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Ecco i commando del pensiero unico: il Consiglio Europeo approva le «squadre di risposta rapida» per combattere la «disinformazione»

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Il Consiglio Europeo ha annunciato un quadro guida che consentirà di istituire quelli che chiama «squadre ibride di risposta rapida» che «attingeranno alle pertinenti competenze civili e militari settoriali nazionali e dell’UE».

 

Queste squadre saranno create e poi schierate per contrastare la «disinformazione» nei 27 Paesi membri – ma anche in quelli che Bruxelles chiama Paesi partner. E l’Irlanda potrebbe diventare uno degli «early adopter».

 

Secondo quanto riportato, affinché un Paese possa presentare domanda, dovrà prima sentirsi sotto attacco mediante «minacce e campagne ibride» e quindi richiedere all’UE di aiutarlo a contrastarle inviando una «squadra di risposta rapida».

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Bruxelles spiega la necessità di queste squadre a causa del «deterioramento del contesto di sicurezza, della crescente disinformazione, degli attacchi informatici, degli attacchi alle infrastrutture critiche e dell’interferenza elettorale da parte di attori maligni» e anche di qualcosa che l’organizzazione definisce «migrazione strumentalizzata».

 

Questo è quello che emerge quadro emerge dall’EU Hybrid Toolbox, che a sua volta deriva dalla bussola strategica per la sicurezza e la difesa del blocco.

 

Come ricorda il sito Reclaim The Net, pochi giorni dopo l’annuncio dell’UE, la scorsa settimana, notizie dall’Irlanda hanno affermato che il Dipartimento degli Affari Esteri ha accolto con favore lo sviluppo, affermando che «ora inizieranno a rendere operativa la partecipazione dell’Irlanda a questa importante iniziativa».

 

Il dipartimento ha spiegato ciò che considera minacce: c’è inevitabilmente la «disinformazione», insieme agli attacchi informatici, agli attacchi a infrastrutture critiche e a qualcosa che chiama «coercizione economica».

 

«Le autorità irlandesi sembrano essere particolarmente soddisfatte dell’annuncio dell’UE dato che il Paese non dispone di un organismo centralizzato in grado di combattere una gamma così disparata di minacce, reali o inventate» scrive Reclaim The Net.

 

L’annuncio delle «squadre di reazione» è arrivato dal Consiglio dell’UE, ed è stato il giorno successivo «accolto favorevolmente» dalla Commissione Europea guidata da Ursula Von der Leyen, che ha ripetuto i punti della dichiarazione originale riguardo a una miriade di minacce. Tali commando ibridi di risposta rapida, a cui è stato ora dato il via libera, sono visti dai vertici di Bruxelles come uno strumento chiave per contrastare questi pericoli percepiti.

 

Oltre a dire che l’EU Hybrid Toolbox si basa su «competenze civili e militari rilevanti», i due comunicati stampa dell’UE sono scarsi di dettagli sulla composizione delle future squadre che verranno inviate in missioni «a breve termine». Le note rivelano inoltre che il «rapido dispiegamento nei Paesi partner» sarà reso possibile attraverso il Centro di Coordinamento della Risposta alle Emergenze (ERCC) come hub operativo del programma.

 

L’ERCC rappresenta il fulcro operativo del Meccanismo di protezione civile dell’UE. Coordina la fornitura di assistenza ai Paesi colpiti da calamità, sotto forma di soccorsi, competenze, squadre di protezione civile e attrezzature specializzate. Il centro, che è attivo 24 ore al giorno 7 giorni alla settimana, assicura la rapida fornitura di sostegno in caso di emergenza e funge da hub di coordinamento tra tutti gli Stati membri dell’UE, gli altri 10 Stati partecipanti, il Paese colpito dall’emergenza e gli esperti di protezione civile e aiuti umanitari.

 

Secondo il sito ufficiale, l’ERCC «può aiutare qualsiasi Paese all’interno o all’esterno dell’UE colpito da una catastrofe grave, su richiesta delle autorità nazionali o di un organo delle Nazioni Unite».

