Nucleare
Abu Dhabi, con l’aiuto di Pechino, rilancia la sfida nucleare in Medio oriente
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Nel week-end gli Emirati hanno sottoscritto alcuni accordi con entità cinesi operative nel settore dell’energia atomica. Un allargamento nella partnership, dopo l’impianto sud-coreano di Barakah. La scorsa settimana la Turchia ha inaugurato la centrale di Akkuyu, collegati in video Erdogan e Putin. Le ambizioni nucleari dei sauditi nella sfida a tutto campo con gli alleati-rivali nella regione.
Continua la corsa al nucleare in Medio oriente, regione sinora storicamente legata alla produzione di energia da combustibili fossili a partire dal petrolio di cui è ricca. Gli ultimi, in ordine di tempo, sono gli Emirati Arabi Uniti (EAU) che nel fine settimana hanno sottoscritto una serie di accordi con entità cinesi.
Nel frattempo Riyadh prosegue lo sviluppo dei piani nucleari, a dispetto dei timori per una corsa agli armamenti nell’area. E la Turchia ha già inaugurato – la scorsa settimana – la centrale atomica realizzata e finanziata dalla Russia, conferma ulteriore dei rapporti sempre più stretti fra Ankara (membro NATO) e Mosca, nel mirino di gran parte della comunità internazionale per l’invasione dell’Ucraina.
Tornando ad Abu Dhabi la Emirates Nuclear Energy Corporation (ENEC), responsabile nazionale dello sviluppo atomico, ha siglato tre accordi con organizzazioni cinesi con l’obiettivo di potenziare la produzione di energia atomica a basse emissioni di carbonio. Gli Emirati, che quest’anno ospitano il summit sul clima COP28 e vogliono ottenere il 6% del fabbisogno dal nucleare, hanno individuato in Pechino un partner chiave nel piano di transizione energetica, confermando una volta di più la crescente influenza cinese in Medio oriente.
I tre memorandum d’intesa (MoU), spiega in una nota ENEC, riguardano la collaborazione nelle operazioni riguardanti l’energia nucleare, nei reattori nucleari a temperatura molto alta e nella fornitura e negli investimenti sul combustibile nucleare. Le realtà cinesi coinvolte sono China Nuclear Power Operations Research Institute, China National Nuclear Corporation Overseas e China Nuclear Energy Industry Corporation.
L’accordo segna un ulteriore allargamento nella partnership strategica nel settore, perché Abu Dhabi sta già costruendo una centrale nucleare multi-unità (la prima nel mondo arabo) con la sud-coreana Korea Electric Power Corp (KEPCO). Una volta completato, l’impianto di Barakah avrà quattro reattori con 5.600 megawatt (MW) di capacità totale – equivalenti a circa il 25% del picco della domanda negli Emirati Arabi Uniti.
La scorsa settimana la Turchia ha inaugurato la centrale di Akkuyu, costruita grazie alla partnership con Mosca, segnando un ulteriore avvicinamento fra i due presidenti Recep Tayyp Erdogan (domenica alla prova del voto) e Vladimir Putin, entrambi collegati in video per l’occasione.
Affacciata sul Mediterraneo, a due passi da Cipro, essa fornirà energia elettrica a 15 milioni di persone e potrà sostenere circa il 10% del fabbisogno complessivo del Paese. Il progetto da 20 miliardi di dollari porta la firma del gigante russo del settore Rosatom; il primo reattore dovrebbe entrare in funzione entro l’estate.
La centrale sorge in una zona sismica di quinto grado, fattore che solleva le preoccupazioni degli esperti, in particolare dopo il sisma del 6 febbraio al confine con la Siria; tuttavia, i costruttori replicano che si tratta della zona «più sicura» della Turchia. Durante la cerimonia Erdogan ha anticipato «provvedimenti» per la costruzione di «una seconda e una terza centrale nucleare in Turchia il prima possibile», mentre Putin ha parlato di «vantaggi economici reciproci».
Infine l’Arabia Saudita che, pur in un quadro di alleanze, prosegue la sfida aperta con gli Emirati per la supremazia nella regione del Golfo dall’energia alla finanza, dall’industria del divertimento al settore delle tecnologie, al calcio.
Una competizione che tocca anche il nucleare, con Riyadh che spinge sull’acceleratore per rafforzare le ambizioni nucleari a dispetto delle preoccupazioni per la proliferazione regionali delle armi (anche atomiche). A fine 2020 i sauditi, col sostegno cinese, hanno iniziato a costruire un impianto di estrazione dell’uranio nella città nord-occidentale di al-Ula.
