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Analisi critica della proposta di legge «Un cuore che batte»

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Renovatio 21 pubblica questo testo di Alfredo De Matteo, attivista già tra gli organizzatori della Marcia per la Vita, riguardo della recente proposta di legge «Un cuore che batte», portata avanti da diverse realtà pro-life italiane. Renovatio 21 aveva espresso un giudizio in merito in un articolo del mese scorso: l’iniziativa è in partenza inaccettabile in quanto non chiede l’abolizione dell’iniqua legge genocida, ma una sua micro-modifica con la quale, ingenuamente, si pensa che dottori e donne in procinto di uccidere i bambini si fermeranno per magia. Tutto questo sforzo pro-life, ricordiamo, mentre al governo ci sono spezzoni di network democristiano che hanno giurato di non voler toccare la legge (così come hanno fatto, anche piuttosto esplicitamente, esponenti del sedicente mondo pro-vita italiano) e il primo ministro dichiara solennemente, più volte, di essere a favore del feticidio. Il contesto del Paese, abbiamo scritto, forse è molto più grave, e più oscuro, di quanto immaginino gli attivisti pro-life: mentre si perde tempo intorno a raccolte firme per limitare l’aborto, qualcuno sta nascondendo in giro per l’Italia aborti in barattolo, mentre emergono misteriosi barili che contengono quantità di feti abortiti. Solo questo dovrebbe farci temere che il tema è più grande di quanto pensassimo, e che forse il nemico è molto diverso da quello che si credeva di avere – e questo nemico gioca pure su un altro piano, e con rara e malefica intelligenza.

 

RDB

 

 

Il 16 maggio scorso è stata depositata presso la Corte Suprema di Cassazione una proposta di legge di iniziativa popolare volta all’introduzione all’interno della legge 194, nello specifico all’articolo 14, del seguente comma 1-bis: «il medico che effettua la visita che precede l’interruzione volontaria di gravidanza ai sensi della presente legge, è obbligato a far vedere, tramite esami strumentali, alla donna intenzionata ad abortire, il nascituro che porta nel grembo e a farle ascoltare il battito cardiaco dello stesso».

 

Ora, fatte salve le intenzioni dei promotori, riteniamo tale proposta di legge discutibile per una serie di ragioni di opportunità e di principio. 

 

Innanzitutto, lo strumento scelto è particolarmente inefficace perché molto raramente, o quasi mai, tali proposte di legge giungono in Parlamento. Infatti, il suo tortuoso iter prevede il giudizio della conferenza dei capogruppo e successivamente dell’aula parlamentare, prima dell’eventuale calendarizzazione della discussione,

 

C’è da tenere in considerazione poi che la stessa attuale maggioranza di governo ha dichiarato intoccabile la legge 194. Pertanto, trattandosi di un’iniziativa che richiede un certo impegno e una certa mobilitazione generale (è necessario raccogliere in un ristretto lasso di tempo 50.000 firme di elettori che devono essere vidimate da un funzionario pubblico) sussiste il concreto rischio che l’iniziativa finisca per rappresentare l’ennesimo doloroso flop per il mondo prolife italiano.

 

Tra l’altro, la formulazione di tale proposta di legge rischia di comprometterne l’efficacia giuridica: infatti, l’obbligo di far ascoltare il battito cardiaco del nascituro è in capo al medico e non alla donna, la quale può evidentemente sottrarvisi. Ne consegue che il medico sia obbligato unicamente a proporre l’ascolto del battito fetale ed è piuttosto facile immaginare come tale norma possa essere aggirata o semplicemente ignorata.

 

Inoltre, gli eventuali effetti positivi della legge potrebbero essere molto limitati, dal momento che le abominevoli pratiche abortive vanno sempre più spostandosi verso l’utilizzo dei «pesticidi umani» (aborto chimico). Infatti, la sensibile diminuzione degli aborti chirurgici in questi ultimi anni è in gran parte dovuta proprio all’immissione in commercio di farmaci abortivi e cripto abortivi che tende a relegare l’aborto nel privato.