 

In pratica, pare di capire, la «disinformazione» – che altro non è se non l’informazione sgradita al potere – verrà trattata come un disastro. Vari siti, compreso magari quello che state leggendo, saranno trattati come fossero terremoti, alluvioni, incendi estesi. Il lettore comprende da sé quanto potere possa essere assegnato dalla categoria di emergenza.

 

La disintegrazione di pagine come quella che state leggendo potrebbe essere imminente. I «commando del pensiero unico» già dispongono, come sappiamo, di tutte le liste del caso.

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Come riportato da Renovatio 21, lo scorso 25 agosto è entrato ufficialmente in vigore in territorio dell’Unione Europea il Digital Service Act (DSA), l’eurolegge che di fatto dà alla Commissione Europea il potere di censurare i contenuti in rete in nome della lotta alla «disinformazione» e all’«incitamento all’odio» online. In pratica, si tratta dell’alba della censura totale.

 

All’epoca, con la consueta boria, il commissario europeo per il mercato interno, Thierry Breton, già noto per le sue reiterate accuse ad Elone Musk, aveva addirittura minacciato di chiudere le piattaforme dei social media se non rispetteranno le regole in caso di disordini civili, come la recente volta etnica in Francia.

 

Rivelazioni recenti hanno mostrato che dietro al processo di censura che pervade ogni medium occidentale ci sarebbe un piano che risale a metà degli anni 2010, quando, dopo eventi come la riannessione russa della Crimea, la Brexit e l’elezione di Trump, fu deciso il controllo totale di internet. Secondo Michael Benz, ex vice segretario di Stato aggiunto per le comunicazioni internazionali e la politica dell’informazione presso l’Ufficio per gli affari economici e commerciali nell’amministrazione Trump, la volontà di controllo di internet potrebbe essere fatta risalire ad un progetto NATO.

 

«La NATO pubblicava libri bianchi affermando che la più grande minaccia che la NATO deve affrontare non è in realtà un’invasione militare dalla Russia. Sta perdendo le elezioni nazionali in tutta Europa» aveva spiegato Benz in una epocale intervista concessa a Tucker Carlson. «L’intero ordine internazionale basato su regole crollerebbe a meno che i militari non prendessero il controllo sui media (…) L’UE andrebbe in pezzi, quindi la NATO verrebbe uccisa senza che venga sparato un solo proiettile».

 

Se venisse a mancare la NATO, continuava il Benz «non ci sarebbe più alcun braccio armato per il Fondo Monetario Internazionale, il Fondo monetario internazionale o la Banca mondiale. Quindi ora gli stakeholder finanziari che dipendono dall’ariete dello Stato di sicurezza nazionale sarebbero sostanzialmente impotenti contro i governi di tutto il mondo».

 

«Quindi, dal loro punto di vista, se i militari non iniziassero a censurare Internet, tutte le istituzioni e le infrastrutture democratiche che hanno dato origine al mondo moderno dopo la seconda guerra mondiale crollerebbero».

 

In definitiva, non è inesatto dire che riguardo ad internet ci troviamo sotto comando militare – e di qui il gergo militaresco usato dalla UE per le sue «squadre di intervento rapido anti-disinformazione».

 

Come riportato da Renovatio 21, si tratta di una situazione che ci era stata sbattuta in faccia dal Cremlino ancora l’anno passato, quando il portavoce presidenziale Dmitrij Peskov parlo di giornalisti e media occidentali che «vivono assolutamente in uno stato di censura militare».

Ma se non lo leggete qui, non avete modo di saperlo: perché ogni informazione che arriva da Mosca è filtrata, se non bloccata, dall’Europa.

 

Il giro di vita contro i media russi in Europa era iniziato settimane prima della guerra, quando il 2 febbraio 2022 l’Autorità Regolatrice dei Media tedesca (Kommission für Lizensierung und Aufsicht) aveva vietato la diffusione in Germania della rete televisiva pubblica Russia Today, sia satellitare sia su internet.

 

Di lì a poco il sito di RT e quello di Sputnik sarebbero divenuti irraggiungibili anche dall’Italia – un atto che fa pensare ad una vera e propria censura di guerra, quando cioè diventa imperativo far sì che la popolazioni non ascolti la voce del nemico.

