Bioetica
Anche il vaccino russo è fatto con cellule di feto abortito

L’Istituto Gamaleya, l’ente che ha sviluppato il vaccino russo annunciato al mondo da Putin pochi giorni fa, ha utilizzato nel suo farmaco una linea cellulare umana coltivata per la prima volta nel 1973, la stessa linea utilizzata nel vaccino Oxford-AstraZeneca.
Come una serie di altre linee cellulari utilizzate nella ricerca medica e nella produzione di vaccini, è derivata da cellule prelevate da un feto abortito, cosa, che – scrive il New York Times, che pare per la prima volta occuparsi del tema –«sollevando obiezioni da parte degli oppositori dell’aborto che potrebbero diventare più intense se il vaccino viene utilizzato ampiamente».
Il vaccino russo è incontrovertibilmente stato creato con l’utilizzo di cellule da aborto
Mai avevamo veduto il principale quotidiano del progressismo globale preoccuparsi di quelli che ora definisce gentilmente «oppositori delll’aborto»; ma se si tratta di dare addosso a Putin che dichiara di avere un vaccino prima di tutti e da un laboratorio di Stato invece che da Big Pharma…
Ad ogni modo, il vaccino russo è incontrovertibilmente stato creato con l’utilizzo di cellule da aborto.
L’Istituto Gamaleya ha sviluppato il suo vaccino utilizzando una linea cellulare umana coltivata per la prima volta nel 1973, nota come HEK293, la stessa linea utilizzata nel vaccino Oxford-AstraZeneca ed altri istituti e aziende che concorrono al vaccino COVID.
L’Istituto Gamaleya ha sviluppato il suo vaccino utilizzando una linea cellulare umana coltivata per la prima volta nel 1973, nota come HEK293
La linea cellulare HEK293 è stata derivata da un feto abortito, e, come riportato da Renovatio 21, sta venendo utilizzata da ricercatori canadesi, cinesi e americani alla cerca del vaccino COVID: anche Moderna e Janssen Pharmaceutica (di proprietà del colosso Johnson and Johnson), due delle società USA più lanciate nella ricerca del vaccino, fanno uso di cellule HEK293.
«Come un certo numero di altre linee cellulari utilizzate nella ricerca medica, HEK293 ha iniziato con cellule prelevate da un feto abortito, sollevando obiezioni da parte degli oppositori dell’aborto, compreso il clero cattolico romano» scrive il NYT già ad inizio mese, subodorando ciò che stava accadendo in Russia.
La prima linea cellulare umana era derivata dal cancro che uccise Henrietta Lacks nel 1951. HeLa, come era nota, si fece strada nei laboratori sovietici durante la Guerra Fredda. Viktor Zuyev, un professore emerito di virologia di 91 anni presso l’Istituto Gamaleya, ha ricordato di averlo usato per coltivare il virus dell’influenza.
La linea cellulare HEK293 è stata derivata da un feto abortito e sta venendo utilizzata da ricercatori canadesi, cinesi e americani alla cerca del vaccino COVID
Zuyev, secondo il quotidiano nuovaiorchese, non è infastidito dalla questione etica.
«Perchè no?». «È molto umano per la prossima generazione» utilizzare il tessuto di una persona morente per la sperimentazione scientifica. «Se può giovare all’umanità, ovviamente è etico».
I ricercatori russi hanno dichiarato che il vaccino è stato prodotto da un adenovirus – un innocuo virus del raffreddore – portatore di un gene del coronavirus, simile a quello che AstraZeneca e Johnson & Johnson stanno usando nei loro vaccini.
La tecnologia dei «Vaccini a vettori virali» – è ancora relativamente nuova: il primo vaccino contro l’adenovirus per qualsiasi malattia è stato approvato per l’Ebola a giugno.
La tecnologia , facente parte del gruppo dei cosiddetti «Vaccini a vettori virali» – vaccini che usano un virus per trasportare i geni del coronavirus nelle cellule – è ancora relativamente nuova: il primo vaccino contro l’adenovirus per qualsiasi malattia è stato approvato per l’Ebola a giugno.
Tra le aziende che stanno sviluppando questo tipo di vaccini per il Coronavirus vi sono la Johnson & Johnson, la cinese CanSino (che utilizza le cellule di aborto fornite dai ricercatori di Stato canadesi), l’Università di Oxford etc.