 

C’è chi obietta che anche se le probabilità di riuscita dell’iniziativa sono pressoché inesistenti sia comunque necessario «fare qualcosa» per contrastare l’aborto di Stato. Secondo il nostro giudizio, quando si affrontano temi particolarmente delicati e importanti come la difesa della vita innocente è conveniente fare solo ciò che ha ragionevoli speranze di successo; c’è il rischio, altrimenti, di disperdere forze ed energie che potrebbero invece essere canalizzate su altre iniziative, più efficaci, sempre a favore della vita nascente.

 

Veniamo ora alle ragioni di principio. 

 

Alcuni portano a sostegno della liceità morale della proposta di legge «Un cuore che batte» il n. 73 dell’enciclica Evangelium vitae di Giovanni Paolo II:

 

«Un particolare problema di coscienza potrebbe porsi in quei casi in cui un voto parlamentare risultasse determinante per favorire una legge più restrittiva, volta cioè a restringere il numero degli aborti autorizzati, in alternativa ad una legge più permissiva già in vigore o messa al voto. Simili casi non sono rari. Si registra infatti il dato che mentre in alcune parti del mondo continuano le campagne per l’introduzione di leggi a favore dell’aborto, sostenute non poche volte da potenti organismi internazionali, in altre Nazioni invece — in particolare in quelle che hanno già fatto l’amara esperienza di simili legislazioni permissive — si vanno manifestando segni di ripensamento».

 

«Nel caso ipotizzato, quando non fosse possibile scongiurare o abrogare completamente una legge abortista, un parlamentare, la cui personale assoluta opposizione all’aborto fosse chiara e a tutti nota, potrebbe lecitamente offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una tale legge e a diminuirne gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica. Così facendo, infatti, non si attua una collaborazione illecita a una legge ingiusta; piuttosto si compie un legittimo e doveroso tentativo di limitarne gli aspetti iniqui»

 

La questione morale sottesa al n. 73 di Evangelium Vitae è molto complessa e meriterebbe ben altro approfondimento.  

 

In estrema sintesi, la morale cattolica indica chiaramente quali azioni non si possono mai compiere, in nessuna circostanza, e nel caso in esame limitare i danni di una legge ingiusta non può costituire a sua volta un’azione ingiusta. Infatti, anche se il fine di ridurre il danno è lecito, è necessario che l’atto con cui si ottiene tale fine sia esso stesso moralmente lecito.

 

Secondo quanto ritenuto da vari osservatori che hanno analizzato la questione, la ragione per cui tale voto è considerato illecito risiede nel fatto che votare a favore conduce all’effetto di «legittimare il male», e questo effetto costituisce l’oggetto dell’azione di votare, anche se il votante potrebbe non riconoscerlo come tale. Questo perché l’oggetto del voto rimane intrinsecamente sbagliato, e l’atto materiale del voto non è guidato dall’intento di «limitare i danni» associato alla tolleranza dell’effetto negativo, ovvero la «legittimazione della condotta ingiusta».

 

In realtà, la mitigazione dei danni rappresenta l’effetto risultante dall’approvazione di una legge ingiusta, che coincide con la legittimazione della condotta scorretta.

 

D’altro canto, il vero scopo dell’atto di votare è proprio la legittimazione della condotta illecita, mentre l’obiettivo a lungo termine è limitare i danni.

 

Solo attraverso l’approvazione dell’ingiustizia grazie ai voti a favore sarà possibile limitare i danni. Pertanto, quando l’effetto negativo è la causa dell’effetto positivo, desiderare quest’ultimo significa volere direttamente il primo.

 

L’allora Cardinale Joseph Ratzinger, in qualità di Prefetto per la Congregazione della Dottrina della Fede, in occasione della presentazione dell’Evangelium Vitae in Vaticano ebbe a commentare: «Ma si possono fare compromessi, laddove si tratta della scelta tra il bene e il male? Il Papa (Giovanni Paolo II, ndr) dice in proposito: fondamentale è che il deputato non lasci alcun dubbio circa la sua personale opposizione all’aborto, e che questo atteggiamento anche pubblicamente sia messo in chiaro in modo inequivocabile. A queste condizioni il parlamentare può approvare proposte, il cui fine dichiarato sia finalizzato a limitare i danni e a diminuirne gli effetti negativi. Mai certamente egli può dare il suo voto perché l’ingiustizia venga dichiarata giustizia».