Al contempo la russa Rosatom ha annunciato la partecipazione al bando per la costruzione della prima centrale e si è proposta come potenziale appaltatore per lo sviluppo del sito.
I recenti colloqui fra Xi Jinping e Mohammed bin Salman (MbS) durante la visita a Riyadh del leader cinese hanno alimentato le speculazioni sui piani del regno. Esperti affermano che lo stesso bin Salman stia negoziando con Cina e Corea del Sud per strappare il miglior prezzo e le condizioni più vantaggiose in termini di energia e affidabilità, per poi procedere.
Studi preliminari indicano che l’Arabia Saudita possiede circa 60mila tonnellate di minerale di uranio, il cui arricchimento resta materia sensibile perché può essere usato per produrre energia o armi atomiche, facilmente ottenibili considerando le ampie risorse finanziarie e umane di cui beneficiano i sauditi.
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Nucleare
Tokyo, via libera al riavvio della più grande centrale nucleare al mondo
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Il governatore della prefettura di Niigata ha approvato la riaccensione parziale dell’impianto di Kashiwazaki-Kariwa, segnando una svolta nella strategia energetica del Giappone, voluta dal governo di Sanae Takaichi. La premier sta valutando anche una revisione dei tre storici principi non nucleari, indignando i sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki.
Il governatore della prefettura di Niigata, Hideyo Hanazumi, ha approvato oggi la riattivazione parziale della centrale nucleare di Kashiwazaki-Kariwa, la più grande del mondo per capacità installata. Il Giappone da tempo cerca di rilanciare il settore dell’energia atomica per ridurre la dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili, aumentate in modo significativo dopo il disastro di Fukushima del 2011.
L’approvazione rimuove l’ultimo ostacolo politico al piano della Tokyo Electric Power Company (TEPCO), che potrà ora procedere con la riaccensione dei due più potenti reattori dell’impianto che insieme generano 2.710 megawatt, circa un terzo della capacità complessiva. Solo il reattore n. 6, ha spiegato il ministro dell’Industria, Ryosei Akazawa, permetterebbe di migliorare del 2% l’equilibrio tra domanda e offerta di energia nell’area metropolitana di Tokyo.
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Hanazumi ha dichiarato che la decisione dovrà comunque essere sottoposta al voto di fiducia dell’assemblea prefetturale nella sessione che si aprirà il 2 dicembre. «Non sarebbe razionale bloccare qualcosa che ha superato gli standard di sicurezza nazionali», ha affermato, sottolineando però che le preoccupazioni dei residenti, le misure di emergenza e il monitoraggio continuo della sicurezza restano priorità da affrontare.
Se confermato, il riavvio segnerebbe una svolta per TEPCO: dal marzo 2011, quando lo tsunami devastò la centrale di Fukushima Daiichi causando il peggiore incidente nucleare dopo Chernobyl, l’azienda non ha più potuto riattivare alcun reattore. In ottobre TEPCO aveva concluso le verifiche tecniche sul reattore n. 6, confermando il corretto funzionamento dei sistemi.
Dopo Fukushima, il Giappone aveva spento tutti i 54 reattori attivi all’epoca. Ad oggi ne sono stati riavviati 14 sui 33 ancora idonei all’uso. Il governo della premier Sanae Takaichi, sostiene la riapertura dei reattori per rafforzare la sicurezza energetica e ridurre i costi delle importazioni: nel 2024 il Giappone ha speso 10,7 trilioni di yen (circa 68 miliardi di dollari) solo per importare gas naturale liquefatto e carbone, un decimo del totale delle importazioni nazionali. Il governo insiste inoltre sul fatto che il ritorno al nucleare è essenziale per contenere i prezzi dell’elettricità e aumentare la quota di energia riducendo allo stesso tempo le emissioni.
La riattivazione dell’impianto avviene in un clima politico teso perché la premier Sanae Takaichi è a favore anche della possibilità di rivedere i principi del Giappone anche in fatto di armi atomiche. Una prospettiva che ha suscitato una dura reazione da parte degli hibakusha, i sopravvissuti ai bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki.
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La Nihon Hidankyo, principale organizzazione nazionale dei sopravvissuti e vincitrice del Premio Nobel per la pace lo scorso anno, ieri 20 novembre ha diffuso una nota di forte condanna, affermando che «non è possibile tollerare l’introduzione di armi nucleari in Giappone né permettere che il Paese diventi una base per la guerra nucleare o un bersaglio di attacchi atomici».
L’organizzazione ha chiesto al governo di rispettare e rafforzare i tre principi (che vietano di possedere, produrre o ospitare armi atomiche), inserendoli addirittura nella legislazione nazionale, denunciando come un pericoloso arretramento l’idea stessa di metterli in discussione.
