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Utero in affitto

Donne cambogiane che affittano l’utero costrette a tenersi e crescere il bambino

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La Cambogia è diventata una destinazione popolare per la maternità surrogata – cioè, tecnicamente, l’utero in affitto – dopo le turbolenze che la pratica disumana ha subito dai sistemi legali di altri Paesi asiatici quasi un decennio fa. Gli stranieri si sono riversati nelle cliniche per la fertilità e nelle agenzie di maternità surrogata di nuova apertura nella capitale cambogiana Phnom Penh. Ora l’evoluzione della situazione nel Paese del Sud-Est asiatico ha portato a rivolgimenti importanti, come sottolineato da un’inchiesta del New York Times.

 

«La pratica è legale – e spesso proibitivamente costosa – in alcuni Paesi, mentre altri l’hanno messa al bando» scrive il NYT. «Altre nazioni ancora con sistemi legali deboli, come la Cambogia, hanno consentito ai mercati grigi di operare, mettendo in pericolo le persone coinvolte quando le condizioni politiche cambiano improvvisamente e seguono i casi penali».

 

Con il fiorire dell’industria in Cambogia, il governo ha imposto un divieto alla maternità surrogata, promettendo di approvare una legislazione che la mettesse ufficialmente al bando. «L’ingiunzione mal definita, imposta in un Paese pieno di corruzione e con scarso stato di diritto, ha finito per punire proprio le donne che il governo aveva promesso di salvaguardare» accusa il giornale di Nuova York. «In un Paese povero a lungo utilizzato come parco giochi da predatori stranieri – pedofili, turisti sessuali, capi di fabbrica, contrabbandieri di antiquariato e, sì, trafficanti di esseri umani – le autorità cambogiane hanno affermato di essere alla ricerca di sfruttamento», tuttavia ora, secondo il giornalista, il governo cambogiano è finito «per punire proprio le donne che il governo aveva promesso di salvaguardare».

 

È stata così applicata una legge sul traffico di esseri umani all’utero in affitto, e implementato un raid con arresti nel 2018. Donne e impiegati delle «agenzie» affitta-uteri sono stati condannati per traffico di bambini.

 

Tuttavia, le loro condanne, due anni dopo, sono arrivate con una condizione: in cambio della sospensione della pena detentiva, le madri surrogate avrebbero dovuto allevare i bambini da sole. Se le donne tentassero segretamente di consegnare i bambini ai futuri genitori, aveva avvertito il giudice, sarebbero state mandate in prigione per molti anni.

 

Il giornale, che tifa per l’affitto di uteri, ovviamente, offre un’interessante sguardo sui meccanismi interni di questa indicibile forma di sfruttamento, vero colonialismo biologico del XXI secolo.

 

Uno «scout» presso la fabbrica di abbigliamento dove lavorava una delle signore intervistate dal NYT, la nota e le dice che potrebbe guadagnare 9.000 dollari, cioè circa cinque volte il suo stipendio base annuale, affittando il suo utero.

 

Fuori dalla capitale, è noto a molti, esistono imponenti case di cemento, che si diceva fossero state costruite con pagamenti per maternità surrogata. Tali palazzi si differenziano non poco dalle baracche di bambù nelle quali vive molta della popolazione locale.

 

Lo scout era collegato a un’agenzia gestita localmente da un uomo cinese e sua moglie cambogiana. Sua sorella gestiva ville di lusso dove alloggiavano le madri surrogate.

 

«Otto surrogate che hanno parlato con il New York Times hanno descritto lampadari, aria condizionata e servizi igienici con sciacquone nelle ville, nessuno dei quali si è goduto a casa. I loro pasti erano abbondanti. Le donne sognavano i soldi che avrebbero guadagnato. Erano anche entusiaste all’idea di fornire un servizio di cui avevano un disperato bisogno».

 

La maggior parte dei bambini cinesi portati in grembo dalle affittatrici di uteri cambogiane sono maschi. La selezione del sesso è vietata in Cina, ma non in Cambogia. La maternità surrogata commerciale non è praticata apertamente in Cina, nonostante la preoccupazione ufficiale per il crollo del tasso di natalità del Paese dopo decenni di politica del figlio unico applicata brutalmente.

 

 

È riportato quindi il caso del «signor Xu, un prospero uomo d’affari della città cinese meridionale di Shenzhen», abbinato ad una delle surrogate di cui si racconta la tragica storia. «L’unica cosa che gli mancava, ha detto agli amici che hanno parlato col Times, era un figlio per continuare la linea familiare».