 

Partendo dalla corretta esegesi del n. 73 di Evangelium Vitae il parlamentare in questione, poste determinate condizioni, potrebbe appoggiare una proposta mirata a limitare i danni di una legge ingiusta, ma se essa venisse approvata e giungesse al voto finale egli, dal punto di vista morale, non potrebbe far altro che votare contro o astenersi dal voto; questo, anche qualora l’intenzione di voto sia diretta solo alle parti accidentali della legge ingiusta, in quanto esse non potrebbero sussistere se la norma stessa non rendesse legittimo l’aborto volontario. 

 

Pertanto, il voto ad una legge che emenda la 194 e inserisce, come nel caso che stiamo esaminando, l’obbligo da parte del medico di far ascoltare alla madre il battito cardiaco del nascituro, sarebbe comunque un voto dato ad una legge che legittima l’aborto, visto che «Tutto ciò che è per accidens ha il suo principio in ciò che è per sé» (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I-II, q. 19, a. 2 c.).  

 

In ogni caso, la stessa Evangelium Vitae pone delle condizioni ben precise affinché il nostro parlamentare possa legittimamente offrire il proprio sostegno a tali proposte: è necessario, come abbiamo visto, che esse siano (dichiaratamente) mirate a limitare i danni di una legge ingiusta e a diminuirne gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica.

 

Ora, nel comunicato diffuso dai firmatari dell’iniziativa si legge: «La proposta di legge che abbiamo presentato, obbligando il medico che effettua la visita che precede l’aborto, a far vedere, tramite esami strumentali, alla donna intenzionata ad abortire, il nascituro che porta nel grembo e a farle ascoltare il battito cardiaco dello stesso, intende dare piena applicazione alla legge sul consenso informato. La donna ha il diritto di essere resa consapevole della vita che porta nel grembo, una vita con un cuore che pulsa. Solo in tal modo può essere realmente libera e responsabile delle sue azioni». 

 

Inoltre, il portavoce nazionale di una delle associazioni promotrici ha rilasciato il 20 maggio scorso all’Huffington Post la seguente dichiarazione:

 

«Abbiamo depositato l’altro ieri una proposta di legge di iniziativa popolare per modificare un articolo della 194 semplicemente per far sì che il medico della ecografia pre-aborto sia obbligato a mostrare l’ecografia alla donna e a far sentire il battito cardiaco, non è nessuna volontà di abrogare la legge, lo scopo è di inserire una tutela in più anche perché la legge 194 si chiama tutela della maternità non legge sull’aborto».

 

Sembrerebbe che la proposta di legge «Un cuore che batte» non sia direttamente, né tantomeno dichiaratamente, finalizzata a ridurre gli aborti (o comunque a frapporre un ostacolo oggettivo alla fruizione della pratica abortiva), bensì a cercare di rendere la donna intenzionata ad abortire pienamente consapevole delle proprie azioni.

 

Di fatto, il comma 1-bis della proposta di iniziativa popolare viene posto all’interno dell’articolo 14 della 194 che ne disciplina unicamente l’aspetto informativo. In effetti, la riduzione del danno è tutt’altro che certa in quanto, come abbiamo visto, l’obbligo contenuto nella norma non è formulato come divieto (solamente in quel caso, tra l’altro, la proposta sarebbe eticamente lecita, dal momento che i proponenti si limiterebbero ad inserire un impedimento alla pratica abortiva). 

 

In altri termini, non solo l’emendamento è giuridicamente inefficace e discutibile da un punto di vista etico, ma la sua ratio non si discosta per nulla da quella della norma abortista che si fonda sul falso principio dell’autodeterminazione femminile. Affinché la donna sia realmente libera è infatti necessario che ella scelga il bene, ossia custodire la vita, non che sia «correttamente informata», qualunque cosa questo voglia dire.

 

Cosicché, la proposta che stiamo analizzando anziché limitare gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica, come prescrive sempre il n. 73 di Evangelium Vitae, potrebbe addirittura accrescerli.