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Come sa chi ci segue da un po’, nel 2021 Facebook cancellò la nostra pagina e disintegrò, cioè proprio eliminò, l’account personale collegato, e pure, en passant, innocue pagine associazionistiche collegate. Il traffico su Renovatio21.com crollò – perché è sui social che le persone stanno tutto il giorno, con centinaia di famelici scroll al giorno – com’era, con evidenza, l’intenzione ultima di chi poteva aver ordinato la censura.

 

Su YouTube a Renovatio 21, che pure usiamo quasi per nulla, non è andata molto meglio: la piattaforma che ha cancellato dal canale di Renovatio 21, con relativo «strike» di punizione, un’omelia pasquale di un arcivescovo della chiesa cattolica.

 

Ora iniziamo a capire davvero cosa sta succedendo, in Italia come altrove.

 

Alla faccia della libertà di espressione, e quindi della Costituzione Italiana e di tante altre Costituzioni degli Stati moderni.

 

Ma se il rapporto tra il cittadino e lo Stato è garantito dalla Costituzione, ma lo Stato distrugge la Carta, quale legittimità rimane allo Stato moderno? Abbiamo sentito poche persone porsi questa domanda, anche perché se provassero a rispondere articolatamente verrebbero probabilmente censurati.

 

Tuttavia, forniamo rapidamente il quadro: se la Costituzione non limita più il potere dello Stato sui cittadini (tramite quel concetto chiamato «diritto»), allora esso può agire con l’arbitrio più estremo, e il cittadino, privo di diritti, diviene soggetto ad un potere verticale senza possibilità alcuna di replica – diviene, tecnicamente, uno schiavo.

 

E quando sei in schiavitù non è che sei libero di dire quello che vuoi, né di leggere quello che vuoi. Né, come abbiamo imparato nel biennio pandemico, gli schiavi hanno la libertà di circolare per il Paese, di incontrare i propri cari, di lavorare, di respirare (), di rifiutare l’immissione di terapie geniche sperimentali nel proprio corpo.

 

Ecco spiegato, brevemente, cosa sta accadendo dietro alla storia della «disinformazione»: è un mutamento assoluto dello Stato moderno, dello Stato di diritto, di quella che un tempo si chiamava Democrazia liberale.

 

Che si può fare i padroni del mondo lo hanno capito da un pezzo, grazie al COVID.

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L’UE accusa Telegram di nascondere il numero dei suoi utenti

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Telegram sottostima i numeri dei suoi utenti per evitare di essere preso di mira dai regolatori dell’UE, ha affermato la vicepresidente della Commissione Europea per i valori e la trasparenza, Vera Jourova, che ha anche accusato Mosca di usare la piattaforma per diffondere «disinformazione» tra i residenti dell’UE di lingua russa, sostenendo che le nazioni baltiche, Polonia e Bulgaria sono tra le più esposte.   «Non mi fido di Telegram, non credo che abbiano solo 42 milioni di utenti», ha detto la Jourova in un’intervista con il quotidiano tedesco Suddeutsche Zeitung domenica scorsa. Ha aggiunto che la Commissione europea è convinta che il pubblico di Telegram ammonti a più di 45 milioni di persone, la soglia per il controllo normativo.   La Commissione sta attualmente valutando se sia il caso di indagare sulla piattaforma, ha rivelato Jourova.

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Il mese scorso, Bloomberg ha citato fonti anonime secondo cui i legislatori dell’UE stavano valutando di elencare Telegram, fondata dall’imprenditore russo cresciuto in Italia Pavel Durov meno di dieci anni fa, come una «piattaforma online molto grande».   La manovra avrebbe esposto la popolare app di messaggistica incentrata sulla privacy a una rigida regolamentazione della censura.   A febbraio 2024, Telegram aveva una media stimata di 41 milioni di utenti attivi mensili nell’UE nei sei mesi precedenti. La cifra è inferiore alla soglia richiesta affinché la piattaforma di social media sia soggetta a obblighi più specifici ai sensi del Digital Services Act (DSA) dell’UE. Il regolamento richiede alle aziende situate al di fuori del blocco di avere una rappresentanza legale in uno dei suoi stati membri.   La DSA, entrata in vigore a febbraio, consente alle autorità di regolamentazione del blocco di multare le piattaforme fino al 6% del loro fatturato annuo globale se si scopre che hanno infranto le sue regole. Il regolamento conferisce inoltre all’organismo di vigilanza dell’UE il diritto di vietare ai recidivi di operare nel blocco.   Secondo Durov, Telegram rispetta i diritti dei suoi utenti alla privacy e alla libertà di espressione. In un’intervista con il giornalista americano Tucker Carlson all’inizio di quest’anno, Durov ha affermato di aver respinto le richieste di Washington di condividere i dati degli utenti con le autorità statunitensi o di creare le cosiddette «backdoor» di sorveglianza nella piattaforma.  