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Immagine di Triglav via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
Nucleare
Il Niger accusa il gruppo nucleare statale francese di «crimini di massa»
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Nucleare
L’ex vertice dell’esercito ucraino vuole le armi nucleari
L’ex comandante supremo delle Forze Armate ucraine, il generale Valery Zaluzhny, ha sostenuto che solo l’ingresso nella NATO, l’installazione di armi atomiche o l’accoglienza di un imponente contingente militare straniero possano assicurare una protezione effettiva per Kiev.
Le dichiarazioni sono state rese note in un saggio apparso sabato sulle colonne del giornale britannico Telegraph.
Il generale – che, secondo indiscrezioni, starebbe tessendo in silenzio una compagine politica da Londra in vista di una possibile corsa alla presidenza – ha delineato le sue analisi su come sconfiggere Mosca, forgiare un’«Ucraina rinnovata» e quali «tutele di sicurezza» adottare per prevenire una ricaduta nel confronto con il Cremlino.
«Queste tutele potrebbero comprendere: l’accessione dell’Ucraina all’Alleanza Atlantica, il posizionamento di ordigni nucleari sul suolo ucraino o l’impianto di un corposo schieramento alleato in grado di fronteggiare la Federazione Russa», ha argomentato Zaluzhny.
L’alto ufficiale ha sostanzialmente ribadito le posizioni più intransigenti della classe dirigente ucraina attuale: Volodymyr Zelens’kyj ha spesso invocato simili tesi nel corso della crisi con la Russia, e pure in precedenza.
Il governo russo ha più volte stigmatizzato come inaccettabili qualsivoglia delle «tutele di sicurezza» indicate da Zaluzhny. Mosca contrasta da anni le velleità atlantiste di Kiev, additando l’allargamento verso levante del Patto come un pericolo per la propria integrità e annoverandolo tra i moventi principali del contenzioso in atto.
Inoltre, il Cremlino ha insistito che, in qualsivoglia intesa di pace futura, l’Ucraina debba abbracciare uno statuto di neutralità.
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Anche le esternazioni nucleari di Kiev sono state aspramente censurate da Mosca, che le ha giudicate foriere di escalation e di un rischio di conflagrazione mondiale. La dirigenza ucraina ha spesso deplorato l’abbandono dell’eredità atomica sovietica agli albori degli anni Novanta, lamentando di non aver ottenuto contropartite adeguate.
La leadership di Kiev ha sostenuto a lungo che gli Stati Uniti e i suoi alleati avevano l’obbligo di proteggere l’Ucraina a causa del Memorandum di Budapest del 1994, in cui Stati Uniti, Regno Unito e Russia avevano dato garanzie di sicurezza in cambio della rimozione delle testate nucleari sovietiche dal territorio ucraino.
In verità, però, quell’arsenale era rimasto sotto l’egida moscovita, mentre l’Ucraina sovrana mancava delle capacità per gestirne o preservarne le testate residue dopo la dissoluzione dell’URSS. Allo stesso modo, la Russia ha escluso qualsivoglia ipotesi di dispiegamento di truppe straniere in Ucraina, né durante né oltre il conflitto vigente. Tale mossa, a giudizio del Cremlino, non farebbe che precipitare Mosca in uno scontro frontale con l’Occidente.
Come ricordato da Renovatio 21, c’è da dire che la fornitura di atomiche a Kiev è stata messa sul piatto varie volte da personaggi come l’europarlamentare ucraino Radoslav Sikorski, membro del gruppo Bilderberg sposato alla neocon americana Anne Applebaum.
Si tende a dimenticare che lo stesso Zelens’kyj parlò di riarmo atomico di Kiev alla Conferenza di Sicurezza di Monaco, pochi giorni prima dell’intervento russo. In seguito, Zelens’kyj e i suoi hanno più volte parlato di attacchi preventivi ai siti di lancio russi e di «controllo globale» delle scorte atomiche di Mosca.
A inizio anno, la portavoce del ministero degli Esteri di Mosca Maria Zakharova aveva definito lo Zelen’skyj come un «maniaco» che chiede armi nucleari alla NATO.
Come riportato da Renovatio 21, mesi fa il quotidiano londinese Times aveva parlato di «opzione nucleare ucraina». Settimane prima il tabloid tedesco Bild aveva riportato le parole di un anonimo funzionario ucraino che sosteneva che Kiev ha la capacità di costruire un’arma nucleare «in poche settimane».
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Immagine di MarianaSenkiv via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International; immagine tagliata
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