 

Sussiste anche il concreto rischio che qualora la proposta stessa venga approvata la legge 194 ne esca sostanzialmente rafforzata, soprattutto da un punto di vista ideologico; anche perché il comma inserito nell’articolato della legge sarebbe voluto proprio dal mondo cattolico e pro-life: a quel punto le probabilità di giungere all’abrogazione della norma abortista (che deve rimanere il fine ultimo verso cui orientare tutte le nostre azioni) diventerebbero ancora più remote.

 

I pro-life italiani devono chiarirsi le idee: o ritengono che la strategia migliore da adottare sia quella di cercare di limitare i danni dell’aborto bypassando la morale oppure decidono di intraprendere azioni di contrasto all’aborto cercando di mantenere «la barra dritta».

 

Qualora scelgano la prima opzione non pretendano però di agire secondo la dottrina perché «l‘attività civile e politica mirante a ridurre gli effetti negativi di una legge gravemente ingiusta deve rispettare i principi generali della morale» (A. Rodriguez Luno, «Il parlamentare cattolico di fronte ad una legge gravemente ingiusta. Una riflessione sul n. 73 dell’Enciclica Evangelium vitae»).

 

D’altra parte, ci teniamo a sottolineare che la proposta di far ascoltare il battito cardiaco del nascituro alla madre che intende abortirlo è di per se stessa lodevole. Il problema nasce nel momento in cui si pretende di inserire la norma correttiva all’interno della 194, legge integralmente iniqua, finendo inevitabilmente col colludere con essa. 

 

In conclusione, i frutti avvelenati dell’aborto di Stato possono essere eliminati solo eradicando la mala pianta della legge 194 e, come la storia insegna, i tentativi di mettere mano a norme la cui ratio è malvagia finiscono inevitabilmente per fare il gioco del nemico.

 

Alfredo De Matteo

 

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Immagine di Wolfgang Moroder via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported (CC BY-SA 3.0); immagine modificata

 

 

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Medici britannici lasciano morire il bambino prematuro perché pensano che la madre abbia mentito sulla sua età

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Un bambino prematuro nato a 22 settimane è morto dopo che i medici in Gran Bretagna si sono rifiutati di somministrargli un trattamento salvavita. Lo riporta LifeSite.   Mojeri Adeleye è nato prematuro alla 22ª settimana, dopo che la madre aveva subito la rottura prematura delle membrane. Durante l’emergenza, la mamma e il bambino sono stati trasferiti in un altro ospedale, dove la data di gestazione è stata scritta in modo errato, etichettando Mojeri come se avesse meno di 22 settimane di gestazione.   Le linee guida raccomandano l’assistenza medica solo per i neonati prematuri nati dopo la 22a settimana di gestazione. Sebbene la madre di Mojeri avesse informato il personale medico dell’errore, questi non le hanno creduto e hanno lasciato che il bambino morisse.

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Secondo il rapporto del medico legale, la madre di Mojeri era stata visitata per gran parte della gravidanza presso l’ospedale locale ma a seguito di complicazioni, la donna è stata trasferita in un altro ospedale.   Tuttavia, è stato commesso un errore nelle note di riferimento e la madre di Mojeri è stata registrata come a meno di 22 settimane di gestazione. Le linee guida nazionali raccomandano che il trattamento salvavita venga fornito solo ai prematuri nati a 22 settimane di gestazione o dopo, e sebbene la madre di Mojeri abbia ripetutamente cercato di comunicare al personale la corretta età gestazionale, non le hanno creduto.   Quando la madre è entrata in travaglio, il personale si è rifiutato di fornire a Mojeri qualsiasi assistenza salvavita. Era, infatti, da poco più di 22 settimane di gestazione, come aveva insistito la madre. Poiché i medici non hanno fatto nulla, Mojeri è morto.   Il medico legale ha scritto nel rapporto: «Nel corso dell’inchiesta, le prove hanno rivelato elementi che destano preoccupazione. A mio parere, sussiste il rischio che si verifichino decessi in futuro, se non si interviene».   «Date le circostanze, è mio dovere legale riferirvi. Le questioni di interesse sono le seguenti: La mancanza di considerazione nei confronti della conoscenza da parte della madre di Mojeri della propria gravidanza e della data prevista del parto per Mojeri; La mancanza di discussione con i genitori di Mojeri sulle possibili misure da adottare in caso di parto prematuro prima della 22ª settimana».