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Bruxelles ha già avviato indagini su X – cioè Twitter sotto la proprietà di Elon Musk – per presunte violazioni delle norme dell’UE in aree legate alla gestione del rischio, alla moderazione dei contenuti, ai dark pattern, alla trasparenza della pubblicità e all’accesso ai dati per i ricercatori. Indagini simili sono state aperte anche nei confronti di TikTok e Meta, quest’ultima società madre di Facebook, Instagram e WhatsApp.   A prendere di mira Telegram non sono solo le autorità europee.   Come riportato da Renovatio 21, lo scorso novembre anche il capo della sicurezza ucraino Oleksyj Danilov aveva espresso la volontà di vietare Telegram. I commenti del Danilov sono arrivate pochi giorni dopo che Telegram ha bloccato un canale accusato di incitamento a rivolte antiebraiche nella Repubblica russa meridionale del Daghestan. «Utro Dagestan» («Il Mattino daghestano»), un canale con 65.000 abbonati, è stato accusato di incitamento alla violenza antisemita.   Come riportato da Renovatio 21, tre settimane fa il tribunale nazionale spagnolo ha ordinato ai fornitori di servizi Internet di sospendere Telegram, in attesa di un’indagine sulle accuse di violazione del copyright. Qualche mese fa il segretario del Consiglio di sicurezza e difesa nazionale dell’Ucraina aveva dichiarato che Telegram è un servizio «pericoloso». L’app, insieme a TikTok è stata vietata per «terrorismo» in Somalia. Telegram è completamento bloccato in Cina e parzialmente in Iran.   Al tempo della pandemia la Germania aveva apertamente valutato la possibilità di chiudere Telegram, unico social che – di origine russa con server negli Emirati – pareva non censurare le opinioni degli utenti come invece facevano tutte le altre piattaforme. Nel 2022, il governo tedesco ha accusato Telegram di fornire una piattaforma per negazionisti del COVID-19 e «radicali di destra» e ha persino minacciato di bloccare l’app se la società dietro di essa non avesse collaborato con Berlino e fermato la diffusione dell’incitamento all’odio e dell’estremismo. Nel 2023 la Germania ha messo in galera un uomo per aver sostenuto la Russia su Telegram.  
In Italia la questione Telegram era stata posta, su altre basi, all’inizio del lockdown 2020: gli editori italiani lamentarono che esistevano sull’app alcuni canali dove si potevano scaricare gratuitamente giornali e riviste – praticamente, un angolo di pirateria diffusa. La Federazione Italiana Editori Giornali (FIEG) chiese all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) di «un provvedimento esemplare e urgente di sospensione di Telegram, sulla base di un’analisi dell’incremento della diffusione illecita di testate giornalistiche sulla piattaforma che, durante la pandemia, ha raggiunto livelli intollerabili per uno Stato di diritto».
  Come riportato da Renovatio 21, il Consiglio Europeo poche settimane fa ha annunciato l’approvazione di «squadre di risposta rapida» per combattere la «disinformazione».

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Immagine di Desiree Catani via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-SA 2.0
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Assange liberato, ma i sostenitori dicono che la sua dichiarazione di colpevolezza è un «grande colpo alla libertà di stampa»

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Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Il fondatore di WikiLeaks, Julian Assange, ha accettato il patteggiamento lunedì ed è stato rilasciato su cauzione, lasciando il carcere di massima sicurezza di Belmarsh e i sostenitori del Regno Unito hanno celebrato il suo rilascio ma hanno espresso preoccupazione per il futuro della libertà di stampa.