Negli ultimi mesi la televisione di Stato russa ha promosso l’idea che Mosca stesse guidando la competizione globale per il vaccino.
È stato riferito che la prima persona al mondo a essere vaccinata contro il virus era un ricercatore russo che si era iniettato da solo anche prima che le prove sulle scimmie fossero state completate.
A maggio, è stato riferito che la prima persona al mondo a essere vaccinata contro il virus era un ricercatore russo che si era iniettato da solo anche prima che le prove sulle scimmie fossero state completate.
La Russia ha anche testato il vaccino sui soldati, sollevando preoccupazioni sul consenso, anche se il Ministero della Difesa ha affermato che tutti i soldati si erano offerti volontari.
Non è la prima volta che gli scienziati russi hanno intrapreso una strada non ortodossa per la creazione di un vaccino. Negli anni ’50, un team di ricercatori sovietici testò sui propri figli un vaccino antipolio. La storia si incrocia con quella del vaccino Salk e Sabin.
Negli anni ’50, un team di ricercatori sovietici testò sui propri figli un vaccino antipolio
Negli Stati Uniti, con il vaccino Salk già in uso, le autorità erano riluttanti a correre il rischio percepito di condurre sperimentazioni sui virus vivi di Sabin. Ecco quindi che il Sabindiede i suoi tre ceppi di virus attenuato a una coppia di virologi sposati nell’Unione Sovietica, il dottor Mikhail Chumakov, il fondatore di un istituto di ricerca sulla poliomielite che ora porta il suo nome, e la dottoressa Voroshilova.
Il dottor Chumakov si vaccinò da solo, ma un medicinale destinato principalmente ai bambini aveva bisogno di soggetti di test per bambini, quindi lui e la dottoressa Voroshilova lo diedero ai loro tre figli e diversi nipoti.
La storia dei vaccini è una storia globale con corrispondenze transnazionali sorprendenti, ma un unico denominatore: sacrifici umani sia per le linee cellulari con cui produrli sia per i soggetti degli esperimenti
La storia dei vaccini è una storia globale con corrispondenze transnazionali sorprendenti, ma un unico denominatore: sacrifici umani sia per le linee cellulari con cui produrli sia, possibilmente, per i soggetti degli esperimenti effettuati sconsideratamente – perfino bambini, perfino i figli dei vaccinatori.
Dalla polio al coronavirus, dagli USA e la Russia sovietica della Guerra Fredda ad oggi, cosa davvero è cambiato?
Immagine «Immunofluorescent Human Embryonic Kidney 293 cells. Phospho-Histone H3 (yellow), phalloidin (green), nuclei (red)» di Iznewton via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0)
Bioetica
Medici britannici lasciano morire il bambino prematuro perché pensano che la madre abbia mentito sulla sua età

Un bambino prematuro nato a 22 settimane è morto dopo che i medici in Gran Bretagna si sono rifiutati di somministrargli un trattamento salvavita. Lo riporta LifeSite.
Mojeri Adeleye è nato prematuro alla 22ª settimana, dopo che la madre aveva subito la rottura prematura delle membrane. Durante l’emergenza, la mamma e il bambino sono stati trasferiti in un altro ospedale, dove la data di gestazione è stata scritta in modo errato, etichettando Mojeri come se avesse meno di 22 settimane di gestazione.
Le linee guida raccomandano l’assistenza medica solo per i neonati prematuri nati dopo la 22a settimana di gestazione. Sebbene la madre di Mojeri avesse informato il personale medico dell’errore, questi non le hanno creduto e hanno lasciato che il bambino morisse.
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Secondo il rapporto del medico legale, la madre di Mojeri era stata visitata per gran parte della gravidanza presso l’ospedale locale ma a seguito di complicazioni, la donna è stata trasferita in un altro ospedale.
Tuttavia, è stato commesso un errore nelle note di riferimento e la madre di Mojeri è stata registrata come a meno di 22 settimane di gestazione. Le linee guida nazionali raccomandano che il trattamento salvavita venga fornito solo ai prematuri nati a 22 settimane di gestazione o dopo, e sebbene la madre di Mojeri abbia ripetutamente cercato di comunicare al personale la corretta età gestazionale, non le hanno creduto.