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Le linee guida della British Association of Perinatal Medicine (BAPM) del 2019 raccomandavano che, se i bambini nascevano vivi a 22 settimane, venissero fornite cure «focalizzate sulla sopravvivenza»; in precedenza, le linee guida affermavano che i bambini nati prima delle 23 settimane non dovevano essere rianimati.   Dopo l’attuazione di queste linee guida, il numero di bambini prematuri sopravvissuti alla 22ª settimana è triplicato. Prima di allora, i bambini prematuri considerati «troppo piccoli» venivano semplicemente lasciati morire.   Si stima che il 60-70% dei neonati possa sopravvivere alla nascita prematura a 24 settimane di gestazione. Tuttavia, fino al 71% dei neonati prematuri, anche quelli nati prima delle 24 settimane, può sopravvivere se riceve cure attive anziché solo cure palliative. E sempre più spesso, i bambini sopravvivono anche a 21 settimane, scrive Lifesite, che ricorda: «non tutti i bambini sopravvivranno alla prematurità estrema, ma meritano almeno di avere una possibilità».

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L’amministrazione Trump condanna la «persecuzione della preghiera silenziosa» fuori dagli abortifici britannici

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Il Dipartimento di Stato americano sta mettendo in guardia Londra per aver violato la libertà di parola dei cittadini inglesi pro-life, definendolo un affronto ai «valori condivisi» tra le due nazioni.

 

Il Telegraph ha riferito che il Dipartimento di Stato ha rilasciato una dichiarazione accusando uno dei suoi più stretti alleati geopolitici di «violazione palese del diritto fondamentale alla libertà di parola», citando specificamente «molti casi di buffer zone [zona cuscinetto, ndr] nel Regno Unito, nonché altri atti di censura in tutta Europa».

 

«La persecuzione della preghiera silenziosa da parte del Regno Unito rappresenta non solo una grave violazione del diritto fondamentale alla libertà di parola e alla libertà religiosa, ma anche un preoccupante allontanamento dai valori condivisi che dovrebbero fondare le relazioni tra Stati Uniti e Regno Unito», ha affermato un portavoce. «È di buon senso che restare in silenzio e offrire una conversazione consensuale non costituisca un danno».

 

Il rimprovero si riferisce all’istituzione nel Regno Unito di zone «bolla» o «cuscinetto» attorno alle strutture per l’aborto, apparentemente per proteggere le persone che vi entrano o ne escono da «molestie, abusi e intimidazioni». In pratica, tuttavia, hanno portato a multe salate contro attivisti pro-life pacifici.

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All’inizio di quest’anno, la scienziata in pensione Livia Tossici-Bolt è stata dichiarata colpevole e condannata a pagare 20.000 sterline (23.200 euro) per aver esposto un cartello con la scritta «qui per parlare, se vuoi» a 150 metri dal centro aborti BPAS di Bournemouth, riporta LifeSiteNews. Rose Docherty, una nonna scozzese di 75 anni, è stata arrestata in circostanze simili, ma le accuse sono state ritirate tra le proteste internazionali.

 

Un portavoce del governo britannico ha risposto con una breve dichiarazione: «la libertà di parola è fondamentale per la democrazia, anche qui nel Regno Unito, e siamo orgogliosi di sostenere le libertà garantendo al contempo la sicurezza dei cittadini».

 

A maggio, l’amministrazione Trump ha inviato una delegazione del Dipartimento di Stato in Inghilterra per indagare sulla situazione della libertà di parola, incontrando anche Tossici-Bolt, Docherty e altre vittime simili, e per riferire sulle loro conclusioni per «affermare l’importanza della libertà di espressione nel Regno Unito e in tutta Europa».