 

Il fondatore di WikiLeaks, Julian Assange, ha accettato un patteggiamento con il governo degli Stati Uniti ed è stato rilasciato su cauzione, lasciando il carcere di massima sicurezza di Belmarsh e il Regno Unito lunedì mattina, come ha annunciato WikiLeaks su X, precedentemente noto come Twitter.

 

Sua moglie, Stella Assange, avvocato che lavora da anni per la sua liberazione, ha festeggiato l’accordo su X:

 

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«Questo è il risultato di una campagna globale che ha coinvolto organizzatori di base, attivisti per la libertà di stampa, legislatori e leader di tutto lo spettro politico, fino alle Nazioni Unite», ha scritto WikiLeaks. «Ciò ha creato lo spazio per un lungo periodo di negoziati con il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, che ha portato a un accordo che non è stato ancora formalmente finalizzato».

 

Un giudice federale deve ancora approvare il patteggiamento.

 

Assange è in procinto di comparire mercoledì davanti a un tribunale federale degli Stati Uniti a Saipan, la capitale delle Isole Marianne Settentrionali vicino all’Australia. È previsto il suo ritorno in Australia dopo l’udienza. [Al momento della pubblicazione di questo articolo su Renovatio 21 Assange è appena uscito dal tribunale americano di Saipan, ndr]

 

In cambio del suo rilascio, Assange ha accettato di dichiararsi colpevole di un unico reato di ottenimento e divulgazione illegale di materiale di sicurezza nazionale in violazione dell’Espionage Act degli Stati Uniti, ha riferito il New York Times.

 

Secondo i termini dell’accordo, i pubblici ministeri del Dipartimento di Giustizia chiederanno una condanna a 62 mesi, che equivale al periodo di tempo che Assange ha scontato a Belmarsh mentre combatteva la sua estradizione negli Stati Uniti. L’accordo accrediterebbe quel periodo come tempo servito, che consentirebbe ad Assange di tornare a casa, secondo la CNN.

 

L’accordo gli impedirebbe inoltre di affermare in seguito che il suo lungo periodo di detenzione a Belmarsh, dove è stato confinato in una cella per 23 ore al giorno, è stato ingiusto, secondo il giornalista Glenn Greenwald.

 

Le autorità statunitensi stavano perseguendo Assange per aver pubblicato materiali classificati condivisi con lui dalla gola profonda dell’esercito americano Chelsea Manning nel 2010 e nel 2011. Ha dovuto affrontare 18 capi d’imputazione da un’incriminazione del 2019 per il suo presunto ruolo nella violazione che prevedeva una pena massima di 175 anni di carcere, ha riferito la CNN.

 

«Funzionari statunitensi hanno affermato che Assange ha spinto Manning a ottenere migliaia di pagine di dispacci diplomatici statunitensi non filtrati che potenzialmente mettevano in pericolo fonti riservate, rapporti di attività significative legate alla guerra in Iraq e informazioni relative ai detenuti di Guantanamo Bay», ha scritto la CNN.

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«Un essere umano molto coraggioso» e «un eroe generazionale»

Giornalisti, politici, organizzazioni per la libertà di stampa e innumerevoli sostenitori hanno celebrato il rilascio di Assange, sebbene siano rimasti indignati per quella che credevano fosse la sua detenzione ingiustificata e per il fatto che fosse stato costretto a dichiararsi colpevole, nonostante non avesse commesso alcun crimine.

 

Greenwald ha twittato:

 

 

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Il candidato presidenziale indipendente e presidente al momento in congedo di Children’s Health Defense (CHD) Robert F. Kennedy Jr. ha detto che Assange doveva accettare l’accordo per uscire dalle condizioni di pericolo di vita in cui era detenuto, «ma lo stato di sicurezza ha imposto un precedente terrificante e ha inferto un duro colpo alla libertà di stampa».

 

Kennedy ha twittato:

 

 

Francis Boyle, JD, Ph.D., professore di diritto internazionale all’Università dell’Illinois, ha dichiarato a The Defender che Assange è «un essere umano molto coraggioso» che «ha sofferto abbastanza. Si è alzato in piedi e ha fatto del suo meglio».