Quando la madre è entrata in travaglio, il personale si è rifiutato di fornire a Mojeri qualsiasi assistenza salvavita. Era, infatti, da poco più di 22 settimane di gestazione, come aveva insistito la madre. Poiché i medici non hanno fatto nulla, Mojeri è morto.
Il medico legale ha scritto nel rapporto: «Nel corso dell’inchiesta, le prove hanno rivelato elementi che destano preoccupazione. A mio parere, sussiste il rischio che si verifichino decessi in futuro, se non si interviene».
«Date le circostanze, è mio dovere legale riferirvi. Le questioni di interesse sono le seguenti: La mancanza di considerazione nei confronti della conoscenza da parte della madre di Mojeri della propria gravidanza e della data prevista del parto per Mojeri; La mancanza di discussione con i genitori di Mojeri sulle possibili misure da adottare in caso di parto prematuro prima della 22ª settimana».
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Le linee guida della British Association of Perinatal Medicine (BAPM) del 2019 raccomandavano che, se i bambini nascevano vivi a 22 settimane, venissero fornite cure «focalizzate sulla sopravvivenza»; in precedenza, le linee guida affermavano che i bambini nati prima delle 23 settimane non dovevano essere rianimati.
Dopo l’attuazione di queste linee guida, il numero di bambini prematuri sopravvissuti alla 22ª settimana è triplicato. Prima di allora, i bambini prematuri considerati «troppo piccoli» venivano semplicemente lasciati morire.
Si stima che il 60-70% dei neonati possa sopravvivere alla nascita prematura a 24 settimane di gestazione. Tuttavia, fino al 71% dei neonati prematuri, anche quelli nati prima delle 24 settimane, può sopravvivere se riceve cure attive anziché solo cure palliative. E sempre più spesso, i bambini sopravvivono anche a 21 settimane, scrive Lifesite, che ricorda: «non tutti i bambini sopravvivranno alla prematurità estrema, ma meritano almeno di avere una possibilità».
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia; immagine modificata
Bioetica
L’amministrazione Trump condanna la «persecuzione della preghiera silenziosa» fuori dagli abortifici britannici

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Bioetica
L’aborto ha spazzato via il 28% della generazione Z. E molto, molto di più

Statistiche ampiamente condivise in rete questa settimana riportano che circa il 28% della Generazione Z (i nati tra il 1997 e il 2012) negli USA è stata abortita nel grembo materno. Lo scrive LifeSite.
Secondo le stime del Guttmacher Institute (il braccio di ricerca e sviluppo del grande abortificio multinazionale Planned Parenthood) sul numero di aborti eseguiti ogni anno negli Stati Uniti dal 1997 al 2011, gli anni di nascita della Generazione Z, circa 19,5 milioni di esseri umani concepiti in quella generazione, sono stati soppressi attraverso l’aborto. Attualmente si stima che negli Stati Uniti ci siano 69,3 milioni di membri della Generazione Z.
I dati più recenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) indicano che il tasso di aborti tra i bambini della Generazione Z negli Stati Uniti corrisponde quasi alla percentuale stimata di bambini non ancora nati uccisi dall’aborto in tutto il mondo: il 29%, ovvero tre gravidanze su 10.
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Le statistiche di Inghilterra e Galles mostrano tassi di aborto molto simili. «la percentuale di concepimenti che hanno portato all’aborto è stata del 29,7%; si tratta di un aumento rispetto al 26,5% del 2021 e della percentuale più alta mai registrata», ha rilevato un rapporto dell’Office of National Statistics (ONS) basato sui dati del 2022.
Ricordiamo anche che queste statistiche risultano calcolabili pure per realtà apparentemente distanti come il Giappone, con dati nel periodo post-bellico che indicavano l’aborto di circa un terzo dei concepiti, con casi allucinanti di infanticidi – che oggi la Finestra di Overton vuole che chiamiamo «aborti post-natali» – come quello di Miyuki Ishikawa, detta «Oni-sanba», ostetrica che avrebbe ucciso almeno 86 bambini (qualcuno parla di una cifra doppia) affidatile negli anni dell’immediato dopoguerra.
Non si tratta di numeri sconosciuti anche all’Italia, dove per anni le nascite sono state attorno alla cifra di 500 mila, con le interruzioni di gravidanza sopra i 100.000, con un calo sensibile nell’ultimo decennio, in linea tuttavia con il calo delle nascite, specie dopo la pandemia.
