi i lati del confine sono interessate dai preparativi militari, causando «sfollamenti e migrazioni» della popolazione locale. Da qui la conclusione del giornalista che ritiene probabile «l’intensificarsi e l’estendersi della guerra» in particolare a Sulaymaniyah «che diventa un obiettivo» legato ad un «bilanciamento» della «superiorità aerea» nelle operazioni a sud della Turchia.
Di contro, nel marzo scorso il PKK ha annunciato di aver acquisito armi per contrastare i droni turchi, pubblicando un filmato che mostrerebbe l’abbattimento di un mezzo. Sebbene il gruppo militante non abbia specificato le armi utilizzate, diversi rapporti suggeriscono forniture di droni kamikaze di fabbricazione iraniana.
Agli attacchi aerei si somma il ricorso sempre più diffuso ai posti di blocco in Kurdistan, soprattutto nella provincia di Dohuk nei pressi del confine turco, provocando gravi disagi alla popolazione locale. «Tornando a casa, mi è stata chiesta la carta di identità in turco, ma non ho capito la richiesta» riferisce a Rudaw un residente del villaggio di Kani Masi, distretto di Amedi, dietro condizione di anonimato. Ai residenti viene chiesto di identificarsi, ha aggiunto la fonte, anche se i soldati precisano di «non avercela» con la popolazione pur chiedendo «di portare sempre con sé i documenti».
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L’intensificarsi delle operazioni e della presenza turca nel Kurdistan iracheno è confermato anche dai numeri: le forze armate di Ankara hanno sferrato almeno 833 fra «attacchi e bombardamenti» nella regione e della provincia di Ninive nell’anno in corso, causando la morte di otto civili, come afferma in un rapporto Kamaran Osman, membro del Christian Peacemaker Teams (CPT).
L’ente, specializzato nelle operazioni turche nell’area, aggiunge che le province più colpite sono Erbil e Dohuk con 365 e 356 operazioni, seguita da Sulaymaniyah con 102 e Sinjar, cuore dei territori yazidi nella provincia di Ninive, con 10 attacchi.
Molte famiglie sono state costrette a fuggire, lasciando interi villaggi vuoti. Uno studio del Parlamento regionale del Kurdistan del 2020 riferiva di almeno 500 villaggi completamente abbandonati e di una popolazione in fuga. Sempre secondo i dati del CPT, lo scorso anno gli attacchi totali di Ankara nel Kurdistan e Ninive erano stati 1586.
Essi rientrano nell’offensiva lanciata dal 2019 dalla Turchia contro il PKK e ribattezzata «Operazione Claw-Lock», che prevede una combinazione di raid e attacchi (con caccia e droni) e una presenza militare sul terreno con 10mila soldati impegnati oltre-confine in base ai dati diffusi dalla Jamestown Foundation. Questo dispiegamento ha, di fatto, spostato il focus delle attività militari di Ankara dal territorio interno turco alle zone curdo-irachene (e siriane). Inoltre, nell’ultimo anno il governo ha compiuto numerosi sforzi diplomatici per ottenere il sostegno del governo di Baghdad.
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Immagine di Kurdishstruggle via Flickr pubblicata su licenza CC BY 2.0
Geopolitica
Netanyahu lancerà bombe nucleari tattiche contro Hezbollah con il sostegno degli Stati Uniti?
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Geopolitica
Orban: i burocrati UE «vogliono la guerra con la Russia»
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I funzionari dell’UE stanno spingendo l’Unione verso una guerra con la Russia, trascurando gli interessi del proprio popolo, ha affermato il primo ministro ungherese Viktor Orban.
In un editoriale pubblicato sabato sul quotidiano Magyar Nemzet, Orban ha avvertito che l’UE si trova ad affrontare una serie di crisi, tra cui sfide economiche e la crescente minaccia del terrorismo.
«A peggiorare le cose, la burocrazia di Bruxelles che vive in una bolla ha preso una serie di cattive decisioni politiche negli ultimi anni», ha sostenuto il primo ministro. «L’Europa viene sempre più trascinata in una guerra, in cui non ha nulla da guadagnare e tutto da perdere».
Il primo ministro ungherese ha rilasciato le sue dichiarazioni poco dopo che i leader dell’UE hanno nominato Ursula von der Leyen per un terzo mandato come presidente della Commissione Europea.
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Nello stesso momento, il primo ministro estone Kaja Kallas è stato nominato per sostituire Josep Borrell come massimo diplomatico del blocco. Nota per la sua politica estera aggressiva, Kallas è stata una delle principali sostenitrici di sanzioni più severe contro la Russia e di maggiori spedizioni di armi all’Ucraina. È anche una sostenitrice dell’uso di beni russi congelati per gli aiuti a Kiev.
I burocrati di Bruxelles vogliono questa guerra, la vedono come loro e vogliono sconfiggere la Russia. Continuano a mandare i soldi del popolo europeo in Ucraina, hanno sparato alle aziende europee con le sanzioni, hanno fatto salire l’inflazione e hanno reso difficile guadagnarsi da vivere per milioni di cittadini europei.
Orban ha anche accusato la leadership dell’UE di «imporre le proprie ideologie» alle popolazioni degli Stati membri, invece di «occuparsi degli interessi delle persone».
Orban è un critico esplicito dell’approccio dell’UE al conflitto ucraino, favorendo una soluzione diplomatica attraverso i negoziati. A differenza di molti altri membri della NATO, l’Ungheria ha rifiutato di inviare armi a Kiev e ha fatto pressioni contro l’assistenza finanziaria incondizionata.
In precedenza aveva affermato che gli Stati Uniti e l’UE erano «le fonti» della «follia bellica» che dilagava nel continente e aveva accusato Bruxelles di pericolosa politica del rischio calcolato con la Russia.
Come riportato da Renovatio 21, recentemente Orban ha dichiarato che l’UE potrebbe fermare il conflitto in Ucraina in 24 ore e che «l’occidente vuole la guerra alla Russia per questione di soldi».
Da mesi il premier magiaro accusa l’UE di essere in istato di «psicosi di guerra». Orban nelle scorse settimane ha dichiarato che la NATO si sta preparando alla guerra con Mosca ed ha collegato l’attentato al premier slovacco Fico ai preparativi bellici dell’Occidente.
L’anno passato il premier magiaro ha detto che solo Trump, che ha incontrato a Mar-a-Lago di recente e sul cui ritorno alla Casa Bianca egli scommette, può salvare l’Occidente e gli uomini di tutto il mondo.
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Geopolitica
L’Iran minaccia Israele: «guerra di annientamento»
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