 

Boyle ha affermato che il patteggiamento richiedeva ad Assange di accettare una condanna ai sensi della sottosezione G dell’Espionage Act, ma anche di ammettere di aver violato altre sottosezioni.

 

«In futuro, il governo federale potrà utilizzare questo fatto come precedente per perseguitare i giornalisti» per aver violato tali sottosezioni della legge. «Secondo me, questa è una pistola carica puntata alla testa di tutti i giornalisti del futuro».

 

Boyle ha affermato che la legge sullo spionaggio non è mai stata concepita per essere applicata ai giornalisti impegnati nella loro attività ai sensi del Primo Emendamento e del Patto internazionale sui diritti civili e politici.

 

«In pratica, quello che stanno facendo i federali qui è usare l’Espionage Act per istituire di fatto un Official Secrets Act del Regno Unito», che rende un crimine per i dipendenti pubblici nel Regno Unito far trapelare informazioni considerate «dannose» per il governo.

 

Ciò significa che qualsiasi giornalista che in futuro pubblicherà informazioni riservate o storie basate su informazioni riservate potrebbe essere perseguito per aver violato una o più disposizioni dell’Espionage Act, ha affermato Boyle, anche se il Primo Emendamento è inteso a proteggere la stampa.

 

Il gruppo per la libertà di stampa PEN America, che da tempo chiede agli Stati Uniti di ritirare le accuse contro Assange, ha invitato oggi il Congresso in un comunicato stampa a riformare l’Espionage Act per proteggere la libertà di stampa. Ha scritto:

 

«Il Congresso dovrebbe cogliere questa opportunità per riformare immediatamente la legge sullo spionaggio per includere un’eccezione per la divulgazione di informazioni che promuovono l’interesse pubblico. Questa mossa invierebbe un segnale forte in difesa della libertà di stampa, rafforzando la protezione dei giornalisti negli Stati Uniti e riducendo il rischio che la legge venga utilizzata per scopi politici in futuro».

 

Assange ha fondato WikiLeaks nel 2006 come organizzazione mediatica senza scopo di lucro per responsabilizzare governi e leader politici pubblicando grandi quantità di dati di materiali ufficiali censurati e limitati su guerra, spionaggio e corruzione.

 

L’organizzazione ha attirato l’attenzione internazionale nel 2010 quando ha pubblicato il video Collateral Murder, che mostrava filmati secretati girati da un elicottero Apache dell’esercito americano che mostravano l’uccisione di oltre una dozzina di persone in Iraq, tra cui due reporter della Reuters, insieme ad altri video e documenti trapelati da Manning.

 

L’organizzazione ha pubblicato anche altri documenti relativi alle guerre statunitensi in Iraq e Afghanistan. Le rivelazioni divennero importanti storie globali e portarono a un attento esame del coinvolgimento americano nei conflitti esteri.

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Inizialmente accolto dai media mainstream come The GuardianTimes, Assange è poi diventato il bersaglio dei critici del mainstream, compresi quegli stessi organi di stampa, ha riferito Matt Taibbi su Substack. Hanno affermato che WikiLeaks avrebbe compromesso la sicurezza nazionale pubblicando materiale riservato, hanno cercato di coinvolgerlo nel Russiagate e hanno affermato che non era un giornalista.

 

Assange ha trascorso quasi 15 anni in varie forme di detenzione. Nel 2012, di fronte alle accuse di reati sessuali da parte dei procuratori svedesi (successivamente ritirate nel 2019), Assange ha dichiarato di essere disposto a recarsi in Svezia per essere interrogato. Tuttavia, le autorità svedesi non hanno garantito che se si fosse presentato per l’interrogatorio non sarebbe stato estradato negli Stati Uniti.

 

Ha chiesto e ottenuto asilo dal governo ecuadoriano e si è rifugiato nell’ambasciata ecuadoriana dal 2012 al 2018, dove ha soggiornato in un appartamento con due camere da letto senza spazio esterno e la CIA lo ha spiato.

 

Nel 2019, sotto la pressione del governo degli Stati Uniti, l’Ecuador ha posto fine all’asilo di Assange.