 

«Nella testimonianza del tribunale cambogiano, il signor Xu ha detto che sua moglie non poteva avere un figlio. Ma gli amici del signor Xu, che hanno parlato a condizione di anonimato per paura di inimicarsi le autorità cambogiane, hanno detto che la sua situazione era più complicata: non aveva moglie ed era aperto sul fatto di essere gay». La cosa sarebbe confermata anche dalla donna cambogiana che portava in grembo suo figlio. Di fatto, «le coppie LGBTQ non possono adottare in Cina e ai gay o ai single è preclusa la maternità surrogata nella maggior Parte dei paesi in cui tale pratica è legale».

 

Salta quindi fuori «un’agenzia di maternità surrogata registrata nelle Isole Vergini britanniche, ha mostrato una rara simpatia per i genitori LGBTQ, promettendo bambini attraverso la Cambogia, il Messico e gli Stati Uniti. Il sito Web dell’azienda è illustrato con foto di coppie dello stesso sesso che cullano bambini». Il fondatore di tale agenzia anche lui «è apertamente gay» e «ha detto che gli avvocati cambogiani gli hanno assicurato che la sua agenzia era legale».

 

«Era un’operazione multinazionale che attraversava i continenti». Il fondatore dell’agenzia, gay e con un cognome cinese, «ha collaborato con una clinica per la fertilità a Phnom Penh gestita da un vietnamita. Lì, uno specialista tedesco della fertilità ha formato medici cambogiani. Un esperto di logistica indiano è arrivato con ovuli raccolti da donatrici».

 

Il signor Xu avrebbe firmato con l’agenzia di maternità surrogata un contratto per 75 mila dollari, dice il NYT indicando documenti che avrebbe esaminato.

 

Il signor Xu ha quindi fatto visita alla sua surrogata «nella villa di lusso. Le disse che la donatrice di ovociti era una modella russa». Più tardi, lo Xu avrebbe mostrato alla surrogata e a suo marito «le fotografie di una donna bianca con i capelli mossi in piedi accanto a un’auto sportiva».

 

Ecco che, di colpo, la cosa si colora delle tinte dell’eugenetica, ma per chi conosce l’ambiente non è un segreto. Sulle selezioni di ovociti le ucraine vanno forte. Se c’è bisogno degli spermatozoi per la fecondazione in vitro, sappiamo che i danesi hanno la primazia (finalmente abbiamo capito cosa sanno fare, a parte il LEGO). Colpisce che il fascino del poster da Hitlerjugend, la gioventù hitleriana di biondi dolicocefali occhiocerulei ariani, finisca nei desideri anche degli omosessuali cinesi che affittano uteri in Cambogia…

 

Il fondatore dell’agenzia ha spiegato al giornale che «molti dei suoi donatori di ovuli provenivano dalla Russia, dall’Ucraina e dal Sudafrica. I padri designati erano cinesi e molti erano gay».

 

L’operazione di polizia del luglio 2018 con la quale le autorità cambogiane arrestarono le affittatrici di uteri e i loro gestori ha fatto seguito a un giro di vite a livello regionale sulla maternità surrogata commerciale. Tre anni prima, la Tailandia aveva vietato la pratica per gli stranieri, chiudendo un’alternativa più economica alla maternità surrogata in Occidente, dove arriva a costare più di 150.000 dollari.

 

Due casi avevano spaventato le autorità tailandesi. Uno riguardava una coppia australiana accusata di aver rifiutato un bambino con sindrome di Down. Un giudice in Australia ha successivamente scoperto che la coppia non aveva abbandonato il bambino; il ragazzo è rimasto in Tailandia, con la madre surrogata.

 

L’altro caso ha sollevato preoccupazioni per il traffico di bambini dopo che un uomo giapponese ha generato almeno 16 bambini da uteri tailandesi affittati. Un tribunale tailandese alla fine ha concesso all’uomo la custodia della maggior parte dei bambini dopo che ha detto che voleva una famiglia numerosa.

 

«Anche l’India e il Nepal hanno limitato la maternità surrogata per i non cittadini. In molti di questi casi, i politici hanno parlato della santità del legame materno e della purezza delle donne asiatiche» scrive amaro il NYT. Di lì, l’ascesa della Cambogia come meta internazionale per la surrogazione della maternità. Da notare che in Cambogia vi era già stato il caso della legge che proibiva la vendita internazionale di latte materno: a quanto pare, c’era anche questo commercio sul menu del Paese martoriato dall’inferno dei Khmer rossi.