 

Resta da vedere come ciascuna delle due nazioni darà seguito allo scambio. Le relazioni tra gli Stati Uniti e le nazioni europee, incluso il Regno Unito, sono attualmente tese su più fronti, tra cui la campagna del presidente Donald Trump per la revisione degli accordi commerciali internazionali e la difficoltà delle nazioni occidentali a concordare una strategia unitaria in risposta all’invasione russa dell’Ucraina.

 

Come riportato da Renovatio 21, nel suo storico intervento di accusa alla decadenza tirannica europea dato alla Conferenze di Sicurezza di Monaco 6 mesi fa, il vicepresidente statunitense JD Vance aveva definito «follie» gli arresti dei pro-life britannici che pregavano in silenzio.

 

La psicopolizia britannica è arrivata a condannare per aver pregato con il pensiero almeno due persone: il veterano dell’esercito britannico Adam Smith-Connor, 51 anni, che ha ottenuto la scarcerazione condizionale per due anni (vale a dire che è in libertà vigilata per due anni) e gli è stato ordinato di pagare le spese legali pari a 9 mila sterline (circa 10 mila euro) dal giudice distrettuale presso il tribunale di Poole, nel Dorset: lo Smith-Connor era stato arrestato nei pressi dell’attività di aborto di Bournemouth del British Pregnancy Advisory il 14 novembre 2022, dopo aver pregato in silenzio per suo figlio Jacob, abortito 22 anni fa; Isabel Vaughan-Spruce, un’altra cittadina britannica che è stata arrestata per preghiera silenziosa, che ha ricevuto due mesi fa 13 mila sterline (circa 15 mila euro) di danni e delle scuse dalla polizia.

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L’aborto ha spazzato via il 28% della generazione Z. E molto, molto di più

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Statistiche ampiamente condivise in rete questa settimana riportano che circa il 28% della Generazione Z (i nati tra il 1997 e il 2012) negli USA è stata abortita nel grembo materno. Lo scrive LifeSite.   Secondo le stime del Guttmacher Institute (il braccio di ricerca e sviluppo del grande abortificio multinazionale Planned Parenthood) sul numero di aborti eseguiti ogni anno negli Stati Uniti dal 1997 al 2011, gli anni di nascita della Generazione Z, circa 19,5 milioni di esseri umani concepiti in quella generazione, sono stati soppressi attraverso l’aborto. Attualmente si stima che negli Stati Uniti ci siano 69,3 milioni di membri della Generazione Z.   I dati più recenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) indicano che il tasso di aborti tra i bambini della Generazione Z negli Stati Uniti corrisponde quasi alla percentuale stimata di bambini non ancora nati uccisi dall’aborto in tutto il mondo: il 29%, ovvero tre gravidanze su 10.