Anche in Italia, dunque, abbiamo avuto una percentuale di generazioni spazzate via sopra il 20%, in pratica una piccola guerra condotta contro il Paese stesso, ma legalizzata e pagata dal contribuente – o una serie di bombe atomiche, i cui effetti si misurano in megadeath («megamorte», un milione di individui sterminati).
Come scritto anni fa da Renovatio 21, negli anni l’Italia dell’aborto ha subito una devastazione umana molto superiore a quella di Hiroshima e Nagasaki, con almeno 6-7 megadeath di danno alla popolazione. E parliamo solo delle cifre ufficiali, che non includono gli embrioni distrutti dalle provette, che sono già in numero maggiore di quelli trucidati dall’interruzione volontaria di gravidanza.
Se non volete pensarlo in percentuale, pensatelo così: 6 milioni di persone uccise, sono perfettamente pensabili come un attacco atomico che cancella tutto il Triveneto, o la Sicilia e la Calabria assieme, o l’Emilia-Romagna con l’Umbria e le Marche, o tutto il Lazio e zone limitrofe, o due terzi della Lombardia.
Come avevamo scritto oramai più di 10 anni fa: «Per quanto possa sembrare allucinante, dobbiamo guardare in faccia la realtà: l’Italia è una rovina post-atomica. E neppure lo sa».
Le cifre divenute virali questa settimana non includono mai – perché è un calcolo che i pro-life, specie italiani, non hanno l’intelligenza di fare – quello che qualcuno chiama il ghost number. Proviamo a pensare le cifre americane: e 6.392.900 femmine abortite tra il 1973 e il 1982 avrebbero oggi 25-40 anni, e quindi con alta probabilità almeno un figlio di media (chi due, chi cinque, chi zero). Otteniamo così la cifra di 54.853.850 persone spazzate via dall’anagrafe, sottratte alla società.
Un danno di quasi 55 megadeath: come se il temuto showdown nucleare con la Russia, fosse avvenuto – e senza che i sovietici sparassero un solo colpo. Basandosi sulle attuali statistiche demografiche americane, è possibile calcolare che tra questi 55 milioni vi potrebbero essere stati 7 giudici della Corte Suprema, 31 premi Nobel, 6000 atleti professionisti, 11.010 suore, 1.102.403 insegnanti, 553.821 camionisti, 224.518 camerieri, 336.939 spazzini, 134.028 contadini, 109.984 poliziotti, 39.447 pompieri, 17.221 barbieri.
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Soprattutto, e questo deve essere meditato profondamente dalle femministe, in questo immane turbine di morte sono state disintegrate 27.426.925 donne. Le quali sono, senza dubbio alcuno, il bene più prezioso che esista sulla Terra: ogni cellula uovo che la donna ovulerà in tutta la sua vita, è già formata dal feto a poche settimane dal concepimento. La prima cellula del nostro corpo – l’ovocita – già esisteva dentro nostra madre quando era un feto, venti, trenta, quaranta anni prima che venissimo alla luce. Un’autentica, insondabile meraviglia: la vita contenuta dentro la vita.
L’aborto interrompe questa catena superiore. Come diceva un detto ebraico: chi uccide un uomo uccide l’umanità; ammazzi qualcuno e rovini per sempre le generazioni che seguiranno. Peggio di un fallout radioattivo, l’aborto reca un danno aberrante, che si accumula distruggendo il futuro – i figli, i figli dei nostri figli – su una scala che non possiamo immaginare.
Chi non crede a queste romanticherie scientifiche e umanistiche, pensi ai soldi: i 55 megadeath causati dall’aborto in USA rappresentano 55 milioni di lavoratori e consumatori americani che non pagano le tasse e non partecipano al mercato nazionale. Dal PIL, è possibile calcolare che l’aborto abbia causato all’economia americana un danno di 37 trilioni e 600 miliardi di dollari.
L’abisso di cui stiamo parlando non vi è stata ancora nessuna rappresentazione adeguata alla sua immensità apocalittica. Né la polemologia (la disciplina che nel Novecento si è dedicata allo studio della guerra), né la psicologia, né la sociologia, né la filosofia paiono comprendere questo Inferno per intero.
No, non è solo un terzo della Generazione Z ad essere stato cancellato dall’aborto. È molto, molto di più.
Roberto Dal Bosco
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