 

Alla fine del 2016, il Ministero della Salute cambogiano aveva annunciato il divieto della maternità surrogata, ma lo aveva fatto senza adottare una nuova legislazione che la renda un reato. Nello spazio grigio risultante, le cliniche per la fertilità e le agenzie di maternità surrogata hanno continuato ad aprirsi. L’anno successivo, iniziarono le incursioni: un’infermiera australiana e due membri del personale cambogiano di una clinica per la fertilità che lavorava con madri surrogate sono stati condannati per traffico di esseri umani.

 

Il governo ha ordinato ad un ente di beneficenza cristiano, fondato dagli americani per combattere il traffico sessuale di minori, di controllare le donne dopo il parto. Alcune madri surrogate hanno detto che dovevano anche presentarsi alla stazione di polizia, bambini al seguito.

 

Tuttavia, sostiene il fondatore dell’agenzia (che non si trovava in Cambogia al momento del raid della polizia), nonostante le promesse dei surrogati alla corte che avrebbero allevato i bambini, un buon numero di bambini non è più in Cambogia e si è unito ai genitori cinesi.

 

Nonostante la legge e la polizia, insomma, c’è stata la delivery: il prodotto è stato consegnato.

 

Business is business.

 

 

 

 

Immagine di Fusione via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported (CC BY 3.0)

 

 

 

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Utero in affitto

ONU: Un rapporto chiede l’eliminazione della maternità surrogata

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Il 14 luglio 2025, Reem Alsalem, Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne e le giovani donne, ha presentato all’Assemblea Generale un rapporto che esamina «le varie manifestazioni di violenza contro donne e ragazze nel contesto della maternità surrogata» (gestazione per altri o GPA).

 

Secondo questo rapporto, la maternità surrogata è in aumento in tutto il mondo, con una notevole crescita degli accordi transfrontalieri, in cui genitori provenienti da paesi ad alto reddito si avvalgono di donne in giurisdizioni in cui la pratica è legale. Il mercato globale è stato valutato a quasi 15 miliardi di dollari nel 2023 e si prevede che raggiungerà i 100 miliardi di dollari entro il 2033.

 

Le madri surrogate ricevono in genere tra il 10% e il 27,5% del pagamento totale, mentre La maggior parte viene pagata agli intermediari. Inoltre, esistono incentivi finanziari per coloro che reclutano donne per le agenzie di maternità surrogata, il che genera dinamiche di reclutamento in contesti vulnerabili.

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Quadri giuridici divergenti

Il rapporto identifica tre principali modelli normativi: il divieto assoluto, come in Italia, che ha dichiarato la maternità surrogata un «reato universale» nel 2024; la regolamentazione degli accordi altruistici (Australia, India); e l’autorizzazione degli accordi commerciali (Georgia, Israele e Ucraina). In molti paesi, la mancanza di regolamentazione crea scappatoie legali.

 

Il rapporto evidenzia che le madri surrogate provengono generalmente da contesti meno privilegiati e di status sociale inferiore rispetto ai genitori intenzionali. A ciò si aggiunge la situazione delle donne che donano i propri ovuli, esposte a trattamenti ormonali invasivi, e quella delle madri committenti, che possono essere soggette a pressioni in contesti legali complessi.

 

Vi sono anche casi di tratta in cui famiglie povere affidano le proprie figlie a reti di maternità surrogata con false promesse di lavoro o matrimonio.

 

Il rapporto descrive in dettaglio varie forme di Violenza:

 

Economica: contratti che impongono la rinuncia all’autonomia medica, il diniego di risarcimento o restrizioni alla libertà di movimento.

 

Psicologica: pressione emotiva ad accettare la pratica, alti livelli di depressione e ansia e traumi legati alla separazione postpartum.

 

Fisica: rischi medici maggiori rispetto a quelli di una gravidanza convenzionale, come tagli cesarei multipli, parti prematuri e complicazioni legate ai trattamenti per la fertilità.

 

Riproduttiva: aborti forzati, riduzione embrionale e restrizioni contrattuali che possono equivalere a schiavitù.

 

Il documento mette in guardia dalle conseguenze per i minori, in particolare per le bambine. Queste includono la separazione immediata dopo il parto, tassi più elevati di parti prematuri e sottopeso, il divieto di allattamento al seno in molti contratti e i rischi di mancanza di nazionalità o identità legale negli accordi internazionali.