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Le statistiche di Inghilterra e Galles mostrano tassi di aborto molto simili. «la percentuale di concepimenti che hanno portato all’aborto è stata del 29,7%; si tratta di un aumento rispetto al 26,5% del 2021 e della percentuale più alta mai registrata», ha rilevato un rapporto dell’Office of National Statistics (ONS) basato sui dati del 2022.   Ricordiamo anche che queste statistiche risultano calcolabili pure per realtà apparentemente distanti come il Giappone, con dati nel periodo post-bellico che indicavano l’aborto di circa un terzo dei concepiti, con casi allucinanti di infanticidi – che oggi la Finestra di Overton vuole che chiamiamo «aborti post-natali» – come quello di Miyuki Ishikawa, detta «Oni-sanba», ostetrica che avrebbe ucciso almeno 86 bambini (qualcuno parla di una cifra doppia) affidatile negli anni dell’immediato dopoguerra.   Non si tratta di numeri sconosciuti anche all’Italia, dove per anni le nascite sono state attorno alla cifra di 500 mila, con le interruzioni di gravidanza sopra i 100.000, con un calo sensibile nell’ultimo decennio, in linea tuttavia con il calo delle nascite, specie dopo la pandemia.   Anche in Italia, dunque, abbiamo avuto una percentuale di generazioni spazzate via sopra il 20%, in pratica una piccola guerra condotta contro il Paese stesso, ma legalizzata e pagata dal contribuente – o una serie di bombe atomiche, i cui effetti si misurano in megadeath («megamorte», un milione di individui sterminati).   Come scritto anni fa da Renovatio 21, negli anni l’Italia dell’aborto ha subito una devastazione umana molto superiore a quella di Hiroshima e Nagasaki, con almeno 6-7 megadeath di danno alla popolazione. E parliamo solo delle cifre ufficiali, che non includono gli embrioni distrutti dalle provette, che sono già in numero maggiore di quelli trucidati dall’interruzione volontaria di gravidanza.   Se non volete pensarlo in percentuale, pensatelo così: 6 milioni di persone uccise, sono perfettamente pensabili come un attacco atomico che cancella tutto il Triveneto, o la Sicilia e la Calabria assieme, o l’Emilia-Romagna con l’Umbria e le Marche, o tutto il Lazio e zone limitrofe, o due terzi della Lombardia.   Come avevamo scritto oramai più di 10 anni fa: «Per quanto possa sembrare allucinante, dobbiamo guardare in faccia la realtà: l’Italia è una rovina post-atomica. E neppure lo sa».   Le cifre divenute virali questa settimana non includono mai – perché è un calcolo che i pro-life, specie italiani, non hanno l’intelligenza di fare – quello che qualcuno chiama il ghost number. Proviamo a pensare le cifre americane: e 6.392.900 femmine abortite tra il 1973 e il 1982 avrebbero oggi 25-40 anni, e quindi con alta probabilità almeno un figlio di media (chi due, chi cinque, chi zero). Otteniamo così la cifra di 54.853.850 persone spazzate via dall’anagrafe, sottratte alla società.   Un danno di quasi 55 megadeath: come se il temuto showdown nucleare con la Russia, fosse avvenuto – e senza che i sovietici sparassero un solo colpo. Basandosi sulle attuali statistiche demografiche americane, è possibile calcolare che tra questi 55 milioni vi potrebbero essere stati 7 giudici della Corte Suprema, 31 premi Nobel, 6000 atleti professionisti, 11.010 suore, 1.102.403 insegnanti, 553.821 camionisti, 224.518 camerieri, 336.939 spazzini, 134.028 contadini, 109.984 poliziotti, 39.447 pompieri, 17.221 barbieri.

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Soprattutto, e questo deve essere meditato profondamente dalle femministe, in questo immane turbine di morte sono state disintegrate 27.426.925 donne. Le quali sono, senza dubbio alcuno, il bene più prezioso che esista sulla Terra: ogni cellula uovo che la donna ovulerà in tutta la sua vita, è già formata dal feto a poche settimane dal concepimento. La prima cellula del nostro corpo – l’ovocita – già esisteva dentro nostra madre quando era un feto, venti, trenta, quaranta anni prima che venissimo alla luce. Un’autentica, insondabile meraviglia: la vita contenuta dentro la vita.   L’aborto interrompe questa catena superiore. Come diceva un detto ebraico: chi uccide un uomo uccide l’umanità; ammazzi qualcuno e rovini per sempre le generazioni che seguiranno. Peggio di un fallout radioattivo, l’aborto reca un danno aberrante, che si accumula distruggendo il futuro – i figli, i figli dei nostri figli – su una scala che non possiamo immaginare.   Chi non crede a queste romanticherie scientifiche e umanistiche, pensi ai soldi: i 55 megadeath causati dall’aborto in USA rappresentano 55 milioni di lavoratori e consumatori americani che non pagano le tasse e non partecipano al mercato nazionale. Dal PIL, è possibile calcolare che l’aborto abbia causato all’economia americana un danno di 37 trilioni e 600 miliardi di dollari.   L’abisso di cui stiamo parlando non vi è stata ancora nessuna rappresentazione adeguata alla sua immensità apocalittica. Né la polemologia (la disciplina che nel Novecento si è dedicata allo studio della guerra), né la psicologia, né la sociologia, né la filosofia paiono comprendere questo Inferno per intero.   No, non è solo un terzo della Generazione Z ad essere stato cancellato dall’aborto. È molto, molto di più.   Roberto Dal Bosco

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