 

La polizia britannica lo arrestò e lo rinchiuse nella prigione di Belmarsh, che la BBC ha definito la «Guantanamo britannica». Ha trascorso gli ultimi sei anni combattendo l’estradizione negli Stati Uniti, dove è stato accusato di aver violato l’Espionage Act del 1917 commettendo presunta cospirazione per ottenere e divulgare informazioni sulla difesa nazionale, in seguito alla massiccia divulgazione di WikiLeaks nel 2010.

 

Brenda Baletti

Ph.D.

 

© 25 giugno 2024, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD.

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«Pseudomedia»: nuova legge della sinistra per la repressione della libertà di stampa

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Un disegno di legge regionale in Spagna fornirà un’anteprima delle restrizioni alla libertà di stampa previste dal governo socialista del Paese.   Il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez ha recentemente annunciato che entro luglio proporrà una legislazione per il «rinnovamento democratico», specificamente per «porre fine all’impunità» di ciò che ha definito «pseudomedia».   Questi cosiddetti mezzi «pseudomediatici», secondo Sánchez, «diffondono bufale e disinformazione» con l’aiuto dei finanziamenti dei «governi di coalizione di estrema destra del Partido Popular e di VOX». I due partiti hanno formato coalizioni in diversi governi regionali spagnoli.   Sánchez ha promesso questa iniziativa quando sua moglie è stata indagata per presunta corruzione e traffico di influenza dopo mesi di articoli in diversi media spagnoli che mettevano in dubbio le sue attività.   Alcune settimane prima che Sánchez promulghi la legislazione promessa, il partito socialista andaluso ha depositato un disegno di legge nel parlamento regionale con lo stesso scopo.   La testata spagnuola El Debate riferisce che il disegno di legge include proposte per «dare dignità» la professione del giornalismo attraverso una legislazione «contro le bufale» e nuove regole su dove il governo può collocare la pubblicità per evitare che «pseudomedia» e «pseudogiornalisti» ricevano denaro pubblicitario dal governo regionale.

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Il viceportavoce dei socialisti andalusi, Josele Aguilar, ha affermato che la proposta nasce dalla preoccupazione del suo partito per lo stato di «disinformazione generale» in Spagna e in Andalusia.   Inoltre, il disegno di legge includerebbe i giornalisti nel programma di lavoro governativo che stabilisce i requisiti per ciascun posto nel pubblico impiego, specifica quali titoli sono richiesti per i giornalisti, crea misure di sostegno per «aggiornare» i giornalisti di età superiore ai 50 anni e misure per differenziare costoro e «coloro che praticano il giornalismo come professionista o come agitatore politico».   Per il grande pubblico, ci sono altre misure per diffondere «l’alfabetizzazione digitale» tra i cittadini in modo che «abbiano la capacità di discernere» tra informazioni e «bufale».   I socialisti avranno la possibilità di difendere il loro disegno di legge la prossima settimana nel parlamento andaluso, ma sarà un’impresa difficile dato che il Partido Popular (PPE) ha la maggioranza assoluta alla Camera.   Tuttavia, fornirà una piattaforma al Partito Socialista per accusare i suoi oppositori politici di alimentare «fake news», accuse che troveranno eco nei media favorevoli al governo in tutto il paese.   Come riportato da Renovatio 21, leggi anti-fake news, cioè di piena censura e repressione dell’informazione non approvata dal potere, sono state varate nel Brasile post-Bolsonaro. Alla serrata psicopoliziesca di Brasilia si sottrasse la piattaforma Rumble, che rifiutò l’ordine del governo Lula di censurare alcuni video.   Programmi di contrasto alle fake news – cioè, di controllo del discorso pubblico con eliminazione di idee e notizie dissonanti – sono stati intrapresi da George Soros, che nel 2021 aveva creato un ente per lo scopo chiamato Good Information INC.   L’OMS nel 2020 era arrivata a progettare l’ascolto delle conversazioni online per «combattere le fake news sul COVID-19».   L’ex vicepresidente USA Al Gore, ora massimo fautore dell’allarmismo climatico, sei mesi fa aveva dichiarato che le persone che hanno accesso a «informazioni non mainstream» costituiscono una vera «minaccia per la democrazia».

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Immagine di PSOE via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0
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