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Responsabilità

Alsalem identifica come principali responsabili degli atti di violenza le agenzie e gli intermediari che reclutano donne in situazioni di vulnerabilità, gli operatori sanitari che eseguono interventi senza consenso e, in alcuni casi, gli Stati stessi, quando ricorrono a pratiche coercitive o non riescono a garantire una protezione adeguata.

 

Richiesta di uno «strumento internazionale giuridicamente vincolante»

Nelle sue conclusioni, il rapporto delle Nazioni Unite propone di «adottare misure per sradicare la maternità surrogata in tutte le sue forme». Raccomanda inoltre l’adozione di uno «strumento internazionale giuridicamente vincolante che ne vieti ogni forma».

 

«Un riconoscimento senza precedenti»

«Si tratta di un riconoscimento senza precedenti al più alto livello internazionale», afferma Olivia Maurel, portavoce della Dichiarazione di Casablanca, una coalizione internazionale di oltre 150 esperti e associazioni provenienti da tutto lo spettro politico e culturale che si batte per l’abolizione della maternità surrogata dal 2023.

 

«La maternità surrogata non è un atto d’amore, ma una forma di violenza e sfruttamento», denuncia Olivia Maurel, nata lei stessa tramite maternità surrogata. E «questo rapporto storico apre la strada alla sua messa al bando globale», aggiunge.

 

A seguito di questa posizione delle Nazioni Unite, la Dichiarazione di Casablanca invita gli Stati «ad assumersi le proprie responsabilità e ad impegnarsi ora a tradurre queste raccomandazioni in misure concrete».

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.News

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Coppia gay chiede che il figlio nato dalla surrogata sia ucciso

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Una donna che agisce da surrogata per due gay rimane incinta, riceve una diagnosi di cancro al seno e partorisce alla 25ª settimana: i due uomini che l’avevano assunta ordinano che al bambino vengano negate le cure mediche essenziali, uccidendolo. La storia è stata raccontata su X dalla celebre attivista pro-life Lila Rose, presidente di Live Action.   «Due uomini hanno assunto la madre surrogata (…) per creare la “famiglia dei loro sogni”», ha twittato la Rose. «Alla fine del processo, un neonato di 25 settimane è stato assassinato».     La donna aveva ricevuto una diagnosi di cancro al seno durante la gravidanza e ha deciso di partorire prematuramente, alla 25° settimana, in modo da poter ricevere la chemioterapia salvavita di cui aveva bisogno e dare al bambino le migliori possibilità di sopravvivenza. «Ha detto che il suo pensiero era: “Voglio tenere questo bambino al sicuro e portarlo sulla Terra”», scrive la Rose.  

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Secondo la Rose, la coppia gay che ha «acquistato» il bambino dalla donna ha affermato di «non voler pagare (…) per un bambino nato prima della 38ª settimana a causa dei potenziali problemi di salute di un bambino prematuro».   Il duo omosessuale avrebbe insistito affinché il bambino venisse «soppresso immediatamente», scrive Lifenews.   La donna è andata «nel caos», secondo suo zio. La neomadre si sarebbe offrì di adottare il bambino, ma la coppia rifiutò la sua richiesta, chiedendo invece un certificato di morte.   Lo zio della donna ha pure dichiarato che «se mi fosse permesso, prenderei il bambino anch’io».   La coppia «non può costringerla ad abortire», ma una volta che il bambino è «nato», allora diventerebbe «proprietà» – e costoro sembrano non volere dargli alcuna cura salvavita, scrive sempre Lifenews.   «In pratica, mia nipote dice che deve tirarlo fuori e vederlo morire», ha riferito il parente della donna. «Preferiscono guardare (o meglio, non saranno presenti) il loro bambino morire piuttosto che permettere che venga salvato nel miglior modo possibile e affidato a una famiglia».   La donna risiede in California e «le leggi sulla maternità surrogata in California non garantiscono alcun diritto a lei o al bambino», scrive riferito Rose. La donna «ha dovuto partorire prematuramente per salvarsi la vita. Dopo il parto, la coppia «ha ordinato che le cure salvavita fossero sospese. Il bambino è morto poco dopo la nascita».   Sebbene sembri che la donna «abbia cercato di proteggere questo bambino nel grembo materno, la sua partecipazione alla maternità surrogata ha avuto un ruolo parziale nella morte definitiva di questo bambino», scrive la Rose. «Fin dal momento del concepimento, è stato privato dei suoi diritti fondamentali e trattato come un prodotto che poteva essere scartato al primo segno di difetto».   È la tragica realtà non solo dell’utero in affitto – «reato universale» nella ridicola formulazione del governo italiano – ma dell’intero processo di produzione di esseri umani in laboratorio chiamato FIVET, IVF, insomma la provetta, cioè la riproduzione artificiale umana.   La reificazione, e quindi la mercificazione del bambino è una diretta conseguenza: di qui le pretese tipiche del diritto commerciale, con la «garanzia» a coprire i diritti del «consumatore». Perché, di fatto, figli nati su commissione sono «consumati» come gli orpelli con cui arredare le esistenze di coppie gay o normosessuali che siano.   Non si tratta del primo caso di bambino surrogato di cui la coppia committente –ribadiamo, omosessuale o eterosessuale che sia – chiede l’aborto. In altri casi, il bambino viene abbandonato alle madri affittanti l’utero.

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Come riportato da Renovatio 21, nel 2019 la Tailandia aveva vietato la pratica per gli stranieri, chiudendo un’alternativa più economica alla maternità surrogata in Occidente, dove arriva a costare più di 150.000 dollari.   Due casi avevano spaventato le autorità tailandesi. Uno riguardava una coppia australiana accusata di aver rifiutato un bambino con sindrome di Down. Un giudice in Australia ha successivamente scoperto che la coppia non aveva abbandonato il bambino; il ragazzo è rimasto in Tailandia, con la madre surrogata.   L’altro caso ha sollevato preoccupazioni per il traffico di bambini dopo che un uomo giapponese ha generato almeno 16 bambini da uteri tailandesi affittati. Un tribunale tailandese alla fine ha concesso all’uomo la custodia della maggior parte dei bambini dopo che ha detto che voleva una famiglia numerosa.   C’è da considerare anche il caso della Cambogia, dove le surrogate, con la messa al bando dell’utero affittato, hanno potuto commutare la loro pena qualora allevassero i figli concepiti da committenti stranieri.   Non dimentichiamo la crisi «logistica» dovuta prima al COVID poi alla guerra d’Ucraina (Paese grande esportatore di bambini in vitro da uteri locali affittati): ecco che i «prodotti» facevano difficoltà ad essere consegnati ai «clienti», con alcuni che venivano dunque «non ritirati».   Più nulla, della riproduzione della vita umana è al sicuro dal linguaggio commerciale e zootecnico: perché, essenzialmente essa questo è divenuta nella società post-cristiana della Necrocultura – commercio e zootecnia, l’uomo ridotto a oggetto in vendita, a bestiola da compagnia, nella più mostruosa, nazistica perversione del rapporto umano, dove il più debole può essere sfruttato a piacimento dal più forte, e ricco.   Come poche settimane fa è emerso lo scandalo di un pedofilo omosessuale abbia ottenuto un bambino con maternità surrogata.   Altro che «reato universale»…

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Contraccezione

Il Ruanda legalizza la maternità surrogata per single e non sposati, contraccettivi per le quindicenni

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Il Parlamento del Ruanda ha approvato una legge che legalizza la maternità surrogata per le persone non sposate e i contraccettivi per i quindicenni.

 

La scorsa settimana, la legislatura della nazione dell’Africa orientale ha approvato un disegno di legge storico sui servizi sanitari, che estende l’accesso alla maternità surrogata alle persone non sposate, se un medico stabilisce che non sono in grado di concepire un figlio in modo naturale.

 

La maternità surrogata è stata legalizzata in Ruanda lo scorso anno, ma il nuovo disegno di legge ora consente anche alle persone single e alle coppie non sposate di avere un figlio tramite maternità surrogata.

 

«Dopo discussioni e consultazioni con i rappresentanti del governo, i membri del comitato hanno concordato che i servizi ART [Tecnologie di riproduzione assistita, ndr] dovrebbero essere disponibili non solo alle coppie sposate, ma anche ad altri individui che non sono in grado di concepire naturalmente, a condizione che un medico confermi la condizione», ha affermato la deputata Veneranda Uwamariya, che è presidente della Commissione per gli affari sociali.

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«Ci sono casi in cui le persone restano single per scelta e/o non hanno un partner, ma desiderano avere figli», ha affermato la deputata Gloriose Mukamwiza.

 

Il ministro della Salute Yvan Butera ha confermato che la procreazione assistita (PMA) sarà disponibile per chiunque non possa concepire naturalmente per motivi biologici. L’infertilità può derivare da condizioni naturali o da trattamenti medici come la chemioterapia, ha osservato.

 

Il disegno di legge consente inoltre ai minori di 15 anni di accedere ai contraccettivi. In precedenza, la legge consentiva solo alle persone che avevano raggiunto la «maggiore età», ovvero 18 anni, di avere «il diritto di decidere autonomamente in merito alle questioni relative alla salute riproduttiva umana».

 

Alcuni membri del Parlamento hanno sostenuto che i preservativi dovrebbero avere la priorità rispetto ai contraccettivi ormonali come la pillola anticoncezionale o gli iniettabili.

 

Tuttavia, la Uwamariya ha affermato che la distribuzione dei preservativi non sarebbe sufficiente. «Bisogna prendere in considerazione altre opzioni per contribuire ad affrontare la sfida persistente della gravidanza adolescenziale», ha affermato la Veneranda.

 

Rispondendo alle preoccupazioni riguardanti il diritto dei genitori di decidere cosa sia meglio per i propri figli minorenni, ha affermato che la legge «non sostituisce la responsabilità genitoriale». «Quello che stiamo facendo qui è riuscire a fornire questi servizi a una certa porzione della popolazione. In questo contesto stiamo riscontrando molti problemi perché la mancanza di accesso a questi servizi stava causando gravi rischi sanitari e sociali per gli adolescenti, ma anche per i bambini nati da questi adolescenti», ha affermato la parlamentare ruandese.

 

«Abbiamo visto che i bambini nati da ragazze adolescenti hanno un rischio maggiore del 38% di sviluppare ritardi nella crescita rispetto al resto della popolazione. Quindi, stiamo proteggendo non solo queste ragazze adolescenti, ma anche la loro prole per prevenire questo problema, in modo da avere una società in cui tutti possano permettersi il meglio», ha sostenuto.

 

Tuttavia, Uwamariya e i suoi alleati non hanno menzionato che l’astinenza è l’unica opzione sicura e morale per prevenire gravidanze indesiderate.

 

La popolazione del Ruanda è cristiana per oltre il 90%, con i cattolici che costituiscono la percentuale più grande, pari a più del 40% della popolazione totale.

 

Il Ruanda è retto da un presidente senza rivali, il vatusso Paul Kagame, allineato con l’Occidente e a cui è consentita un’agilità politica e geopolitica senza pari. La sua elezione alla scorsa tornata elettorale generò l’esilarante, si spera involontario, titolo di una grande agenzia di stampa italiana.

 

Come riportato da Renovatio 21, a febbraio il Ruanda ha sospeso un accordo di cooperazione quinquennale con il Belgio, accusandolo di schierarsi in un conflitto armato in corso nella Repubblica Democratica del Congo orientale e di «politicizzare lo sviluppo».

 

Il ministero degli Esteri ruandese ha annunciato la decisione martedì dopo che il Belgio ha accusato Kigali di sostenere i ribelli M23, che hanno conquistato due grandi città nelle province del Nord e del Sud Kivu in nuovi attacchi contro le forze congolesi e i peacekeeper. Migliaia di persone, tra cui bambini, sono state uccise nell’ex colonia belga nei combattimenti delle ultime settimane, secondo l’ONU.

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Il Ruanda affronta grandi controversie che riguardano anche temi di enorme rilevanza per l’Europa, come il fatto di essere divenuta meta per l’espulsione degli immigrati in Gran Bretagna.

 

Un anno fa si sono registrati nel Paese agghiaccianti episodi di vaccinazione forzata nei villaggi con violenze perpetrate dalle autorità a chi si opponeva alle iniezioni COVID-19, gentilmente offerte agli africani dalle organizzazioni internazionali finanziate da Gates.

 

L’uomo forte di Kigali è coinvolto anche in una strana, incredibile storia di eco internazionale: il rapimento del dissidente ruandese, internazionalmente noto per il film hollywoodiano Hotel Rwanda, che raccontava il suo ruolo nel salvare molti dal genocidio hutu del 1994. I servizi di Kagame lo avrebbero attirato fuori dagli USA, dove viveva in esilio, fingendo di essere emissari di un movimento di un altro Paese africano, per farlo poi atterrare in Ruanda dove sarebbe stato arrestato. Sul caso ci fu un pesante reportage del New York Times.

 

Lo stesso Kagame è stato accusato da un missionario comboniano di essere implicato nel barbaro assassinio dell’ambasciatore italiano in Congo Luca Attanasio.

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Immagine di World Economic Forum via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-SA 2.0

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